Este, Marchesi d'
Della dinastia d'Este (castello dei colli Euganei meridionali), attiva in un'area che costituiva una strategica zona di cerniera fra Veneto, Emilia e Lombardia, i soli membri che ebbero rapporti più o meno intensi con Federico II furono Azzo VI, Bonifacio e soprattutto Azzo VII.
Radicatisi anche in Ferrara, dopo che intorno al 1187 Obizzo ereditò di fatto dalla famiglia degli Adelardi non solo sostanze e vassalli, ma anche la posizione di capofazione in città, fu il nipote di Obizzo, Azzo VI, a consolidare, dalla fine del XII sec., la politica d'intervento in seno ai comuni della Marca trevigiana e delle città di Mantova e Ferrara che aveva già caratterizzato l'azione degli Este. Azzo VI si collocò al vertice di un raggruppamento di forze sia cittadine sia territoriali (tra queste i Sambonifacio, i da Camposampiero, i da Camino), assumendo così la leadership indiscussa della fazione detta pars marchionis, fieramente avversa a un'altra egemonizzata nel Veneto dai da Romano e a Ferrara da Salinguerra Torelli. È in questo contesto di aspre contrapposizioni partigiane intra e intercittadine in cui gli Estensi furono punto di riferimento decisivo a livello regionale prima, durante e dopo Federico II, che va inteso anche l'atteggiamento complessivo del lignaggio nei confronti dell'Impero.
Azzo VI godette senz'altro dei favori di Enrico VI e Filippo di Svevia. Nei confronti di Ottone VI di Brunswick (che gli era cugino) egli tenne dapprima un comportamento di adesione condizionata, che gli valse tra l'altro la conferma del possesso della Marca d'Ancona, già concessagli dal papa l'anno innanzi. Sopraggiunta tuttavia nel 1211 la scomunica di Innocenzo III al sovrano, Azzo VI decise di schierarglisi contro e di diventare una colonna portante della politica papale nell'Italia centrosettentrionale. Tale scelta fu suggerita anche da ragioni domestiche, trovandosi allora Azzo in conflitto per questioni di eredità con lo zio Bonifacio, legatosi agli oppositori del nipote e favorito dal Brunswick.
Azzo VI nell'aprile s'incontrò a Roma col concorrente al trono imperiale, il giovane Federico, impegnandosi a scortarlo nel difficoltoso viaggio verso la Germania. Anche per ciò, in una lettera del 1239, Federico lo definì "quasi nostro patrono fin dalla culla e precipuo difensore". Morendo nel novembre del 1212, Azzo VI, che si fregiava ormai del doppio titolo di marchese Estense e Anconetano, lasciava dunque una ormai universale e solida fama di "decoro dell'Impero", ma anche di campione della Sede Apostolica.
L'erede Aldobrandino morì già nel 1215, lasciando il potere all'ancor più giovane fratellastro Azzo VII. La discesa in Italia di Federico II nel 1220 per essere incoronato imperatore, offrì l'opportunità ad Azzo VII di risollevare le sorti della famiglia e di rinsaldare l'antico feeling con lo Svevo, che emanò un privilegio per proteggere l'Este dalle molestie che gli recavano i padovani. Dopo che il marchese scortò il sovrano fino a Roma, un'ulteriore diploma di benevolenza e di conferma dei suoi domini gli fu inviato nel marzo 1221 da Brindisi, mentre nuove investiture papali della Marca anconetana gli giungevano nel 1221 e nel 1225.
Negli anni seguenti il giovane marchese continuò a scontrarsi con i da Romano e Salinguerra per il controllo di Ferrara, Mantova e della terraferma veneta. Nel 1226, anno della ricomparsa di Federico II nel Nord Italia, Azzo VI seguì l'imperatore a Ravenna e a Parma, pur strizzando l'occhio ai capi della rinnovata Lega lombarda. La crescente polarizzazione delle forze nella Marca trevigiana conobbe solo una effimera tregua nel 1233, nel corso della campagna di pacificazione condotta dal domenicano fra Giovanni da Vicenza, che prevedeva tra l'altro le nozze del figlio del marchese, Rainaldo, con Adeleita, figlia di Alberico da Romano. In questa insanabile situazione di lotta fra partiti a livello regionale, già intorno al 1230 i rettori della Lega lombarda avevano scelto di puntare sugli Estensi, con ciò determinando un'altrettanto naturale e aperta convergenza fra i da Romano e Federico II fin dal 1232. L'imperatore ebbe però cura di non alienarsi la fedeltà e il sostegno militare di Azzo e dei suoi. Decisivo fu l'anno 1236, quando Ezzelino, ormai votato alla causa imperiale, riuscì ad occupare Vicenza, sottraendola al marchese che vi era podestà. La successiva occupazione di Padova e di Treviso da parte degli imperiali evidenziò ulteriormente il ruolo del da Romano quale principale collaboratore e fiduciario dello Staufen. I disegni egemonici dell'Estense erano chiaramente compromessi ma, complice una politica di relativa moderazione e imparzialità di Federico II, non si arrivò ancora all'aperta rottura, tant'è che Azzo d'Este poté infatti essere ancora al fianco dello Staufen nella campagna imperiale di Lombardia del 1237. Un suo tentativo fallito di rioccupare armata manu Padova, nel 1238, offrì il pretesto ad Ezzelino per sferrare un'offensiva armata nelle terre estensi. In quell'anno lo stesso Ezzelino sollecitò il bando imperiale contro Azzo, accusandolo di ribellione all'Impero. Federico II nella risposta si dimostrò convinto di poter ancora conservare simultaneamente la fedeltà dei due leader, tuttavia, al di là di una formale equidistanza fra i due e le partes che rappresentavano, consentì di fatto che il da Romano proseguisse nella demolizione del fronte nemico.
Nella primavera del 1239 Federico II (dopo averne preso in custodia i castelli, mandato al confino non pochi suoi aderenti e preso in ostaggio il figlio Rainaldo con la moglie) convocò a Padova Azzo VII, per tentare una pacificazione della regione. Tra maggio e giugno del 1239 tanto il marchese quanto Ezzelino erano, nonostante tutto, ancora insieme nel Veneto al servizio dell'imperatore; tuttavia, nel corso del trasferimento della comitiva imperiale in Lombardia, Azzo d'Este, che dopo la nuova scomunica dell'imperatore era stato forzato a schierarsi col papa, ebbe motivo di temere per la propria incolumità (Federico II avrebbe progettato di farlo decapitare). Abbandonò così l'esercito imperiale e si rinserrò nel castello di Sambonifacio. Per il tramite di Pier della Vigna l'imperatore tentò inutilmente di farlo tornare all'obbedienza, poi, nel luglio 1239, fulminò da Verona il bando al marchese e ai suoi in quanto ribelli dell'Impero. Prima della fine dello stesso anno Azzo VII riuscì però a recuperare i suoi castelli e giurò formalmente fedeltà alla Lega lombarda.
Dal 1240 il marchese, con l'aiuto del legato papale e di altri collegati 'guelfi' del Nord Italia, s'impadronì di Ferrara, divenendone di fatto signore fino alla morte, sopraggiunta il 16 o 17 febbraio 1264. Designato quale successore il giovane nipote Obizzo, dava vita in tal modo a un durevole potere dinastico non nel Veneto (come tutto lasciava presagire) ma in Emilia. Fino alla scomparsa di Federico II e oltre egli rimase comunque il leader indiscusso del guelfismo nell'Italia nordorientale e in tale veste continuò ad animare la resistenza al da Romano e agli imperiali. Nel 1247 prese parte alla difesa di Parma assediata dalle truppe di Federico II e nel corso dell'offensiva del 1256, che portò all'eliminazione di Ezzelino III, ebbe addirittura il comando in capo delle truppe crociate.
fonti e bibliografia
Tra gli studi più recenti si rimanda a T. Dean, Gli Estensi e Venezia come poli di attrazione nella Marca fra Due e Trecento, in Istituzioni, società e potere nella Marca Trevigiana e Veronese (sec. XIII-XIV). Sulle tracce di G. B. Verci, a cura di G. Ortalli-M. Knapton, Roma 1988, pp. 369-376; Id., Land and Power in Late Medioeval Ferrara, The Rule of the Este, 1350-1450, Cambridge 1988; S. Bortolami, Gli Estensi, Padova e la Marca Trevigiana. Una riflessione e nuove fonti, "Terra d'Este", 2, 1992, pp. 33-58; A. Castagnetti, Guelfi ed Estensi nei secoli XI-XII. Contributo allo studio dei rapporti fra nobiltà teutonica ed italica, in Formazione e struttura dei ceti dominanti. Marchesi, conti e visconti nel regno italico (sec. IX-XII), a cura di A. Spicciani, Roma 2003, pp. 41-102.