MORETTI, Marcello
MORETTI, Marcello. – Nacque a Venezia il 30 novembre 1910 da Guglielmo, elettromeccanico, e da Elvira Ciazzotto, casalinga.
All’età di tre anni si trasferì con la famiglia a Milano e vi rimase fino al 1920. Tornò quindi a Mestre dove il padre aveva aperto un’officina meccanica. Gli anni dell’adolescenza furono difficili per la precaria situazione economica familiare: Moretti frequentò le scuole dell’obbligo e si iscrisse alle magistrali, ma a 14 anni dovette interrompere gli studi per impiegarsi come liftman in un grande albergo di Venezia. Ritenuto non idoneo al servizio militare per un vizio cardiaco, dopo un periodo di disoccupazione, nel 1931, fu assunto come impiegato addetto all’espletamento delle pratiche doganali presso la società Mulini Chiari & Forti a Marghera, attività svolta fino al 1934, quando, a causa di un periodo di malattia protrattosi troppo a lungo, fu licenziato. Pur avendo, nel frattempo, conseguito il diploma di maestro, non ebbe possibilità di esercitare tale professione. Fece per necessità il piazzista di scarpe, l’elettricista, il fattorino sino a quando, nel 1938, su suggerimento della madre, decise di iscriversi all’Accademia d’Arte drammatica di Roma, dove si diplomò nel 1940.
Debuttò, quindi, sotto la direzione artistica di Silvio d’Amico e Corrado Pavolini, con la Compagnia dell’Accademia, formata dai giovani neodiplomati, interpretando, fra gli altri ruoli, Mezzettino in Re Cervo di Carlo Gozzi, nella riduzione di Alessandro Brissoni, e Gancio in Molto rumore per nulla di Shakespeare. Durante il periodo bellico e negli anni immediatamente successivi, lavorò continuativamente in diverse compagnie primarie, ricoprendo il ruolo di ‘generico’ e facendosi notare per la dedizione al lavoro e la serietà professionale. Attraversò l’Italia, recitando fra gli altri in compagnia con Laura Adani nel 1941, con Alda Borelli nel 1943, con Isa Miranda e Gualtiero Tumiati nel 1944 e, subito dopo la guerra, con Andreina Pagnani, con la compagnia Spettacoli Effe di Vittorio De Sica, Viviana Gioi e Nino Besozzi (dove fu diretto anche da Luchino Visconti in un piccolo ruolo nel Matrimonio di Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais) e con la compagnia formata da Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli e Antonio Pierfederici.
Nel marzo 1947 fu scritturato nella prima compagnia del Piccolo Teatro di Milano da Paolo Grassi che da tempo lo conosceva e stimava. Grassi lo considerava un «uomo scontroso e di poche parole, un uomo del popolo abituato al lavoro, alla serietà della vita e della professione, avviato dal destino ad una popolarità mondiale, contraria alla sua indole schiva, riflessiva, umanamente raccolta» (Marcello, un amico, in Quaderni del Piccolo Teatro - Marcello Moretti, a cura di P. Grassi - G. Strehler - R. Jacobbi, Milano 1962, p. 8).
Quando Grassi lo informò che tutti gli attori del Piccolo avrebbero dovuto essere disposti a interpretare sia ruoli da ‘generico’, sia ruoli da protagonista, Moretti, sottoscrivendo il contratto, rispose: «[…] sai che come parti non sono di grandi pretese, me ne basta una di veramente buona, per il resto m’accontento. Riguardo al repertorio, mi fidavo del vostro buon gusto e della vostra serietà. Quello che più mi interessava era sapere chi erano gli attori (sai che ho sempre bisogno di essere fra persone comprensive, odio i mattoni le cappe di piombo; mi capisci) ed i registi, spero molto che ci sia Giorgio [Strehler] avrei molto piacere di lavorare con lui» (S. Locatelli, La ricerca della stabilità, in Ricerche dall’Archivio storico del Piccolo Teatro (1947-1963), a cura di S. Locatelli, in Comunicazioni sociali, XXX [2008], maggio- agosto, p. 262).
Con la compagnia del Piccolo Teatro, rimase ininterrottamente sino alla fine del 1953, partecipando a molti fra gli spettacoli diretti da Strehler. Impegnato in ruoli spesso di secondo piano, fu sempre apprezzato dal pubblico e segnalato con favore dalla critica. Dall’inaugurale L’albergo dei poveri di Gorkij a I giganti della montagna di Pirandello; dalla Tempesta di Shakespeare nel ruolo di Calibano, «un nanerottolo forse più buffo che truce» scrisse Silvio d’Amico (2005, V, t. 1, p. 233), a Il Corvo di Gozzi; da Questa sera si recita a soggetto di Pirandello alle goldoniane La putta onorata, La vedova scaltra,Gli innamorati; da Casa di bambola di Ibsen a Non giurare su niente di Alfred de Musset; da La morte di Danton di Georg Büchner a Un caso clinico di Buzzati, dal dittico Ilmedico volante di Molière e L’amante militare di Goldoni, a Oplà, noi viviamo! del tedesco Ernst Toller.
Il clamoroso successo raggiunto nel ruolo del protagonista nell’Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, messo in scena da Strehler, e interpretato dal luglio 1947 al 1960, ne consacrò la fama internazionale.
Moretti ebbe al proposito occasione di ricordare: «La prima volta che indossai i panni di Arlecchino fu durante un saggio di recitazione dell’Accademia di arte drammatica a Roma, in quanto un regista aveva scelto per quel saggio Arlecchino servo di due padroni. Naturalmente, non era allora l’Arlecchino di oggi; epperò fui notato da Guido Salvini che mi promise una scrittura; promessa che fu adempiuta qualche tempo dopo. Arlecchino come un po’ tutte le maschere, non è personaggio facile. E molti furono i miei studi, su testi anche dell’epoca, per avvicinarmi il più possibile alla tradizione, sia pure con una infarinatura di modernità. Arlecchino è parente strettissimo di Pulcinella. Come lui è personaggio famelico e sitibondo, servitore inservibile di tutti i suoi padroni, tonto nel combinar pasticci e furbo nel trarsi d’impaccio, anelante allo zecchino e pago d’una polpetta, mezzano per costrizione e amante della servetta per vocazione, attaccabrighe, acchiappanuvole, di lingua lesta e di groppa dura, specchio pressoché fedele di tutta l’umanità servile dell’epoca in cui fu espresso e agì» (Il nuovo Arlecchino è uscito dalla cambusa, in Milano Sera, 3 novembre 1953).
In questo ruolo mise a disposizione della fantasia creativa del regista non solo le proprie abilità fisiche, ma anche la prontezza del gesto e della battuta. Strehler, infatti, durante le prove fissò alcune trovate sceniche nate dal lavoro con Moretti che contribuirono alla straordinaria fortuna dello spettacolo. In tale sinergia si sviluppò anche il lavoro volto a recuperare le tecniche recitative dei comici dell’arte e il conseguente utilizzo della maschera. Strehler raccontò che Moretti scoprì per primo che la bocca acquisiva con la maschera, una straordinaria importanza: «Appena sottolineata da una riga bianca, la bocca che usciva dalla parte superiore del viso mascherato, mobile e viva, acquistava un valore espressivo incredibile » (G. Strehler, In margine al diario, in Quaderni del Piccolo Teatro, cit., p. 60).
Numerosissime furono le recite di Arlecchino, in Italia e nel mondo, portate in scena dal Piccolo Teatro durante tournées divenute leggendarie: in 13 anni Moretti rappresentò il suo ruolo più di 700 volte, in 105 città di 26 Paesi dagli Stati Uniti alla Russia, dal Sud America all’Africa. Nelle tre edizioni dello spettacolo (1947, 1952, 1956) si avvicendarono i più celebri attori dell’epoca: unico e insostituibile protagonista fu sempre Moretti il quale finì con il far coincidere il proprio lavoro di attore con il ruolo di Arlecchino. Strehler testimonierà più volte il complesso rapporto instaurato dall’attore con il personaggio, che Moretti sentiva come una «limitazione » crudele alle sue possibilità di esprimersi in altre dimensioni sul palcoscenico.
«Questa maschera che egli aveva indossato un giorno, aveva finito per diventare un suo secondo modo di essere, nel teatro. L’attore, ad un certo punto, per il pubblico e per i teatranti si identificava con la sua maschera» (ibid., pp. 57 s.). Secondo il regista, Moretti fu del resto «un attore difficile e assai particolare. Limitato nel suo fisico e limitato nel suo organo vocale, pesante, non sempre limpido nella dizione e soprattutto non sempre in accordo con la sua “figura” scenica. […] Ma in questo limite raggiungeva sempre risultati di altissimo valore. […] Marcello ottenne questo risultato, questa densità espressiva semplicemente recitando il piccolo personaggio con la chiarezza, la dedizione, la concentrazione che l’attore in genere e quello italiano in particolare concede solo ai “grandi” personaggi. […] Io non ricordo una sola volta in cui, durante una recita, il diario privato dell’attore Moretti abbia inciso sul personaggio che egli interpretava. Né fatti fisici, né morali. Chi conosce la fatica interiore delle innumerevoli repliche di uno spettacolo, davanti a pubblici diversi, talvolta spogli, talaltra indifferenti o entusiasti, sa cosa voglio dire. È una tensione a cui pochissimi resistono, un rituale troppo ripetuto per mantenere intatta la sua freschezza iniziale, la sua carica interiore. Marcello fu un attore d’una rigidità morale assoluta e di una intransigenza che poteva persino diventare cattiva. I suoi compagni di lavoro ne sanno qualcosa. […] è stato uno degli attori più disciplinati che io abbia mai avuto, se non il più disciplinato. Disciplinato non verso di me e se stesso. Disciplinato verso il mestiere, il teatro. E tutto ciò senza farlo parere, con una naturalezza così esemplare, da sembrare cosa di tutti» (ibid., pp. 58 s.).
Lasciato, non senza qualche dissidio, dopo sei anni di collaborazione continuativa il Piccolo Teatro (pur facendovi ritorno annualmente per le numerose recite di Arlecchino in Italia e all’estero), Moretti fu dal novembre 1953 con la milanese compagnia stabile del Teatro di via Manzoni con la quale interpretò L’Allodola di Jean Anouilh, per la regia di Mario Ferrero («Marcello Moretti – scrisse Roberto De Monticelli, 1996, I, p. 54 – ha dato gustoso e grottesco rilievo alla figura, inevitabilmente parodistica, del Delfino ed è stato pure applaudito a scena aperta») e Tartufo di Molière, «camuffato in bende femminili, quelle della vecchia e pettegola Madame Pernella» (S. d’Amico, 2005, V, t. 3, p. 642), accanto a Lilla Brignone, Memo Benassi e Gianni Santuccio. Successivamente fu Estragon nella prima rappresentazione italiana di Aspettando Godot di Samuel Beckett con la regia di Luciano Mondolfo a fianco di Vittorio Caprioli e Claudio Ermelli e, nel 1955, interpretò un monologo di Pedro Bloch, Le mani di Euridice, per la regia di Andrea Camilleri.
Dal gennaio al giugno 1956, fece parte di una compagnia di attori veneti, raccolti intorno a Cesco Baseggio, sotto il nome di Teatro di Venezia, promossa dal Piccolo Teatro di Milano con la quale presentò in numerose città italiane il Parlamento de Ruzante, regia di Carlo Lodovici, La famiglia dell’antiquario di Goldoni, regia di Orazio Costa, Il matrimonio di Ludro di Francesco Augusto Bon, regia di Gianfranco de Bosio e La cameriera brillante di Goldoni, regia di Lodovici.
A proposito di quest’ultima interpretazione, De Monticelli ebbe modo di osservare: «E giacché s’è citata la commedia dell’arte, ecco Marcello Moretti, un attore che sembra esserci nato dentro, tanto le sue doti di grossa comicità popolaresca e i suoi guizzi di mimo acrobatico cadono a proposito in parti come questa, di Traccagnino, servo tonto e affamato» (1996, I, p. 152).
Nel secondo semestre del 1956, Moretti fu nuovamente in tournée con il Piccolo Teatro (Inghilterra e Nord Europa) e, oltre al consueto e trionfale Arlecchino, interpretò il dottor Hinkfuss in una nuova edizione di Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, regia di Strehler. Sempre con il Piccolo Teatro e con la regia di Strehler nel novembre 1957 partecipò a Coriolano di Shakespeare, nel dicembre 1957 fu il suggeritore Tita «d’una comicità bizzosa, spolverata di malinconia» (ibid., p. 224) in Goldoni e le sue sedici commedie nuove di Paolo Ferrari e, nel febbraio 1958, Vang ne L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht.
Dal 1955 al 1959 prese parte, inoltre, a diverse realizzazioni televisive sia di spettacoli presentati in teatro (per esempio, Arlecchino servitore di due padroni), sia di testi prodotti in esclusiva per la RAI (fra gli altri, Gli interessi creati di Jacinto Benavente per la regia di Guglielmo Morandi).
Nel dicembre 1959, si allontanò nuovamente dal Piccolo per lavorare con la compagnia diretta dal regista Franco Enriquez con il quale fu dapprima Falena in Pene d’amor perdute di Shakespeare, poi, nel dicembre 1960, il protagonista de Il rinoceronte di Ionesco in cui, secondo Lazzari, «offrì di sé una nuova dimensione drammatica, al di fuori della sua celebre maschera » (A. Lazzari, Scompare con M. M. un Arlecchino indimenticabile, in L’Unità, 19 gennaio 1961). Durante questa ultima interpretazione, Moretti ebbe alcuni problemi di salute che lo obbligarono a sospendere la tournée e a fare ritorno a Roma.
Morì il 18 gennaio 1961 a seguito di un collasso cardiaco.
Fonti e Bibl.: Cartella M. M. conservata presso l’Archivio storico del Piccolo Teatro di Milano. Oltre ai lavori citati, si vedano: E. Pozzi, Paolo Grassi, Quarant’anni di palcoscenico, Milano 1977; T. Viziano, Silvio d’Amico & Co. 1943-1955. Allievi e maestri dell’Accademia d’arte drammatica di Roma, Roma 2005; Teatro - Gli autori, Le opere, Gli interpreti, Novara 1992, s.v.; R. Rebora, M. M. ultimo Arlecchino, in Sipario, 1961, n. 178, p. 2; R. De Monticelli, Marcello Moretti ovvero la sorte di essere Arlecchino in Id., L’attore, a cura di O. Bertani, Milano 1988, pp. 347-349; Id., Le mille notti del critico. Trentacinque anni di teatro vissuti e raccontati da uno spettatore di professione, a cura di G. De Monticelli - R. Arcelloni - L. Galli Martinelli, I, Roma 1996, passim; P. Grassi, Lettere 1942-1980, a cura di G. Vergani, Milano 2004, pp. 29, 41, 55, 102; S. d’Amico, Cronache 1914-1955, a cura di A. d’Amico - L. Vito, V, Palermo 2005, passim; P. Bosisio, Il teatro di Goldoni sulle scene italiane del Novecento, Milano 1993; V. Gallo, Nota sulla fortuna, in C. Goldoni, Il servitore di due padroni, a cura di V. Gallo, introduzione di S. Ferrone, Venezia 2011, pp. 326-335; si veda inoltre: Enc. dello spettacolo, II, Roma 1954, sub voce.