Adriani, Marcello Virgilio
Nacque a Firenze il 2 luglio 1464, secondogenito del giurista Virgilio di Andrea di Berto Adriani (m. 1493) e di Piera Strozzi; sposò Maria Casavecchia, da cui ebbe Giovanni Battista (1511-1579), letterato. Si iscrisse all’università nel 1480 e fu allievo di Cristoforo Landino e Poliziano, del quale nell’ottobre del 1494 ereditò la cattedra di poetica e oratoria. Rispetto al predecessore, espresse una linea culturale più tradizionalista e si trovò a riprendere il lessico di Coluccio Salutati e di Landino per affermare, contro il platonismo savonaroliano, la funzione cognitiva e sociale della poesia (Godman 1998, pp. 153-54). Nelle prolusioni e nei corsi degli anni successivi (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Plut. 90 39, e Biblioteca Riccardiana, ms. 811), A. ebbe modo di definire sempre meglio il senso, l’utilitas politico-civile del proprio umanesimo, esemplificabile in raccomandazioni che sembrano anticipare M.: in Livio rem et virtutem romanam potius admirari quam pulchritudinem sermonis («in Livio si può ammirare lo stato e la virtù romana piuttosto che la bellezza dello stile»; cfr. Godman 1998, pp. 163, 176). Solidi legami familiari e personali, nonché affinità culturali, fecero sì che, morto il 24 luglio 1497 Bartolomeo Scala (→), A. gli succedesse nella carica di primo cancelliere della Repubblica (16 febbr. 1498), ruolo che rimase più istituzionale e meno politicizzato di quello che toccò, poco dopo, a M. (segretario della seconda cancelleria).
Ciò spiega – in aggiunta all’abile opportunismo con cui seppe svolgere e articolare il doppio incarico di segretario e professore – come A., personalità molto legata all’oligarchia e non ostile ai Medici, potesse mantenere l’ufficio dopo l’elezione di Piero Soderini a gonfaloniere perpetuo (1502), e conservarlo, nonostante la restaurazione medicea del settembre 1512, fino alla morte, sopraggiunta il 27 novembre 1521, dopo tre anni di infermità per i postumi di una caduta da cavallo. Di fatto, il regime mediceo restituì ad A. un primato che la personalità di M. e il suo privilegiato rapporto con Soderini avevano per certi versi messo in ombra.
A. tenne importanti orazioni in onore di Lorenzo de’ Medici, postosi a capo della milizia fiorentina diretta alla guerra in Lombardia (12 ag. 1515, ms. Riccard. 811; ed. non autorizzata Oratio pro dandis Florentinae reipublicae militaribus imperatoris signis Magnifico Laurentio de Medices, Basilea 1518) e per i funerali di Giuliano, 17 marzo 1516 (In funere Magnifici Iuliani de Medicis Illustr. ducis Nemursiae, ms. Riccard. 811; consonante tuttavia alla visione politica ‘moderata’ di Leone X, più che all’ambizione autoritaria di Lorenzo). Sul piano dell’attività culturale, dal 1515 A. affiancò ai corsi universitari (conclusi nel giugno 1520) lo studio di Dioscoride, in vista di una traduzione latina del De materia medica, con commento, che fu pubblicata dai Giunti nel 1518 («interprete Marcello Virgilio Secretario Florentino», con dedica a Leone X) ed ebbe largo successo.
A. ebbe relazioni d’amicizia, fra le altre, con Aldo Manuzio e Demetrio Calcondila; Iacopo Nardi fu suo esecutore testamentario. Oltre a quelle già citate, compose orazioni per l’assunzione di Paolo Vitelli (1498; Pro eligendo Paulo Vitellio imperatorii exercitus duce, ms. Plut. 90 39) e in morte di Marsilio Ficino e Alamanno Rinuccini (non conservate).
Scrisse versi latini: frammenti di un poema epico sull’età di Saturno (Biblioteca Riccardiana, ms. 757) e un epigramma in onore del musico Antonio Squarcialupi. Si occupò anche di antiquaria: sollecitato dalla scoperta di un sepolcreto nel Chianti, A. interessò il cardinale Francesco Soderini (→) al problema della ‘decifrazione’ delle iscrizioni etrusche; dopo qualche ricerca, Soderini concludeva che la memoria di quell’antica lingua doveva considerarsi spenta (dall’episodio M. può aver tratto qualche suggestione per Discorsi II v). Nella stessa occasione il cardinale informava A. di aver veduto a Roma un prezioso manoscritto di Tacito (attuale Mediceo
Laur. 68), da cui traeva un estratto relativo alle origini di Firenze (lettere del 23 febbr. 1508, in A. Bandini, Collectio veterum aliquot monumentorum..., 1752, pp. 31-32, e del 1° genn. 1509, in C. Fea, Miscellanea filologica critica e antiquaria, 1790, pp. 327-28). Nell’ambito dell’attività cancelleresca, A. redasse estratti storici, in volgare, relativi agli anni 1497-99, per una progettata storia di Firenze, passata poi in carico a M. (leggibili in varie edd. di opere di M., per es. Opere minori, a cura di F.L. Polidori, 1852, pp. 92-121).
L’influenza di A. sulla formazione del più giovane M. fu certo significativa. La notizia offerta da Paolo Giovio negli Elogia (constat eum, sicuti ipse nobis fatebatur, a Marcello Virgilio graece atque latinae linguae flores accepisse «è noto, come egli stesso ci ha confessato, che apprese florilegi della lingua greca e latina da Marcello Virgilio», ed. a cura di R. Meregazzi, 1972, p. 112) va intesa secondo il significato ‘tecnico’ del termine flores, che «caratterizza con precisione il metodo di A. come professore: prendere brani scelti degli autori antichi e usarli come punto di partenza per disquisizioni etiche e politiche» (Godman 1998, p. 184). È ragionevole ipotizzare che M. frequentasse la conversazione di A. (anche data l’amicizia fra Bernardo Machiavelli e Bartolomeo Scala, a sua volta legato al padre di A.), se non pure le sue lezioni universitarie: non c’è tuttavia alcuna prova che M. abbia mai potuto leggere il greco. È anche plausibile che l’interesse di M. per Lucrezio (→) sia stato sollecitato da lezioni di A., come quella che inaugurò il corso del 1497 (Nil admirari, ms. Riccard. 767), «in cui [A.] si rifece a Lucrezio al fine di liberare il suo giovane pubblico della paura dell’ignoto» (Brown 2013, p. 78). Ma la fase più intensa di rapporto personale e intellettuale tra A. e M. si ebbe negli anni della colleganza in cancelleria (1498-1512), con incontri quotidiani, che avranno incluso la comunicazione di temi e spunti di riflessione quali risultano dai coevi corsi universitari di A. (per es., le chiose politiche all’Eneide, 1502-1503, in qualche modo collegabili all’istituzione del gonfalonierato a vita: cfr. Godman 1998, p. 191), e frequenti scambi epistolari quando M. era in missione fuori di Firenze (nel novembre 1503 A. fu compare di battesimo del figlio di M., Bernardo). In particolare, A. firma le istruzioni o commissioni per la legazione a Roma dell’ottobre-dicembre 1503; in Francia, gennaio-marzo 1504; presso il pontefice, agosto-ottobre 1506; a Piombino, marzo 1509; a Mantova e Verona, novembre-dicembre 1509. Le lettere ufficiali firmate da Marcellus non si sollevano quasi mai da un piano puramente informativo o dispositivo. Rarissime sono le considerazioni generali: «quel primo fondamento che è necessario nelli stati, della sicurtà, commodo e onor di ciascuno» (15 nov. 1502, LCSG, 2° t., p. 444); «noi non dobbiamo preporre alla conservazione nostra alcun altro respetto, non ci restando altro che questa piccola libertà, la quale ci conviene salvare con ogni industria» (19 genn. 1504, LCSG, 3° t., p. 484); eccezionali le note personali: il 7 novembre 1502 si lagna dell’assenza di M., «che mi truovo con le faccende mie, con le tue e con la lezione addosso» (p. 696); qualche espressione vivace: «questo carnasciale non si sente se non sospiri di gravezze: doverrai ancor tu avere avuto la parte tua, e me hanno messo in sul palco delle mele» (5 febbr. 1506, p. 115).
Potrebbero essere di A. i ghiribizi firmati Compater vester, 29 agosto 1510 (largamente cifrati: M. era in Francia), con notevoli battute sull’indecisione del governo fiorentino («pensa e ripensa e poi non si fa nulla») e soprattutto la citazione liviana che riapparirà nel Principe (xxi 15): «insomma a noi ha a intervenire come a quelli di chi diceva Quinzio: Sine gratia, sine honore, premium victoris erimus» (pp. 219-20).
Dopo il 1512, le relazioni tra A., mantenuto nell’incarico dai nuovi signori, e M., allontanato e sospetto, si illanguidirono, mentre dalla cattedra A. continuava a impartire lezioni di etica civile, in termini che appaiono talvolta letteralmente antitetici alla coeva scrittura machiavelliana (la prolusione del 1514 si trova, in un autografo, intitolata Quale et quantum homini malum sit videri bonum et non esse «Quale e quanto danno sia per l’uomo sembrare buono e non esserlo»; cfr. Godman 1998, p. 202). Traccia di un rapporto si ritrae nondimeno dalla lettera di Francesco [Lenzi?] a M., allora a Genova, 15 aprile 1518: «sono stato con messere e mostrogli el vostro iscritto. Lui è in su Dioscorido e va vivendo alla giornata da valente uomo» (in N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, 1984, p. 502). Non è però possibile formulare una qualsiasi ipotesi sullo scritto di M. che fu visto da A., nel tempo in cui preparava la stampa del Dioscoride e affrontava «alla giornata» l’infermità. Infine, A. firma il documento (7 luglio 1520, p. 1389) che presenta «uno nostro cittadino Niccolò Machiavelli» agli anziani di Lucca (→ Appendice: Biografia).
Bibliografia. Fonti ed edizioni: varie lettere ufficiali di A. a Niccolò Valori, ambasciatore in Francia, sono pubblicate a cura di D. Manfrin in opuscoli (Nozze Piovene-Zanuso, Padova 1860; Nozze Sanbonifacio-De Lazzara, Padova 1863; Lettere inedite intorno all’assedio di Pisa, Padova 1880).
Per gli studi critici si vedano: W. Rüdiger, Marcellus Virgilius Adrianus aus Florenz: Ein Beitrag zur Kenntniss seines Lebens und seines Wirkens, Halle 1898 (brani delle poesie latine alle pp. 52-55); J.M. McManamon, Marketing a Medici regime: the funeral oration of Marcello Virgilio Adriani for Giuliano de’ Medici (1516), «Renaissance quarterly», 1991, 44, pp. 1-41 (con edizione del testo); P. Godman, From Poliziano to Machiavelli. Florentine Humanism in the High Renaissance, Princeton 1998; A. Brown, Machiavelli e Lucrezio: fortuna e libertà nella Firenze del Rinascimento, postfazione di M. De Caro, Roma 2013.