CUSANI (Cusano), Marcello Papiniano
Nacque a Frasso Telesino, Principato Ultra, oggi provincia di Benevento, il 17 febbr. 1690 dal notaio Antonio e da Antonietta Rainone.
I Cusani, presenti nella Valle Vitulanense sin dall'inizio del XVII secolo - dove nacquero Biagio, zio di Antonio, poeta e professore di diritto canonico a Napoli e Gennaro, zio di Marcello, professore di diritto civile fino al 1703 e poi di canonico - si estesero poi alle vicine Frasso Telesino e Solopaca.
Dopo la prima formazione, avvenuta in famiglia, il C. si recò a Napoli, presso lo zio Gennaro, per dedicarsi agli studi giuridici. Si inserì ben presto negli ambienti dotti della capitale e divenne assiduo della Congregazione dei padri pii operai che, sotto la guida di padre Torres, era diventata luogo di ricerca storico-religiosa, privilegiata dai giuristi partenopei.
Vico e Giannone, tra gli altri, ricordano il Torres guida intelligente e sensibile per gli intellettuali napoletani, religiosi e laici che, dalla fine del secolo, a contatto della "nuova scienza" cartesiano-gassendiana, diffusa a Napoli dal Di Capua, Cornelio e Valletta, sentivano l'esigenza di approfondire la ricerca scientifico-filosofica, liberi da dogmatismi e pregiudizi. La netta avversione dei gesuiti per quella "rinascenza" fortificò in quegli intellettuali e riformatori la coscienza d'essere l'unica forza attiva del Regno e ne rinvigorì il bisogno di conquistarsi un proprio autonomo ruolo politico-culturale, per meglio contrastare lo scolasticismo gesuitico e la struttura giuridica, privatistico-feudale, del Regno.
Formatosi alla scuola dello zio - antigesuita, antispagnolo, maestro di B. Giannelli, di N. Fuggianni, convinto sostenitore della storicità del diritto romano e canonico - e sicuramente segnato dalla profonda religiosità del Torres, il C. nel 1709 scelse lo stato clericale. Il rinnovamento della società e della Chiesa venne assunto dal C. non solo come compito civile e intellettuale, ma anzitutto come impegno specifico del cristiano che trova nel messaggio evangelico - riletto con perizia filologica e certezza storica - il patrimonio dottrinario al quale ispirarsi.
Terminati gli studi giuridici, compì quelli teologici, al di fuori di scuole ufficiali ma, comunque, ispirati in senso antiscolastico e certamente condizionati dal metodo storico-filologico ormai prevalente a Napoli. Il forte richiamo alla storia, infatti, avvertito come indispensabile anche negli studi teologici, serviva a fondare la riforma stessa della teologia, identificata con la storia ecclesiastica. La familiarità del C. con autori già classici, eterodossi - Sarpi, Pallavicino, De Marca, De Dominis, Dupin, De Thou, Fleury, Van Espen - che emerge dalle sue Institutiones, conferma quel condizionamento.
Il C. ricevette l'ordinazione sacerdotale il 10 giugno 1713, nella cattedrale di Vico Equense, da monsignor Tommaso d'Aquino. Stabilitosi a Napoli, intensificò i contatti con il conterraneo B. Giannelli, nel cui circolo il C. conobbe Argento, Biscardi, Giannone, Vico, N. Capasso, Caravita , Egizio, Fraggianni, Riccardi ed altri. I suoi contatti con la cultura laica, filoaustriaca - impegnata specie dopo il passaggio del viceregno agli Austriaci (1707), contro il curialismo - sollecitarono ancor più il suo impegno di studioso dei problemi giuridici del Regno e di riformatore religioso.
Certamente la sua attività fino al 1720 fu intensa e apprezzata, se in quell'anno poté ottenere l'incarico di sostituto di Digesto vecchio nello Studio napoletano e nel '23 si presentò al concorso per le cattedre di diritto civile e di diritto canonico. Vinto quel concorso, che tante amarezze costò a Vico, da Domenico Gentile, il C. accettò l'invito rivoltogli da F. d'Aguirre, tramite B. Lama e C. Grimaldi, a ricoprire la cattedra di diritto civile nella ricostituita università di Torino. Su quella cattedra Vittorio Amedeo II e lo stesso d'Aguirre avrebbero voluto il Vico che - come C. Galiani, pure invitato, per altra cattedra - non accettò.
L'università torinese, regolata dalle costituzioni emanate dal sovrano nel 1723, voleva essere, sul modello di quelle francesi, il luogo di formazione di docenti e giuristi in grado di sostituire la dominante cultura gesuitica e realizzare i disegni assolutistici del sovrano. In tal senso la formazione storico-giuridica, ecclesiastica e civile, e l'orientamento religioso riformatore del C. costituivano garanzie certe. E, difatti, giunto a Torino nel 1724, questi vi svolse un'attività intensa e valida, che lo portò a ricoprire subito la carica di prefetto degli studi. Vi restò fino al 1730, quando decise di andarsene come il d'Aguirre, il Lama ed altri, in seguito alle misure restrittive della libertà d'insegnamento ereligiosa, imposte da Carlo Emanuele III.
In quegli anni, comunque, ebbe modo di conoscere M. A. Campiani, già allievo di G. V. Gravina, B. A. Chionio giurisdizionalista convinto, C. S. Berardi, il più insigne canonista di quell'università, il napoletano Cherubino Colonna, professore di Decretali, G. B. Somis, G. B. A. Bono, dei quali condivise l'orientamento storico-religioso. Mantenne altresì i contatti con l'ambiente napoletano: fu il C., ad c,;empio, a informare il d'Aguirre delle Riflessioni ... del Sanfelice contro il Giannone, con il quale intratteneva rapporti epistolari.
Agli inizi del 1730 raggiunse Vienna; il suo arrivo, voluto e propostogli dal Giannone, gli permise di consolidare un'amicizia umana e intellettuale di vecchia data e di approfondire e verificare il suo orientamento nelle quotidiane discussioni con l'amico, impegnato nella stesura del Triregno e nella difesa e diffusione dell'Istoriacivile. Tramite il Giannone egli conobbe i fratelli Mencken e M. M. Bousquet, con il quale trattò la possibile edizione francese dell'Istoriacivile, egiuristi e storici europei. Ebbe altresì maggiori possibilità di seguire la vita politicoculturale napoletana, per la quale Vienna costituiva il punto di riferimento obbligato anche per la presenza di Giannone. Al C. si rivolsero infatti, M. Egizio, G. Grimaldi ed altri, perché presentasse al Giannone le loro opere. In tale clima, descritto con vivezza dall'Epistolario giannoniano, il C. vide sfumare, per opposizione di Roma, la possibilità di rientrare a Napoli con l'incarico di cappellano maggiore, attribuito, infatti, a G. Galiani.
Qualche anno dopo, però, superando gravi difficoltà, riuscì nel suo intento, rientrando a Napoli con un incarico non uguale ma., comunque, prestigioso: la cattedra mattutina di diritto civile, già di N. Capasso. Tale rientro, perseguito con tenacia dal Giannone per tutto il 1733, maturò ai primi del '34, grazie all'intervento decisivo di B. Lama e del marchese di Rialp presso C. Galiani. Il quale lo preferì a G. P. Cirillo e a F. Rapolla per le garanzie culturali che offriva, indispensabili alla realizzazione dell'attento disegno di rinnovamento scientifico-religioso che l'illuminato cappellano maggiore aveva in mente e del quale il C. divenne protagonista.
Nel lasciare Vienna quella corte gli assegnò un beneficio - la badia di S. Filippo di Lauria in Calabria - in ricordo dei sentimenti filoaustriaci degli zii Biagio e Gennaro ma, forse, anche in compenso di incarichi affidatigli dall'imperatore, dal momento che, al suo arrivo, alla fine del '34, nella Napoli di Carlo di Borbone, l'accusa mossagli da un tal Domenico De Angelis e dal nunzio pontificio di essere "un genio alemanno e austriacante" preoccupò il re, il quale, tuttavia, ben presto poté apprezzare la lealtà e la dedizione del Cusani. Questi, infatti, dedicò alla ricomposizione dei rapporti Stato-Chiesa nel Regno e alla difesa dei diritti regi le sue migliori energie di docente pubblico e privato. Tale impegno gli valse la nomina regia - proposta dal Galiani - di revisore dei testi giuridici.
Intanto, i rapporti epistolari con Giannone - rimasto a Venezia - divennero fitti e segreti. Se ne hanno notizie dalle lettere di Giannone al fratello Carlo, dalle quali si apprende anche che il C. era giunto a Napoli con un baule di testi e manoscritti giannoniani.
Il C. a Napoli - docente di diritto e di storia ecclesiastica - frequentò il salotto di casa Galiani ed ebbe allievi prestigiosi: tra gli altri Ferdinando Galiani, che lo annovera - insieme con Vico e Gravina - tra i più illustri giuristi partenopei, e che ci ha lasciato una recensione a un suo testo di etica; Giuseppe Palmieri, ma, anzitutto, Antonio Genovesi, che, per intervento del C. che ne aveva letto e apprezzato l'Etica ottenne la cattedra onoraria di metafisica nel 1741.
Dal 1739 il cappellano maggiore, impegnato a Roma per il concordato, affidò la responsabilità dell'università al C. che, pertanto, constatò direttamente le difficoltà che incontrava il disegno riformatore dell'amico Galiani: in particolare negli insegnamenti di diritto, svolti con metodologie superate, perché fondate su una concezione dogmatica e astratta del diritto stesso. "Se non si pensa di proposito a ritrovar'uomini, la facoltà legale in tutto sarà persa", scrisse al Galiani nel maggio del 1739; "Non si aprono altri libri che di questi ultimi olandesi, quali sono piuttosto grammatici che giureconsulti. Le chiose di Accursio, i Bartoli, i Baldi nei quali si apprende la giurisprudenza, la metafisica legale ... non s'aprono. Collo studio di questi fiorirono gli Ausili, i vecchi Cusani ... che anche fuori d'Italia furono in somma venerazione ..." (Galiani, pp. 219 s.).
Nel 1746, forse dopo averla sollecitata, il C. accettò la nomina regia di arciprete di Altamura, dove si dedicò a un'intensa attività civile e religiosa. Fu l'occasione propizia per realizzare i suoi propositi di riformatore che, ispirati al cattolicesimo illuminato e all'agostinismo, differenziano la sua azione da quella degli uomini di governo.
Questi, imbevuti di giannonismo, anche quando Giannone è prudentemente sottaciuto, con a capo Fraggianni e Tanucci, impegnano il loro patrimonio culturale nella difesa agguerrita dei diritti regi. Difesa perseguita, si, come convinta affermazione della sovranità dello Stato, ma che riduce ad una contesa giuridico-regalistica la visione giannoniana dei rapporti Stato-Chiesa e ne vanifica la profonda esigenza di riforma eticocivile e religiosa, espressa con passione nel Triregno. Il C., riformatore civile e religioso, ad Altamura realizzò una prassi politico-culturale e pastorale riformatrice, solida e concreta, nonostante le difficoltà opposte dal nunzio e dal regalismo di corte. Varie sono le questioni che egli affrontò: la riqualificazione culturale e pastorale del clero; l'attuazione del catasto onciario; l'istituzione del Monte moltiplico (uno dei primi creati nel Regno); ma, anzitutto, l'istituzione della università degli studi, con insegnamenti di fisica, botanica, chirurgia, agricoltura, biologia e, infine, etica, diritto, filosofia, storia ecclesiastica. L'università degli studi di Altamura, intanto, divenne luogo di formazione di intellettuali e studiosi: G. Carlucci, diffusore di Newton, L. S. Cagnazzi, A. Angelastri, M. Continisio.
L'esperienza altamurana, durata dal 1747 al '52, nonostante indiscutibili successi, spinse il C. a chiedere insistentemente all'amico Galiani di consentirgli di "andar via". E il cappellano maggiore, impegnato nel suo disegno che si realizzava attraverso il controllo dei centri nevralgici della società e della Chiesa, lo propose al re quale arcivescovo di Otranto, in quanto "uomo probo, prudente, dotto, di gravi costumi", preferendolo ad Alfonso Maria de' Liguori, "sacerdote di sufficiente dottrina, di gravi costumi" (Arch. di Stato di Napoli, Farnesiano, fascio 2017, inc. 34, f. 3-4). Nominato dal re di Napoli l'11 dicembre 1752, il C. fu consacrato vescovo a Roma dal patriarca di Costantinopoli F. M. Rossi il 3 marzo 1753. Ad Otranto rimase pochi mesi, poiché già il 27 febbraio del 1754 il re Carlo lo designò arcivescovo di Palermo.
Ricevuto il pallio dal pontefice (11 febbr. 1754), il C. fece il suo ingresso nella nuova diocesi - acclamato subito principe della muratoriana Accademia del buon gusto - e diede vita a una vasta attività di riforma: nella formazione del clero, riordinando gli studi giuridici e filosofici contro l'egemonia gesuitica, introducendo la conoscenza di Locke, "il divin filosofo britanno", già tentata da Galiani a Napoli negli anni Trenta; nella vita economica, liberalizzando il commercio dell'olio e del grano. Decisiva fu, altresì, la sua azione per l'affermazione del potere del sovrano sui particolarismi feudali, preparando così il terreno per la futura azione del viceré Caracciolo e la cacciata dei gesuiti. Validissimi suoi collaboratori furono, nei primi mesi, monsignor F. M. Testa e monsignor S. Ventimiglia, che egli stesso propose a Benedetto XIV per i vescovadi di Monreale (1754) e Catania (1757). A differenza che ad Altamura, a Palermo il C. poté affrontare il ripristino della disciplina ecclesiastica senza gli ostacoli che gli erano stati frapposti nella città pugliese, soprattutto da parte del nunzio pontificio che aveva insinuato dubbi tra il clero e il popolo circa la validità stessa della sua nomina regia. Anzi, allora, il sostegno del re, ma soprattutto dell'illuminato Benedetto XIV gli conferivano l'autorevolezza e il prestigio necessari affinché il popolo e la nobiltà siciliani accettassero un primate che, sebbene "uomo grande di lettere e di zelo", non era, però isolano e per di più "d'ignobile casato" (C. Villabianca, Biblioteca storico-letteraria di Sicilia, Palermo 1874, XII, pp. 283 s.; 313 s.; XIII, pp. 95 s.).
Era inevitabile, peraltro, che la nobiltà feudale, laica ed ecclesiastica ostacolasse la sua azione riformatrice. I contrasti non tardarono a venire. sia teologico-dottrinali con i gesuiti - che videro nel C. il simbolo e il campione della cultura antigesuita, antiprobabilista - sia con il baronaggio, che, quando nel 1755 re Carlo lo nominò anche viceré, ottenne subito (dopo soli quarantasette giorni), la sua sostituzione con il debole e compiacente Fogliani. Il 16 luglio 1762, afflitto da un'incipiente cecità e in difficoltà nell'affrontare i continui viaggi presso la corte di Napoli, si dimise dall'arcivescovado. Ritiratosi a Napoli e accolto dall'amico Ignazio Della Croce, generale degli agostiniani, presso il proprio Ordine, il C. visse fino al 1766 in contatto diretto ed epistolare con amici agostiniani, filogiansenisti, illuminati di Napoli e d'Italia.
Il C. morì a Napoli nel 1766 e fu sepolto nella chiesa degli agostiniani scalzi di S. Maria della Verità.
Il C. non pubblicò nessuno dei suoi lavori di carattere giuridico, di cui forniscono notizie A. Airoldi, M. Continisio e F. Galiani. Ricerche condotte nei luoghi ove egli soggiornò hanno consentito di ritrovare alcune delle redazioni delle sue lezioni universitarie. In particolare: Napoli, Bibl. degli istituti giuridici dell'Università, Institutiones Iuris Ecclesiastici (due volumi autografi datati 1741; una copia eguale si trova nella Bibl. comunale di Palermo); Bari, Biblioteca provinciale "G. De Gemmis", Institutiones Iuris Ecclesiastici (quattro volumi autografi non datati ma del periodo altamurano); Altamura, Bibl. dell'Ente Archivio, Biblioteca, Museo civico, Institutiones Iuris Ecclestastici (quattro volumi non datati, non autografi); Ibid., Institutiones Iuris Ecclesiastici (tre volumi non datati, non autografi).
Questi scritti s'inquadrano nella metodologia storico-filologica "culta" che ha, a Napoli, i suoi primi seguaci in M. Freccia, l'Ammirato, Andrea di Palo ed è realizzata compiutamente con D'Andrea, Gravina, Valletta e C. Grimaldi. In particolare, Gravina, per gli studi giuridici, e C. Grimaldi, per gli studi di teologia e storia ecclesiastica, sono gli antecedenti metodologici del Cusani. Il quale, in tali opere, affronta i problemi connessi alla formazione del diritto canonico e all'affermazione della sovranità dello Stato senza nulla cedere allo scetticismo o al dogma. L'analisi dei documenti che fondano questi due fenomeni è condotta dal C. con metodo storicofilologico e geometrico: all'accertamento rigoroso dei fatti, segue, nell'esposizione, una esigenza didattico-istituzionale, di lucida essenzialità di derivazione cartesiano-giansenista. L'altro decisivo riferimento che regge tutta l'opera del C. è il giusnaturalismo groziano.
Fonti e Bibl.: Per i dati biogr. v. S. Agata dei Goti, Arch. stor. diocesano, Atti sacerdotali, C-10, 2; Libro di Patente, a. 1700, I, p. 144. Per l'insegnamento a Napoli: Arch. di Stato di Napoli, Capp. magg., Affari diversi, vol. 718 (III) , aa. 1722-1724, pp. 323-326; Capp. magg., vol. 1177, fasc. V, Album dei Professori, aa. 1734-1737; Arch. Segr. Vaticano, Segr. di Stato Napoli, 394, f. 381; Napoli, Arch. della Soc. nap. di storia patria, C. Galiani, Corrisp. autogr., Mss. XXXI, 2, pp. 219-220; A. 3, p. 321; Ibid., F. Galiani, Scritti vari, XXXI, A. 9, pp. 195-205. Per la carriera ecclesiastica dei C.: Arch. di Stato di Napoli, Segreteria dell'Ecclesiastico, Reali dispacci, vol. 98, pp. 26-27; Ibid., vol. 159, p. 86; Arch. di Stato di Palermo, Registro del Protonotaro, vol. 853, cc. 205r, 280v. Per il C. a Torino e a Vienna: Napoli, Arch. della Soc. nap. di storia patria, P. Giannone, Epistolario, passim; Arch. di Stato di Napoli, Consiglio di Spagna, Diversorum, aa. 1733-1734, fasc. 94, pp. 77-78. Vedi inoltre: G. P. Origlia, Ist. dello Studio di Napoli, II, Napoli 1754, pp. 279 s.; A. Airoldi, Oraz. nel ricevere M. P. C. protettore dell'Accademia Palermitana, Palermo 1764; M. Continisio, Lodi. funebri dell'Eccell.mo e Rev.mo Mons. M. P. C., Altamura s. d. (ma 1766); V. Ariani, Commentarius de claris iuris consultis Neapolitanis, Neapoli 1769, pp. LXXXIII s.; F. Galiani, Del dialetto napoletano, Napoli 1778, p. 148; A. Genovesi, Vita di A. Genovese, in Illuministi italiani, V, a cura di F. Venturi, MilanoNapoli 1962, p. 54; P. Giannone, Vita scritta da lui medesimo, Milano 1968, a cura di S. Bertelli, ad Indicem; P. Napoli Signorelli, Il Regno di Ferdinando IV, Napoli 1798, pp. 152 s.; D. Scinà, Prospetto della storia letter. di Sicilia nel sec. XVIII, Palermo 1823, I, pp. 23-24; II, pp. 293 s.; P. Lanza di Scordia, Considerazioni sulla storia di Sicilia dal 1532 al 1781, Palermo 1836, pp. 471-478; E. Catalano, Liberalismo economico e religioso e filogiansenistico in G. A. De Cosmi, Milano-Roma-Napoli 1926, pp. 26 s.; G. M. Monti, La feudalità napol. nel 1737e un oscuro riformatore, in Samnium, I (1928), 2, pp. 60-62; F. Nicolini, Un grande riformatore ital.: C. Galiani, Napoli 1951, pp. 94, 139-143; M. Rotili, Benevento e la Provincia sannitica, Roma 1953, ad Indicem; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti sicil. del sec. XVIII, in Il Diritto ecclesiastico, LXVIII (1957), pp. 319 s.; G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Riv. stor. italiana, LXXIX (1967), pp. 589-591; L. Marini, Documenti dell'opposiz. curiale a Pietro Giannone, ibid., pp. 720, 723; P. Zambelli, La prima autobiografia di A. Genovesi, ibid., LXXXIII (1971), p. 677; Id., La formazione filosofica di A. Genovesi, Napoli 1972, p. 828; G. E. Di Biasi, Istoria cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, IV, Palermo 1975, pp. 294 s.; A. Gisondi, M. P. C. (1690-1766);Regalismo e riformismo nella sua esperienza civile e pastorale altamurana, in Altamura. Riv. storica, gennaio 1980, pp. 87-137 (con ult. indicaz. sull'epistolario e la bibl.).