WILLA, marchesa di Toscana
WILLA, marchesa di Toscana. – Figlia di Bonifacio degli Ucpoldingi e di Waldrada, figlia di Rodolfo I re di Borgogna, nacque circa negli anni Venti del X secolo in una località imprecisata del Regno italico.
Fu al vertice della marca di Tuscia per almeno quattro decenni, prima a fianco del marito Uberto, marchese di Toscana (936-961 circa) e figlio di Ugo, re del Regno italico, e in seguito con il figlio Ugo, marchese di Toscana (circa 970-1001).
Unica femmina nota dei sei figli di Bonifacio degli Ucpoldingi, Willa ebbe il nome della nonna materna, Willa (I) di Provenza, un nome di provenienza carolingia che caratterizzava la sua parentela di origine, i Bosonidi. La scelta di un antroponimo così distintivo e inedito per la famiglia ucpoldingia segnala la volontà del padre Bonifacio di farne una protagonista di primo piano della politica della parentela.
L’occasione per Willa si concretizzò quando, alla metà degli anni Quaranta, le aristocrazie italiche sopravvissute alle politiche di re Ugo di Provenza organizzarono una congiura ai suoi danni, alleandosi con i nuovi potenti che egli stesso aveva favorito. Il cambio di schieramento del figlio di Ugo, Uberto, conte di palazzo, marchese di Toscana e duca di Spoleto, fu decisivo per il successo del colpo di Stato e per riallineare gli equilibri all’interno della compagine aristocratica. Gli accordi previdero la ridistribuzione dei maggiori incarichi nel Regno: in particolare, Uberto poté mantenere il controllo della Marca di Tuscia, rinunciando però al resto, e Bonifacio degli Ucpoldingi ottenne il Ducato di Spoleto insieme con il figlio Tebaldo.
Willa fu data in sposa a Uberto, marchese di Tuscia, probabilmente per consolidare l’alleanza di questo nuovo ‘blocco centrale’ del Regno italico. L’unione portò in dote a Uberto anche una più decisiva legittimazione a ricoprire proprio la carica di marchese di Tuscia, dato che la donna vantava, attraverso l’ascendenza del padre Bonifacio – probabilmente figlio di una figlia di Adalberto I di Tuscia – il solo collegamento parentale rimasto con gli Adalbertingi, la sola prosapia marchionale di Toscana legittima per sangue e tradizione.
Nel corso del regno di Berengario II (950-961), Uberto e Willa cercarono di consolidare il loro potere al vertice della Marca, memori delle vicende occorse ai marchesi successivi ad Adalberto II (circa 889-915), tutti uccisi o esautorati dal potere regio. Già al momento del matrimonio, Willa fu protagonista della strategia patrimoniale della coppia: grazie al dotario, la donna ottenne dal marito il controllo di almeno quattro interi complessi fiscali posti nel Fiorentino, l’area dove la parentela ucpoldingia di origine si era radicata maggiormente, già dalla metà del secolo IX.
Sulla falsariga di quanto accadeva tra i re italici e le loro regine, il passaggio di questi beni di natura fiscale entro il patrimonio privato della marchionissa aveva lo scopo di riservare alla coppia marchionale e ai loro figli l’accesso esclusivo a precise quote di fisco marchionale – probabilmente, quelle più facili da mantenere nel tempo – indebolendo, in questo modo, le basi istituzionali di potere materiale di qualsiasi altro candidato alla Marca proposto dai re di Pavia. L’operazione emerge, almeno in parte, dalla carta di fondazione e dotazione dell’abbazia di S. Maria a Firenze, la cosiddetta Badia Fiorentina, ente che Willa fondò nel 978 (Le carte del monastero di S. Maria..., I, a cura di L. Schiaparelli, 1990, n. 5). L’abbazia raccolse buona parte delle proprietà fiscali e allodiali che la donna deteneva nella diocesi fiorentina e, subito dopo la morte del figlio Ugo (1001), ne consolidò il dominio grazie allo status di ‘abbazia imperiale’ ricevuto da Ottone III nel gennaio del 1002 (n. 15).
Per cercare di ampliare le loro relazioni e quindi sottrarsi al solo rapporto con Pavia, tra 960 e 961 Uberto e Willa si accordarono per far sposare la figlia Waldrada con il doge di Venezia Pietro (IV) Candiano (959-976), appartenente a una delle principali famiglie aristocratiche di Venezia, che da generazioni esprimeva candidati alla carica di dux Veneticorum. L’unione permetteva alla coppia marchionale di proiettare le proprie strategie politiche oltre i confini del Regnum.
Anche la dinastia ottoniana, in particolar modo con Adelaide, si preoccupò a lungo della portata politica del legame, poiché costituiva una connessione diretta tra l’istituzione marchionale toscana, la più compatta e solida del Regno, e il solo potere ducale nell’Italia settentrionale completamente indipendente dai re italici. Pertanto, solo dopo la soluzione dell’unione, con la morte di Pietro (IV) Candiano e del figlio nel 976, Willa e il figlio Ugo poterono riacquisire piena legittimità in Tuscia agli occhi di Adelaide e di Ottone II.
Willa riuscì così a mantenere la propria posizione al vertice della Marca anche quando le relazioni politiche del marito con i re anscarici peggiorarono e poi quando la sua situazione si fece insostenibile con la definitiva vittoria ottoniana: già nel 961, Berengario II e Adalberto cercarono di sostituire Uberto in Tuscia con Ugo dei Supponidi; giunto poi Ottone in Italia, Uberto fu immediatamente allontanato dal regno (Il Chronicon di Benedetto..., a cura di G. Zucchetti, 1920, p. 176), forse esiliato in Pannonia (Die Briefe des Petrus Damiani, a cura di K. Reindel, II, 1988, n. 68). Nella seconda parte degli anni Sessanta del secolo X, quando Ottone I non aveva ancora sciolto la riserva a favore di un candidato specifico al vertice della Marca, Willa cercò di preservare le posizioni patrimoniali costruite con il marito, laddove possibile integrando con compravendite le sue proprietà private nei pressi di complessi fiscali (in Val d’Elsa, presso la corte di Marturi, nel 971: Le carte del monastero di S. Maria..., cit., n. 3; nell’Aretino, presso la corte di Capolona, nel 972: n. 4). In quel periodo, quindi, Willa era la sola aristocratica di stirpe marchionale che conservava qualche possibilità di manovra ai vertici della Tuscia – l’altra donna protagonista era in quel periodo la cugina e imperatrice Adelaide – potendo rivendicare ed esibire la titolatura ufficiale di excellentissima marchionissa, anche se solo in occasione della stipula dei contratti privati citati (nn. 1, 3, 4).
Queste carte patrimoniali, conservate nell’archivio della Badia Fiorentina, attestano, inoltre, il perdurare delle relazioni personali tra Willa e alcuni funzionari marchionali e giudici lucchesi anche dopo l’uscita di scena di Uberto. Tali relazioni con esponenti in vista dell’entourage marchionale dovettero quindi consentire alla donna e al figlio Ugo – divenuto maggiorenne negli anni Sessanta del secolo X – la costruzione di una rete di consensi nella Marca, che li ponesse in una luce diversa agli occhi degli Ottoni, fino a rendere per lui possibile la piena e legittima successione al padre Uberto.
Come già accennato, Willa fondò il monastero di S. Maria a Firenze nel 978, lo dotò con consistenti porzioni di beni del fisco marchionale ottenuti dal marito e dalla sua parentela di origine. Grazie a questa operazione Ugo poté contare su di una solida base di potere nell’area fiorentina, da cui poi ampliare la propria egemonia sul resto della Marca. Probabilmente nel medesimo periodo – comunque prima del 983 – Willa ricostituì con il medesimo scopo il monastero di S. Ponziano alla periferia di Lucca, capitale della Marca (Conradi II. diplomata, a cura di H. Bresslau, 1909, n. 25).
Pier Damiani racconta queste fondazioni soprattutto in chiave encomiastica, esaltando Willa per pietà e santità e proponendola come modello di comportamento a Beatrice di Canossa, marchesa di Tuscia a lui contemporanea. Dalla lettera damianea alla marchesa si apprende inoltre che Willa avrebbe fondato anche una terza istituzione religiosa in territorio aretino, dedicandola anch’essa a s. Maria (Die Briefe des Petrus Damiani, cit., n. 51). Di questa basilica, tuttavia, non si conoscono altri dettagli.
L’ultimo atto che attesta Willa in vita è proprio la fondazione della Badia Fiorentina nel 978. Non si conosce la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: La cronaca veneziana del diacono Giovanni, in Cronache veneziane antichissime, a cura di G. Monticolo, I, Roma 1890, p. 137; Conradi II. diplomata, a cura di H. Bresslau, in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, IV, Hannover-Leipzig 1909, n. 25; Il Chronicon di Benedetto, monaco di S. Andrea del Soratte e il Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma, a cura di G. Zucchetti, Roma 1920, p. 176; Die Briefe des Petrus Damiani, a cura di K. Reindel, II, in MGH, Briefe der deutschen Kaiserzeit, V, 2, München 1988, nn. 51, 68; Le carte del monastero di S. Maria in Firenze (Badia), I, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1990, nn. 1-5, 15.
W. Kurze, Monasteri e nobiltà nella Tuscia altomedievale, in Id., Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena 1989, pp. 295-316; E. Manarini, I due volti del potere. Una parentela atipica di ufficiali e signori nel regno italico, Milano 2016, pp. 97-101, 174-191, 303-306; Id., Le madri dei marchesi: le donne hucpoldinge e la legittimazione al potere marchionale nella marca Tusciae, in Figli delle donne. Forme di identità familiare in un mondo senza cognomi (secoli IX-XI), a cura di T. Lazzari, in corso di stampa.