MACEDONIO, Marcello
Nacque a Napoli il 17 apr. 1582 da Loise, di nobile famiglia appartenente all'antico "sedile" di Porto, e dalla capuana Lucrezia Di Falco. Dal matrimonio, celebrato il 17 apr. 1580, era già nata Vittoria, cui seguirono il M. e altri sette figli. La famiglia, che aveva già avuto buona sorte economica grazie ad alcune imprese militari, si era data poi ad attività, ancor più redditizie, legate alla vita amministrativa e finanziaria del porto di Napoli.
La giovinezza del M. fu caratterizzata dal tradizionale apprendistato cavalleresco e dalla maturazione di una sensibilità artistica nutrita della vivace vita mondana di Napoli. Questa formazione si rivelerà, tuttavia, troppo fragile per resistere alle dinamiche cortigiane e ai rituali delle accademie che il M. si trovò ad affrontare nel corso della sua esistenza. Prima opera a stampa del M. sono i Capitoli della bellezza, usciti nel 1605 presso la stamperia di G.B. Ciotti a Venezia.
Il poemetto, in terzine dantesche, in cui il M. figura con lo pseudonimo di Filenio Pellegrino, contiene l'elogio di dame contemporanee, secondo lo schema barocco della galleria, e documenta le frequentazioni reali o desiderate del poeta nella sua città. Particolare rilievo è dedicato alla seduzione esercitata dalle nobili Clarice Carafa, Violante di Sangro, Margherita Aragona di Terranova, nonché da quattro misteriose Isabelle, tra le quali Isabella Sanseverino, figlia di Ippolito e Lucrezia Carafa dei marchesi di Castelvetere, forse prediletta dal M., ma solo da Borzelli segnalata come donna da lui amata. Coetanea del poeta, si era unita in matrimonio prima del dicembre 1603 con Francesco Di Costanzo dei marchesi di Coroleto e, all'apparire dei Capitoli, era già madre felice.
È l'erudito secentesco Camillo De Lellis il primo a riferire di un'inquietudine d'amore sottesa ai Capitoli e suggerita già nella dedica non a una dama napoletana, bensì alla nobildonna veneziana Morosina Morosini, moglie del doge Marino Grimani. In effetti, l'iter sentimentale dei Capitoli, abbondantemente di genere, dopo l'amore infranto contempla l'esilio volontario, un viaggio in parte simile a quello mariniano, finanche un accenno alla pazzia secondo l'esempio biografico meno recente di Torquato Tasso: una visione conformata a convenzionali modelli eccellenti, vagamente rintracciabile nelle note biografiche sull'autore.
Per la stampa dei Capitoli il M. era partito da Napoli per Venezia. Sulla via del ritorno approdò a Roma, dove, con il viatico dell'amico letterato beneventano Vincenzo Bilotta, entrò in contatto con l'entourage di Scipione Borghese Caffarelli, cardinal nipote di Paolo V, per il quale svolse tra il 1608 e il 1609 mansioni di segretario privato. Continuava intanto la produzione poetica, arricchita dai contatti con le personalità di un mondo letterario più vasto (il conte Ridolfo Campeggi, per esempio, inviò al M. in omaggio il suo libro di Rime, Parma 1608). Al soggiorno romano si deve l'approfondimento di interessi pittorici e musicali, che costituivano l'indispensabile bagaglio per accedere al sodalizio romano degli Umoristi, dove prese il nome di Ravveduto. In questo consesso conobbe Battista Guarini, a sua volta lettore delle rime del Macedonio.
Svolta decisiva nella vita del M. fu, agli inizi del 1610, la scelta di vestire l'abito dei carmelitani scalzi e fu accolto nel convento di S. Maria della Scala, in Trastevere, in cui assunse il nome in religione di Marcello della Madre di Dio.
Nei mesi di noviziato, il fratello Pietro pubblicò la produzione del M. nella raccolta Le nove muse (Napoli 1614), divisa in sezioni, ciascuna dedicata a una musa. L'edizione, di pregio, presenta incisi su rame il frontespizio e nove tavole, opere di Giovanni Felice Paduano; ha due dediche, entrambe al cardinale Borghese Caffarelli, una del M., datata 29 maggio 1610, e l'altra, del 12 febbr. 1614, scritta da Pietro, che di fatto avocò a sé il compito di gestire e dare veste pubblica alla produzione del M., nel momento in cui questi sceglieva di ritirarsi dal mondo secolare, rompendo i legami con gli ambienti aristocratici napoletano e romano in cui era nata la sua poesia.
La prima sezione del volume (Clio) contiene un testo encomiastico in sesta rima per il cardinale Borghese Caffarelli, il Sogno di Scipione, nella seconda (Urania) compaiono alcune liriche ricche di visioni mistiche e astrologiche, nella terza (Polinnia) canzoni di argomento amoroso, nella quarta (Erato) trenta sonetti ancora ispirati a Eros, nella quinta (Calliope) ottave cortigiane e sentimentali, nella sesta (Tersicore) ballate d'innocente passione, nella settima (Euterpe) la riproposta, corretta, dei Capitoli della bellezza, nell'ottava (Melpomene) un poemetto drammatico intitolato Adone, nell'ultima (Talia) alcuni idilli dedicati alla natura e all'amore. Degni di nota nella raccolta sono la perizia metrica del M., realizzata grazie al recupero di schemi desueti, l'uso frequente di immagini pittoriche non convenzionali e un lessico assai raffinato, che dà vita a un tessuto sonoro delicatissimo.
Immediata fu la ricezione dei testi. Lo stampatore Ciotti, negli stessi mesi dell'edizione partenopea, selezionò alcune tessere del canzoniere macedoniano, pubblicando Ballate, et idillii (Venezia 1614) e una Scielta delle poesie (ibid. 1615, con dedica a Giacomo Barocci). Queste stampe veneziane celebravano il M. in un orizzonte più ampio di quello in cui si era diffusa fino ad allora la sua fama e mettevano di fatto in ombra il curatore dell'edizione a stampa napoletana. Secondo Pietro l'eredità del M. avrebbe potuto diventare un mezzo efficace per intrecciare relazioni e introdurre altri esponenti della sua famiglia in élites prestigiose.
Negli stessi mesi, con la festa organizzata nella chiesa di S. Maria della Scala in occasione delle celebrazioni per la beatificazione di Teresa d'Ávila, il 5 ott. 1614, furono preparati apparati con immagini, imprese e testi letterari d'occasione. Il lavoro fu soprattutto frutto dell'impegno del M., il cui talento si espresse anche in lingua latina. Il libro che ne venne fuori, De' nove chori de gli angioli (Roma, G. Facciotti, 1615), è aperto da due dediche di suo pugno: la prima (12 dic. 1614), al cardinale Borghese Caffarelli, è concepita come un'abiura dei precedenti scritti sotto forma di pentimento, la seconda si sviluppa come un inno alla Vergine Maria.
Prosimetro latino e volgare, l'opera appare un saggio dell'erudizione macedoniana, poiché spazia dalla cultura biblica a quella classica, dalle enciclopedie medievali alle citazioni umanistiche. Questi testi rivelano, d'altra parte, una progressiva ossessione nei confronti del sangue e della morte, che non poteva essere giustificata unicamente da sensibilità religiosa, ma era forse effetto di condizioni fisiche precarie, inasprite dal regime monastico.
Per breve tempo nel 1616 il M. tornò in patria, con la carica di definitore della provincia napoletana. Non c'è testimonianza certa della sua partecipazione alle attività dell'Accademia napoletana degli Oziosi. Al di fuori delle istituzioni, prove di stima gli giunsero da Arcangelo Spina, eremita camaldolese, che lo elogiò in alcuni versi delle sue Rime spirituali (Napoli 1616, p. 213).
Il M. trascorse l'ultimo periodo di vita a Roma, con la salute irrimediabilmente compromessa. Non si conoscono i dettagli dell'ultima produzione: di un corpus inedito è tramandata (cfr. Quadrio) una lista, che comprende un Trionfo della Croce in venti canti, un poema su S. Caterina vergine e martire e Vari sermoni; ma di tali opere, peraltro difficilmente collocabili cronologicamente, non è rimasta traccia.
Il M. morì il 6 sett. 1619 a Roma, nel seminario romano di S. Paolo, edificio ora scomparso, nei pressi della chiesa della Conversione di S. Paolo, oggi S. Maria della Vittoria.
Rime del M. sono riproposte in Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, pp. 20-28 (cfr. anche p. 527), e in Marino e i marinisti, a cura di G.G. Ferrero, Milano-Napoli 1954, pp. 657-672.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Arch. Serra di Gerace: L. Serra di Gerace, Alberi genealogici di famiglie napoletane e diverse, IV, cc. 1898 s.; Arch. di Stato di Bologna, Arch. Malvezzi Campeggi, s. 3, Lettere, 36/558; Roma, Arch. della Casa generalizia dei carmelitani scalzi, Convento di S. Maria della Vittoria, Catalogus fratrum defunctorum in conventu S. Pauli Carmelitanum discalceatorum Congregationis S. Eliae, Catalogus defunctorum 1613-1648, cc. 3 s.; Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., X.A.4: C. De Lellis, Famiglie nobili del seggio di Porto di Napoli, cc. 135-145; XIV.A.28: B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et Regno Neapolis( floruerunt, parte II, c. 50v; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 198; G.M. Crescimbeni, Comentari( intorno alla sua Istoria della volgar poesia, III, Venezia 1730, pp. 155 s.; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, VI, Bologna-Milano 1752, p. 277; A. Borzelli, I capitoli della bellezza di M. M., Napoli 1895; B. Croce, Letterati e poeti in Napoli sul cadere del Cinquecento, in Id., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, II, Bari 1945, pp. 227-250; C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, Milano 1973, pp. 181 s., 275; P. Manzi, La tipografia napoletana nel '500. Annali di Giovanni Giacomo Carlino e di Tarquinio Longo (1593-1620), Firenze 1975, pp. 318 s.; A. Quondam, La parola nel labirinto. Società e scrittura del manierismo a Napoli, Bari-Roma 1975, pp. 297-304; G. de Miranda, Una quiete operosa. Forma e pratiche dell'Accademia napoletana degli Oziosi (1611-1645), Napoli 2000, pp. 41, 260, 309; Id., Un silenzio assordante. M. M. a Roma per la scelta carmelitana e l'ultimo esercizio poetico (1610-1619), in Aprosiana, n.s., VIII (2000), pp. 73-95.