PROVENZALE, Marcello
PROVENZALE, Marcello. – Nacque a Cento, presso Ferrara, da Melchiorre e da Maria Conforti. La data di nascita è ignota, mentre è nota quella del battesimo, l’8 gennaio del 1576 (Bagni, 1996, p. 225). La famiglia di provenienza, agiata, vantava origini da un mitico avo di nome Provenço e la prosapia di Provenzale fu anche celebrata da decorazioni realizzate nella sua casa dal Guercino nel 1614 (Fiore, 2010, p. 30).
Dovette apprendere in patria i primi rudimenti dell’arte, e fu dopo un apprendistato con un altro artista centese, Paolo Rossetti, che Provenzale si spostò a Roma; ciò avvenne entro il 1600, anno in cui ottenne il primo prestigioso incarico in S. Pietro in Vaticano (p. 30).
L’ipotesi che egli abbia abbandonato la pittura «dopo aver visto l’opera di Guercino» (Barbanti Grimaldi, 1966, p. 43) lascia perplessi, perché la sua attività di mosaicista è attestata già nel 1600 e Guercino nacque nel 1591.
Nel 1600 il papa era il fanese Clemente VIII Aldobrandini e fu allora che Provenzale partecipò alla realizzazione dei mosaici nella cupola di S. Pietro, su cartoni di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. Si data subito prima, al 1599 circa, la decorazione musiva della calotta absidale e dell’arco absidale di S. Cesareo, a Roma, su disegni di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino; l’attribuzione di quest’opera a Provenzale, suggerita da Edouard Gerspach ([1881], p. 208), è accolta favorevolmente da Camilla Fiore (2010, p. 32).
Dal 1600 Provenzale visse in maniera quasi ininterrotta a Roma specializzandosi nell’arte musiva, che in quegli anni godeva di un momento di forte rinascita, grazie agli impulsi dati dalla committenza pontificia e alle nuove soluzioni tecniche elaborate da Girolamo Muziano. Provenzale sperimentò già nel 1600 una particolare tecnica destinata alla realizzazione di quadri da cavalletto con tessere particolarmente minute. Le sue opere sono caratterizzate dalla polimatericità, pur con un prevalente uso degli smalti; Giovanni Baglione (1642, p. 350) parla di «musaico fino ad imitazione dell’antico, raramente lavorato con la ruota», ovvero non solo realizzato con il tradizionale taglio alla martellina, ma con una finitura delle tessere attraverso l’uso di mole.
La sua produzione di mosaici minuti è nota attraverso poche opere ancora esistenti: del 1600 è la Madonna con il Bambino in gloria, firmata e datata, della Galleria Borghese di Roma. All’incirca della stessa epoca dev’essere la Testa di Cristo già nella collezione Zeri a Mentana (González-Palacios, 1976), realizzata con una tecnica più vibrante e contrastata rispetto a quella che avrebbe caratterizzato la sua successiva produzione, tesa soprattutto a una resa prettamente pittorica. Se la prima delle due opere nacque con sicurezza quale dono per Scipione Borghese, ignota è l’originaria destinazione della seconda (Fiore, 2010, pp. 74-76).
Subito dopo l’impegno nel cantiere della «cupola grande» di S. Pietro, su disegni del Pomarancio prima e del Cavalier d’Arpino poi, Provenzale – qui affiancato da artisti come Paolo Rossetti, Donato Parigi, Ludovico Martinelli e altri – fu impegnato nelle decorazioni musive della cappella Clementina (1601-02), anch’esse su cartoni del Pomarancio (pp. 67 s.).
Nel primo decennio del secolo si colloca l’unico rientro documentato in patria (1604-06), che permise a Provenzale di realizzare le due pale d’altare centesi, oggi unica prova certa della sua non scarsa abilità di pittore. Si tratta della Trasfigurazione nella chiesa di S. Biagio (pp. 92-95) e dell’Orazione nell’orto, oggi nella Pinacoteca civica ma un tempo nel dormitorio maschile dell’ospedale dell’Annunziata (pp. 96-101). L’ampia Trasfigurazione fonde rimandi all’archetipo raffaellesco e la conoscenza dell’opera di Federico Barocci.
È stata riferita a Provenzale, in via dubitativa e con una datazione agli stessi anni, anche una Madonna addolorata già conservata nella chiesa di S. Biagio a Cento e trafugata nel 1976 (p. 32). Il dipinto è tuttavia di forte impianto ‘alla Guercino’ ed è riferibile all’ambito del medesimo; in ogni caso, a esso dovrebbe spettare una data assai posteriore alle due pale.
Dal momento del rientro a Roma, nel 1606, Provenzale fece parte dell’Accademia di S. Luca e fu inoltre candidato alla carica di principe nel 1619 e nel 1627 (p. 37).
Negli anni successivi, l’attività di Provenzale per il cantiere petrino continuò con regolarità, e sono attestati pagamenti fino al 1612 per i mosaici della «cupola grande» (pp. 121-123).
Nel 1614 gli fu chiesto di realizzare a mosaico lo stemma di papa Paolo V al centro della volta della navata centrale in S. Pietro. Per quest’opera, completata nel 1615 e distrutta nel Settecento, Provenzale provvide anche a realizzare il disegno preparatorio (p. 69): per un soggetto araldico, la sua capacità progettuale era considerata adeguata.
L’abilità di Provenzale nella tecnica del mosaico gli fruttò anche la commissione del restauro di un’opera di straordinario valore artistico e storico, la Navicella di Giotto, già nell’atrio di S. Pietro, da lì staccata nel 1610. L’intervento si data al 1617-18 e se ne conosce l’estensione grazie a documenti d’archivio (pp. 72, 124-126, docc. 3.19-3.25) e alla biografia redatta da Baglione (1642, pp. 349 s.), il quale afferma che Provenzale restaurò integralmente i quattro profeti che si affacciano dalle nuvole, le personificazioni dei venti, le figure di s. Pietro e del pescatore, ma intervenne anche in maniera generalizzata sulla restante superficie dell’opera, che dell’aspetto trecentesco conserva oggi in sostanza il solo impianto.
Provenzale effettuò un restauro abilmente mimetico anche su un mosaico, probabilmente un «musaico antico degli uccelli», già nella villa Montalto di Roma e oggi non identificato. L’opera si ritiene raffigurasse uccelli gruiformi a caccia di lumache (Fiore, 2010, pp. 72-74).
La seconda metà del secondo decennio del Seicento vide Provenzale affermarsi nella tecnica del mosaico minuto attraverso la creazione di una serie di tre capolavori, firmati e datati: la Civetta e uccelli (Firenze, Museo degli argenti), del 1616, l’Orfeo, del 1618, e il di poco successivo Ritratto di Paolo V, del 1621 (entrambi Roma, Galleria Borghese). Il primo di questi tre mosaici fu realizzato con ogni probabilità per Scipione Borghese e celebra infatti sullo sfondo l’Acqua Paola e la facciata di S. Pietro: imprese architettoniche dello zio, Camillo Borghese, papa Paolo V. Nel 1631 il mosaico era già entrato nelle collezioni del granduca di Toscana, Ferdinando II (González-Palacios, 1976, p. 31 n. 10). L’Orfeo si deve certamente alla committenza Borghese: il drago, simbolo di quella famiglia, occupa uno spazio rilevante tra le bestie rappresentate ed è quindi un palese omaggio al cardinale Scipione, per il quale l’opera fu realizzata, come testimoniato dall’iscrizione di dedica apposta all’incisione tratta da Giovanni Battista Pasqualini nel 1622 (Fiore, 2010, pp. 83-88). Il Ritratto di Paolo V risale all’anno della morte del pontefice e riscosse unanime consenso, grazie alla resa fortemente pittorica della tessitura musiva (pp. 88-90).
Per la famiglia Borghese, che protesse l’artista per diversi decenni, Provenzale eseguì anche un’opera descritta nel 1650 come «musaico piccolo di due uccelli sopra un ramo» (Manilli, 1650), ma oggi dispersa. Fiore, autrice di un’ottima monografia su Provenzale, ha rinvenuto notizia di questo mosaico in una nota di donazione dei beni da parte dell’artista a favore del cardinale Scipione Borghese, del 1624 (2010, pp. 32 s., 111 s., doc. 1.7a): Provenzale vi afferma che «nonulla opera ad musaicum confecerit quo servitio illustrissimi et reverendissimi domini Scipionis» e tra esse «una Madonna, un Orfeo, una Civetta, un quadro con doi uccelli et un ritratto della felice memoria di papa Paolo V».
Per il medesimo committente, Provenzale realizzò forse, nel 1620 circa, inserti musivi nel pavimento della chiesa di S. Crisogono a Roma (Antinori, 2005), oltre che, sicuramente, due sigilli intagliati di pietra rossa nel 1625 (Bertolotti, 1886, pp. 210, 244). Non disdegnando di prestare il suo talento alle arti ‘applicate’, Provenzale partecipò all’organizzazione del lavoro e al reperimento dei materiali per il Tavolo Borghese, realizzato da Alessandro Algardi nel 1634-35 e oggi in collezione privata (Montagu, 1977).
Le fonti ricordano alcune altre opere oggi non conosciute, tra cui un Martirio di s. Sebastiano, per i Medici, e un trittico con Cristo morto sostenuto da angeli e due Angeli cerofori nelle valve (Fiore, 2010, pp. 35-37).
L’eredità artistica di Provenzale fu raccolta dal suo allievo mosaicista Giovan Battista Calandra da Vercelli.
Provenzale fu in relazioni amichevoli con il Guercino, suo conterraneo: gli commissionò una tela raffigurante Erminia che ritrova Tancredi ferito, ora presso la Galleria Doria-Pamphilj di Roma, e lo aiutò ad allargare la cerchia della committenza a Roma (Mellini, 1987).
Fu più volte ritratto da Ottavio Leoni, del quale fu testimone di nozze nel 1616 (Fiore, 2010, p. 40); nel 1623 fu inoltre testimone alla stipula dell’accordo tra Paolo Alaleoni e Simon Vouet per le pitture di quest’ultimo in S. Lorenzo in Lucina (Marini, 1974).
Proprio in questa chiesa egli volle essere sepolto, e per questa sepoltura previde la realizzazione di un busto bronzeo: ignoriamo se questo sia identificabile con quello conservato nel portico esterno di S. Biagio a Cento, che potrebbe persino documentare un’attività altrimenti ignota di scultore (Fiore, 2010, pp. 91 s.).
Morì a Roma, nel palazzo Borghese in Campo Marzio, il 4 giugno 1639 (pp. 37, 114).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, La vita de’ pittori, scultori, et architetti, Roma 1642, pp. 349 s.; G. Manilli, Villa Borghese fuori Porta Pinciana, Roma 1650, p. 111; A. Masini, Bologna perlustrata, I, Bologna 1666, p. 633; O.C. Righetti, Le pitture di Cento e le vite in compendio di vari incisori e pittori della stessa città, Ferrara 1768, pp. 11, 14; G. Baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, II, Ferrara 1846, pp. 412-424; E. Gerspach, La mosaïque, Paris [1881], pp. 198-208; A. Bertolotti, Artisti bolognesi, ferraresi ed alcuni altri del già Stato pontificio in Roma, Bologna 1886, ad ind.; N. Barbanti Grimaldi, La Pinacoteca di Cento, Cento 1966, p. 43; M. Marini, L’opera di Simon Vouet nella cappella Alaleoni in San Lorenzo in Lucina, in Arte illustrata, VII (1974), 58, pp. 197 s.; A. González-Palacios, P. e Moretti: indagini di due mosaici, in Antichità viva, XV (1976), 4, pp. 26-37; J. Montagu, Alessandro Algardi and the ‘Borghese Table’, in Antologia di belle arti, I (1977), 4, p. 312 nn. 10 e 13; A. González-Palacios, Mosaici e pietre dure. Mosaici a piccole tessere. Pietre dure a Parigi e a Napoli, I, Milano 1982, p. 11; G.L. Mellini, Guercino d’après lui-même, in Labyrinthos, 1987, nn. 11-12, p. 73; P. Bagni, Artisti centesi del Cinquecento, Cittadella 1996, pp. 225-255; R. Valeriani, in La forma del colore. Mosaici dall’antichità al XX secolo (catal., Rimini), a cura di A. Donati, Milano 1999, p. 179 nn. 60-61; T. Contri, P. e Rossetti, mosaicisti a Roma, in Le famiglie centesi. Atti del Convegno… 2000, Cento 2002, pp. 399-429; A. Antinori, I dipinti murali degli altari di S. Crisogono per Scipione Borghese: Giovan Battista Mercati, Bernardino Parasole, Ippolito Provenzale, in Arte e immagine del papato Borghese (1605-1621), a cura di B. Toscano, San Casciano Val di Pesa 2005, p. 97 n. 29; C. Fiore, M. P. e l’arte del mosaico, Cento 2010.