SCOTTI , Marcello
SCOTTI (Scotto), Marcello (Maria Domenico Vincenzo Clemente). – Fu battezzato a Napoli il 10 luglio 1740, figlio di Giuseppe di Gregorio e di Vittoria Schiano, entrambi originari dell’isola di Procida e cugini in terzo grado. Il nome Marcello proviene dalla famiglia paterna, in quanto appartenuto al nonno, tra gli ulteriori nomi di battesimo, invece, non compare Eusebio, il secondo nome con il quale divenne noto. In verità, il nome Marcello Eusebio Scotti è attestato soltanto nella produzione letteraria e nei documenti in cui veniva menzionato in quanto autore. In tutti gli altri atti amministrativi che lo riguardano, invece, egli compare con il solo primo nome di battesimo. Probabilmente, la scelta di aggiungere Eusebio, il cui significato letterale è ‘pio’, ‘religioso’, fu dello stesso Scotti.
Alla metà degli anni Cinquanta, il padre era già defunto, lasciando a Scotti e alla madre l’onere di provvedere a due fratelli e sei sorelle minori. Con l’aiuto dello zio paterno, il sacerdote Nicola Scotto, divenne convittore nel Collegio dei cinesi, dove completò gli studi, per poi intraprendere la carriera ecclesiastica. Ricevette la prima tonsura il 31 gennaio 1756, ottenendo gli ordini minori il 12 giugno dello stesso anno. Il patrimonio sacro venne costituito su una quota di rendite da immobili ereditate dal padre nell’area di Monte di Procida. Nel 1762 ottenne il suddiaconato e, nell’estate del 1763, il sacerdozio, divenendo insegnante di eloquenza e di filosofia presso lo stesso Collegio dei cinesi dove si era formato.
Pur avendo trascorso la maggior parte della sua giovinezza a Napoli, Scotti non aveva mai smesso di dichiararsi «clericus insulae Procidae». Infatti, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, alcuni dei suoi biografi ritengono si fosse ritirato definitivamente a Procida, dove risiedevano i familiari. In questo periodo egli mise a disposizione dell’autorità municipale dell’isola i suoi talenti di oratore, storico e letterato.
Nel 1775 pubblicò a Napoli una Dissertazione corografico-istorica delle due antiche distrutte città Miseno, e Cuma. Per lo rischiaramento delle Ragioni del Regio Fisco contra la Università di Pozzuoli insieme con il sacerdote Antonio Maria Scialoja, suo cugino dal lato materno, al quale era legato da una profonda affinità politica.
La Dissertazione aveva lo scopo di rivendicare la giurisdizione regia sui territori di Miseno e Cuma a fronte delle pretese della città di Pozzuoli. All’interno di quell’area, infatti, si trova Monte di Procida, località dove i procidani detenevano importanti patrimoni fondiari. L’eventuale riconoscimento dell’autorità puteolana su quel territorio avrebbe comportato il pagamento della ‘bonatenenza’, cioè l’imposta dovuta dai proprietari non residenti e dunque un peso fiscale maggiore per gli isolani. Concepita come un’allegazione forense, la Dissertazione si distingueva per la ragguardevole lunghezza (oltre 250 pagine) e per il livello di competenza mostrato dagli autori. I riferimenti al diritto positivo s’intrecciavano con l’attenta indagine storico-antiquaria, condotta mediante lo studio filologico dei testi classici e medioevali nonché delle epigrafie e dei cimeli rinvenuti nell’area. Con l’analisi storico-corografica, i due autori intendevano superare i limiti tradizionali delle storie erudite locali, improntate sul genere annalistico, attraverso l’esame del territorio e delle vestigia materiali in esso contenute.
Per Scotti, la pubblicazione della Dissertazione valse l’associazione, nel 1779, all’Accademia di scienze e belle lettere, fondata l’anno precedente da Ferdinando IV, fortemente incoraggiato dal suo nuovo primo segretario di Stato, Giuseppe Beccadelli, che, nel 1776, aveva sostituito Bernardo Tanucci.
Si trattò di un momento fondamentale nel percorso intellettuale e politico di Scotti. All’interno dell’Accademia egli fu inserito nell’ultima delle quattro classi in cui era stata suddivisa, dedicata allo studio dei ‘bassi tempi’, dunque del Medioevo, che il sacerdote procidano proponeva di esplorare in chiave patriottica, focalizzando l’attenzione sulle autonomie cittadine dell’età bizantina. Nel contempo, egli manifestava un atteggiamento politico decisamente regalista, mentre sul piano religioso si attestò su posizioni filogianseniste. Nel 1781, in occasione dei funerali organizzati dalle autorità procidane per Maria Teresa d’Asburgo, Scotti venne invitato a comporre un’orazione e delle iscrizioni funebri dal sindaco Nicola Scialoja, fratello di Antonio e dunque cugino di Scotti. Tra il 1784 e il 1785 è probabile la sua adesione alla massoneria, mentre, nell’anno successivo, la nomina alla prima segreteria di Stato di Domenico Caracciolo, favorevole a una politica regalista, determinò l’avvicinamento di Scotti al gruppo di ecclesiastici legati a Carlo De Marco, segretario di Grazia e Giustizia e degli Affari ecclesiastici, nonché membro del Consiglio di Stato.
Scotti fu pienamente coinvolto nello scontro tra Stato e Chiesa che caratterizzò la seconda metà degli anni Ottanta. Nel 1786 l’arcivescovo di Napoli, Giuseppe Maria Capece Zurlo, gli impedì di predicare nel territorio della diocesi, forse in reazione alla nuova politica del governo. Nello stesso periodo Scotti lavorava alla sua opera più nota, il Catechismo nautico, il cui primo dei tre volumi previsti venne pubblicato nel 1788 a Napoli. Il saggio era rivolto all’istruzione dei marittimi di Procida, dove il governo aveva pianificato dal 1785 di stabilire una scuola nautica basata sul metodo normale, e per dirigere la quale circolò anche il nome dello stesso Scotti. La prima parte era dedicata ai Doveri in generale di tutti gli abitatori delle Città marittime, i successivi due volumi – rispettivamente dedicati ai doveri dei marinai e dei padroni di barche e ai doveri dei militari di marina – non vennero mai pubblicati per mancanza di fondi.
L’anno successivo all’uscita del Catechismo nautico apparve sempre a Napoli un pamphlet anonimo, intitolato Della monarchia universale de’ Papi, dedicato a Ferdinando IV e rapidamente attribuito a Scotti. Il saggio riprendeva in toni fortemente polemici la questione delle interferenze del papato sul potere laico con una particolare attenzione per il Regno di Napoli, sul quale il pontefice vantava diritti feudali fin dal periodo normanno. La pubblicazione del trattato coincideva con l’abolizione, nel 1788, della cerimonia della Chinea, la processione con la quale annualmente la corte napoletana inviava un palafreno bianco a Roma, insieme con il censo feudale, in segno di omaggio al pontefice.
In seguito alla diffusione del trattato, Scotti fu oggetto di aperta ostilità da parte del potere ecclesiastico. Nel marzo del 1791, quando gli eventi rivoluzionari in Francia spinsero la corte napoletana a ristabilire rapporti cordiali con Roma, quest’ultima domandò, tra l’altro, di impedire a Scotti di predicare nella città di Aversa, dove era stato invitato dal governo locale in occasione della quaresima. La nunziatura napoletana accusava Scotti di essere l’autore del Della monarchia universale de’ Papi, benché egli si dichiarasse estraneo all’opera. La vertenza si concluse il mese successivo in modo favorevole a Scotti, ma ormai era troppo tardi per partecipare alle prediche quaresimali, per cui egli fu invitato a prendervi parte l’anno seguente. Nel settembre del 1791, tuttavia, De Marco perse la segreteria degli Affari ecclesiastici a favore di Ferdinando Corradini, più favorevole alla linea di conciliazione con Roma, di conseguenza Scotti rinunciò spontaneamente a recarsi ad Aversa per la quaresima del 1792, ricevendo l’approvazione del sovrano.
Probabilmente, il nuovo clima politico incoraggiò Scotti ad allontanarsi temporaneamente dalla vita pubblica. Infatti, egli non fu coinvolto nella congiura giacobina del 1794, mentre fu tra i maggiori esponenti della Repubblica napoletana nel 1799, in qualità di membro della commissione ecclesiastica (dal 14 febbraio), chiamata a intervenire su diversi aspetti della vita religiosa, inclusa la redazione di un catechismo per il popolo, poi di quella legislativa (dal 15 aprile). Scotti sostenne attivamente il nuovo regime, predicando nelle chiese e nelle strade della città. In seguito alla capitolazione, egli fece parte del gruppo di repubblicani imbarcato sulla flotta napoletana per raggiungere la Francia, ma che all’inizio di agosto venne invece tradotto nelle carceri di Castelnuovo per essere processato.
Fu condannato a morte il 16 novembre e le sue proprietà confiscate. Il 4 gennaio 1800 venne afforcato nella piazza del mercato insieme con Giuseppe Cammarota, Nicola Ricciardi e Giacomo Antonio Gualzetti.
Fonti e Bibl.: Napoli, Archivio storico diocesano, Sacra Patrimonia, 7414; Archivio di Stato di Napoli, Segreteria degli Affari ecclesiastici, Registri dei dispacci, nn. 504, cc. 46v, 227r; 506, c. 275r; 509 c. 14v.
L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 161-163, 573-578; M. Parascandolo, Procida dalle origini ai tempi nostri, Benevento 1893, pp. 274, 277, 286, 288, 293, 295-298; C. De Nicola, Diario napoletano, 1798-1825, III, Napoli 1906, pp. 108, 129, 139, 154, 261, 271 nota 2, 376, 407; S. Fevola, Un abate anticurialista del XVIII secolo: Marcello Eusebio Scotti, Napoli 1915; D. Ambrasi, Riformatori e ribelli a Napoli nella seconda metà del Settecento: ricerche sul giansenismo napoletano, Napoli 1979, pp. 2, 142, 194, 219; E. Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell’età dell’illuminismo, Napoli 1992, pp. 166 e nota, 171; P. Matarazzo, I catechismi degli stati di vita alla fine del Settecento, in Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, a cura di A.M. Rao, Napoli 1998, pp. 503-526 (in partic. pp. 512 e nota 30, 513 e nota 39, 514, 518 e nota 48); L. Terzi, Le scuole normali a Napoli tra Sette e Ottocento: documenti e ricerche sulla “pubblica uniforme educazione” in antico regime, Napoli 2001, pp. 66, 116, 119; R. Di Castiglione, La massoneria nelle Due Sicilie e i «fratelli» meridionali, III, Roma 2010, pp. 129-131.