MARCHESI, Giuseppe, detto il Sansone
Nacque il 30 luglio 1699 a Bologna. Soprannominato Sansone a causa della massiccia corporatura, fu allievo di A. Milani, dal quale mutuò la grande lezione carraccesca, e concluse l'apprendistato quando il maestro abbandonò la città emiliana alla volta di Roma. Successivamente è ricordato nella bottega di M. Franceschini che, a quanto riportano le fonti, lo licenziò a causa del suo carattere vivace. La lezione del più affermato pittore restò tuttavia viva e contribuì all'elaborazione di un moderato gusto rococò evidente nelle opere giovanili del M.; secondo Oretti, già nei primi anni la maniera del M. era formata "vaga, grandiosa e di ottima invenzione, e con facilità eseguita" (c. 2).
La prima notizia certa sull'attività del M. risale al 1725, anno in cui è documentata l'opera per la sala grande di casa Bertalotti poi Buratti a Bologna, il Ratto di Elena. Agli stessi anni sono da riferire le tele con le Quattro stagioni (Pinacoteca nazionale di Bologna).
I dipinti, successivi di circa un decennio a quelli di Franceschini per Vittorio Amedeo di Savoia, principe di Carignano (1716), sembrano intessere con questi ultimi un serrato dialogo volto alla definitiva affermazione dell'indipendenza dell'allievo dal maestro: l'abbandono di un'arcadica classicità a favore di una componente quasi manieristica, "le pose studiatissime delle figure, gli eleganti contrappunti di gesti e di atteggiamenti, […] il tocco di ricercato naturalismo nel notturno dell'Inverno" (Montefusco Bignozzi, p. 80) diventano elementi esemplificativi di quello stile internazionale, vicino alle tendenze della più aggiornata pittura europea e francese in particolar modo, che il M. avrebbe sempre più fatto proprio.
Negli anni Trenta si succedono una serie di pale per alcune chiese della provincia emiliana e dello Stato pontificio: la tela per la chiesa dei filippini a Macerata raffigurante L'apparizione della Madonna a s. Filippo Neri (1733) e il S. Filippo venera la Vergine (1735) realizzato per la chiesa del Carmine di Forlì. Sono gli anni della prima e più prestigiosa commissione pubblica: nel 1730 il M., affiancato dal quadraturista L. Bistega, iniziò la decorazione del catino absidale e della volta della chiesa bolognese della Madonna di Galliera.
Il contatto tra il M. e i padri filippini, titolari della chiesa, è da far risalire agli ultimi mesi del 1730, anno in cui si registra il primo di una lunga serie di pagamenti a suo favore (Mampieri, p. 225); l'intervento da subito documentato riguarda la raffigurazione del Padre Eterno sulla volta della cappella maggiore dedicata alla Beata Vergine. Agli inizi dell'anno successivo il cantiere si spostò verso l'abside con l'affresco del catino rappresentante la Festa nel limbo per la nascita della Vergine. L'opera, piuttosto complessa, si snoda in due semicerchi paralleli: quello inferiore accoglie i patriarchi del limbo in festa per l'Immacolata Concezione; in quello superiore delimitato da una corona di nuvole, appare al centro la Vergine Bambina accompagnata da angeli. Un attento e vibrante utilizzo della luce, che filtra attraverso una fitta cortina, permette al M. di realizzare un efficace gioco di chiaroscuri volto a far emergere con vigore le robuste muscolature degli angeli. L'attività del M. nel catino absidale si concluse prima dell'estate, ma nel novembre dello stesso anno l'impegno con i padri fu rinnovato con versamento di un nuovo acconto: il M. si obbligava a realizzare, nell'arco di tempo compreso tra il 1732 e il 1734, Storie della vita di s. Filippo Neri nei catini della navata della chiesa.
Nell'elaborazione e nella scelta delle scene, il M. pose l'attenzione su quegli episodi della vita del santo che meglio si adattavano alla superficie destinata alla pittura: la forma stessa del catino consentiva di relegare ai bordi i gruppi di figure e di dedicare la parte centrale allo svolgimento della scena principale o a una gloria celeste. Il primo catino dall'ingresso ospita il Miracolo della Vallicella: S. Filippo Neri indica, ad architetti e operai, la Madonna che sorregge il tetto pericolante della chiesa madre dell'Ordine, affiancata da una teoria di angeli che occupa la fascia mediana del catino stesso. Nei pennacchi sono raffigurate coppie di putti che portano strumenti legati alla professione dell'architetto (righe, filo a piombo, progetti ecc.) e, in senso lato, alla ricostruzione della chiesa. Il secondo catino è dedicato a L'apparizione della Vergine a s. Filippo Neri. La scena fa riferimento all'apparizione miracolosa della Madonna al santo sul letto di morte. Forte risulta il contrasto tra la parte superiore e quella inferiore del catino: alla rassegnazione dei confratelli di Filippo, prossimo alla morte, rispondono gli angeli in festa, pronti ad accoglierlo in cielo. I pennacchi ospitano imponenti angeli che sollevano simboli del trionfo del santo sulla morte e sulla malattia: uno calpesta con il piede un teschio, un altro con uno scudo schiva una freccia, il terzo piega una falce e infine il quarto innalza la palma del martirio. L'ultimo catino è dedicato alla Gloria di s. Filippo. Il santo appare a una religiosa, inginocchiata al suo cospetto, mentre ascende ai cieli accolto dai beati. Nei pennacchi, alcuni putti porgono corone di stelle, d'alloro e oro e un piccolo trono, tutti simboli del trionfo di Filippo. L'ultimo intervento del M., in questa fase della decorazione della chiesa, si svolse lungo le pareti della nave: ai lati delle finestre sono raffigurate le Virtù cui si accompagnano coppie di putti, dipinti lungo i pilastri laterali delle cappelle, recanti attributi che alludono alla Vergine e a s. Filippo. Così Roli (1971, p. 20) ricorda il monumentale intervento del M.: "È qui insomma tutto il repertorio rituale di una religione fatta di convenienze e di formalità e al pittore riesce benissimo di destreggiarsi tra i vezzi d'Arcadia e le barbe dei profeti". Il M. "regge bene la prova, mettendo a punto un risultato che è tra i più convincenti in Bologna, nella decorazione d'aula sacra, in un periodo invero piuttosto scarso di esempi del genere". Alla fine di maggio del 1734 gli affreschi vengono scoperti e mostrati alla città.
Questa vasta impresa procurò al M. la gloria e la consacrazione pubblica: "s'è fatto un modo di dipingere così bello e così forte che tutti diletta, e buona, e gran fama glie ne viene […], comincia ad essere molto celebrato" (Zanotti, I, p. 403). Nel quarto decennio del secolo fu impegnato su più fronti, sia in ambito pubblico sia privato.
In quegli anni vanno collocate la tela per il duomo di Piacenza, raffigurante S. Vincenzo Ferreri resuscita una donna, e la pala dell'oratorio della Concezione di Crevalcore con S. Anna e le ss. Lucia e Liberata; poco dopo si colloca il dipinto realizzato per la canonica di S. Mamante a Medicina, in provincia di Bologna, rappresentante S. Angelo Martire, firmato e datato al 1742.
Nel 1744 il M. fu di nuovo attivo nella chiesa di S. Maria in Galliera: in occasione della ristrutturazione della cappella dedicata a S. Filippo Neri, i padri richiesero l'intervento del M., il quale realizzò per la cupola la Gloria di s. Filippo.
La fama raggiunta si riscontra anche nel sempre maggior numero di commissioni private, che lo portarono a cimentarsi non solo con i grandi temi biblici destinati al decoro chiesastico, ma anche con la cosiddetta pittura da stanza: soggetti profani, arcadici o allegorici, attraverso i quali il M. poteva dare libero sfogo alla grazia neomanieristica del suo pennello.
Tra le sue più felici realizzazioni si collocano due tele, oggi alla Pinacoteca nazionale di Bologna, raffiguranti Giuditta nel padiglione di Oloferne e Giuditta con la testa di Oloferne. Le opere furono restituite al M. da Roli (1971, p. 22), che propose una datazione tra il terzo e il quarto decennio del secolo, sottolineandone la sintonia con alcuni dipinti coevi di artisti veneziani quali G. Crosato e G. Diziani e considerandole rappresentative dell'indirizzo seguito dal M. all'interno del contesto pittorico bolognese del Settecento. In questi esempi il M. contempera la lezione veneta con una ricerca aggraziata dell'immagine e l'eloquenza teatrale dei gesti, che riportano il tutto a un godibile clima di melodramma rococò. Nulla rimane della violenza della scena biblica, lo sguardo si sposta dal luogo dell'azione cruenta alla figura opulenta di Giuditta, riccamente abbigliata, alla quale si intona, in primo piano, il particolare vezzoso del letto modellato in figura di sirena. Alla stessa epoca bisogna far risalire altre tre tele a tempera di soggetto prettamente arcadico tratte dalla Gerusalemme liberata, raffiguranti La storia di Armida e Rinaldo, destinate probabilmente al palazzo Pallavicini già Alamandini di Bologna.
Nel 1752 il M. fu nominato principe dell'Accademia Clementina e le sue opere, a conferma della fama raggiunta, venivano inviate a Bergamo, Mantova, Trento, ma anche a Londra e in Olanda (Oretti, c. 11). Al 1755 risale l'ultima sua opera certa, le quattro tempere per la basilica bolognese di S. Maria dei Servi con Storie di s. Giovanni Battista, esempi ormai di un linguaggio poco originale lontano dall'antico gusto per una pittura scintillante che aveva rappresentato la sigla peculiare della sua attività.
Il M. morì a Bologna il 16 febbr. 1771.
Fonti e Bibl.: G.P. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina di Bologna, Bologna 1739, I, p. 403; II, p. 167; Bologna, Biblioteca comunale, Mss., B.134: M. Oretti, Notizie de' professori del disegno… (1760-80 circa), cc. 2, 11; R. Roli, Per la pittura del Settecento a Bologna: G. M., in Paragone, XII (1971), 261, pp. 15-30; C. Tellini Perina, Opere mantovane del pittore bolognese G. M., in Città di Mantova, 1971, n. 54, pp. 2-7; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, pp. 5, 30, 62, 103 s., 274 s.; F. Montefusco Bignozzi, in L'arte del Settecento emiliano. La pittura. L'Accademia Clementina (catal.), Bologna 1979, pp. 79-81; L. Samoggia, La chiesa del Carmine di Medicina, Bologna 1983, pp. 170 s.; A. Mampieri, Genesi di un ciclo di affreschi: S. Maria di Galliera a Bologna, in Il Carrobbio, XIV (1988), pp. 223-233; R. Roli, La pittura in Emilia Romagna nella prima metà del Settecento, in La pittura in Italia. Il Settecento, I, Milano 1990, pp. 266 s.; Id., Aggiunte a G. M., in Musei ferraresi, 1990-91, n. 17, pp. 82-86; Banca popolare dell'Emilia Romagna. I dipinti antichi, a cura di D. Benati - L. Peruzzi, Modena 1997, pp. 129-131; O. Bonfait, Les tableaux et les pinceaux: la naissance de l'école bolonaise (1680-1780), Roma 2000, p. 142; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 63.