MARCHESINI, Pietro, detto l'Ortolanino
Figlio di "un povero uomo che lavorava l'orto de PP. Gesuati di San Girolamo" (Tolomei), dall'attività del quale gli derivò in seguito il soprannome, nacque il 7 apr. 1692 a Pistoia. Dotato di buone predisposizioni per lo studio delle arti figurative, e grazie alla protezione di Lorenzo Maria Gianni, decano della cattedrale di S. Maria del Fiore, il M. si trasferì in giovane età a Firenze, dove entrò nella scuola di A.D. Gabbiani. Dopo aver appreso i primi rudimenti dell'arte, improntati prevalentemente, e come richiedeva la tradizione fiorentina, allo studio dal naturale e alla grafica, il M., sempre sotto la protezione della famiglia Gianni, affinò la sua preparazione a Bologna, dove soggiornò per quattro anni divenendo allievo di M. Franceschini. In seguito, dopo essersi recato in altri centri emiliani e dell'Italia settentrionale, giunse a Venezia, dove "molto studiò delle Opere di quella grande Scuola, lasciando quivi una tavola di altare nella Chiesa Parrocchiale di S. Lio" (Gabburri), oggi perduta. Rientrato in Toscana, stando alle fonti antiche si dedicò inizialmente all'esecuzione di copie o derivazioni da celebri pitture del passato. Tra di esse è forse possibile riconoscere una tela con Cristo Benedicente proveniente da una collezione privata fiorentina e oggi nel seminario vescovile di Prato, deferente verso noti prototipi legati a C. Dolci e al suo ambiente (Bellesi).
Utile termine per stabilire il rientro definitivo del M. in patria risulta l'esecuzione della tela con il Compianto sul Cristo Morto nella pieve di S. Iacopo a Sambuca Pistoiese, siglata "P.M." e datata 1722-23 (Masini, 1999).
Interessante preludio ai lavori successivi, l'opera, esemplata parzialmente sulla celebre Pala dei mendicanti di G. Reni oggi nella Pinacoteca nazionale di Bologna, rivela una discreta sintassi esecutiva, evidente, oltre che nella stesura pittorica, nell'orchestrazione cromatica e nella definizione analitica delle figure, sorrette da un alto magistero formale fondato in gran parte su buone conoscenze anatomiche.
In seguito ai probabili consensi ottenuti con questo dipinto, il M. dette inizio a una serrata attività che entro breve tempo lo portò a ottenere allogazioni più o meno importanti per Firenze e per varie località del contado. Risalgono al 1726 la tela con Margherita da Cortona in adorazione del Crocifisso in S. Giovanni Battista a Valdibure nel Pistoiese (Bruschi, 1997), immagine didascalica e altamente devozionale apprezzabile soprattutto per il tono commovente e commosso della protagonista, e al 1727 la pala con la Predica di s. Antonio Abate nell'oratorio dedicato allo stesso santo nella città di Prato (Fantappiè, 1983).
Punto di riferimento essenziale per lo studio della prima attività del M., la tela pratese risulta definita con pennellate pastose ricche di effetti materici e selezionata su cromie scure e fortemente brunite e si pone quale frutto di un originale ed eclettico intreccio culturale, mutuato in gran parte dalla conoscenza dell'arte tenebrosa tardobarocca veneziana, connessa ad A. Balestra e C. Loth, e dagli orientamenti pauperistici della pittura "della realtà" lombarda. Priva di intenti edonistici o idealizzanti, l'opera si qualifica essenzialmente per la potenza fisica dei personaggi che vi sono rappresentati, soprattutto vecchi in precario stato di salute, simboli precipui della caducità e della transitorietà dell'esistenza umana. Abiurando codici figurativi ricorrenti nella pittura sacra toscana del tempo, caratterizzati soprattutto da immagini aggraziate intrise di larvato languore, il dipinto sembra porre particolare attenzione, per acuire l'importanza del messaggio divino, sulla figura prorompente del santo, rappresentato in atto di parlare concitatamente a un gruppo di poveri e contadini, commossi e quasi magnetizzati dal carisma empatico trasmesso dal predicatore (Bellesi).
La prima importante commissione pubblica condotta dal M. per la città di Firenze risale al 1728, tempo di esecuzione della pala, ritenuta il suo capolavoro, con l'Apparizione di Cristo a s. Margherita a Cortona per la chiesa di S. Salvatore in Ognissanti, dalla quale fu tratta un'incisione (Spinelli).
Rispetto ai dipinti precedenti l'opera mostra un addolcimento nelle sigle tipologiche delle figure e un modellato più morbido e pastoso, consono alle nuove tendenze della pittura toscana coeva. Conciliando sapientemente caratteri pittorici fiorentini, fatti propri grazie soprattutto alla conoscenza e allo studio delle opere del maestro Gabbiani e della sua scuola, con elementi lessicali emiliani derivati dalla pittura del Correggio (A. Allegri), la tela mostra dati stilistici e qualitativi non indifferenti, evidenti prevalentemente nella formulazione coreografica ricca di enfasi narrativa e nella resa smagliante delle gamme cromatiche, non prive di preziosi e lucidi effetti smaltati. Sensibile anche al fascino della pittura protoseicentesca lombarda di G.C. Procaccini e a quella tosco-emiliana di F.M. Galletti, la pala si segnala, dopo il dipinto di Valdibure e una tela conservata in S. Domenico a Prato (Bellesi), come una delle immagini votive toscane più interessanti dedicate a Margherita, canonizzata nel 1728.
Nel 1729 risulta impegnato nell'esecuzione del dipinto con la Conversione di s. Paolo per il conservatorio delle montalve (minime ancelle della Ss. Trinità) alla Quiete, realizzato per l'elettrice palatina Anna Maria Luisa de' Medici (Casciu, 1990). Unico esempio nella produzione del M. legato alle committenze medicee, quest'opera anticipa di un anno la realizzazione della raffinata Visione di s. Teresa d'Ávila collocata nell'ottobre 1730 nella chiesa carmelitana di S. Paolino a Firenze (Nesi, Riscoprendo…).
Per lo stesso edificio il pittore tornò a lavorare nel 1736, con la Vergine Bambina con s. Gioacchino oggi nei depositi delle Gallerie fiorentine (ibid.): opera di modesta qualità stilistica e di superficiale impegno creativo. Per comuni affinità lessicali è possibile far risalire a un tempo prossimo all'esecuzione delle tele di S. Paolino alcune opere prive di dati documentari specifici afferite recentemente al catalogo del M., ovvero i quadretti con l'Educazione della Vergine in S. Maria del Carmine a Firenze e S. Antonio Abate nella villa del Palco a Prato (Bellesi), una Madonna con Gesù Bambino e santi conservata nella villa La Mausolea a Soci, nell'attuale provincia di Arezzo (Casciu, 2001), un intenso Transito di s. Giuseppe nella collezione Martelli (Baldassari), memore del linguaggio veneziano di Loth e già assegnato dubitativamente ad A. Veracini (Civai), e una Natività nella villa della Magia a Quarrata presso Pistoia, finora riferita a G. Moriani (Barni).
Significativa dei buoni riconoscimenti già ottenuti in quel tempo risulta la sua iscrizione all'Accademia del disegno di Firenze (1730), nella quale acquisì subito al momento dell'immatricolazione il titolo di accademico, privilegio concesso solo agli artisti già noti e degni della massima considerazione. All'interno di questa istituzione nel corso degli anni il M. rivestì incarichi di rilievo: nel 1743 fu nominato consigliere e nel 1750 e nel 1755 fu eletto, rispettivamente, conservatore e console (Zangheri).
Al 1734 risale la realizzazione della pala con la Strage degli innocenti per la chiesa di S. Maria delle Grazie a Pistoia (Capponi), oggi conservata nei depositi cittadini dello spedale del Ceppo (Liscio). Considerata per tradizione uno dei vertici del percorso artistico del M., la tela si pone in stretta sintonia con altri dipinti, non sempre di elevata qualità pittorica, condotti dall'arista per la stessa città toscana in periodi diversi, al momento non documentabili.
Grazie alle informazioni tramandate dalle fonti antiche e a proposte attributive avanzate dalla critica contemporanea è possibile assegnare al catalogo del M. un S. Iacopo in S. Francesco, un Battesimo di Cristo e altre due tele in S. Giovanni Decollato, una Crocifissione nel seminario vescovile e, ancora, una Deposizione nell'oratorio annesso alla chiesa dei Ss. Filippo e Prospero.
Tra le migliori realizzazioni dell'attività fiorentina del M. risulta la pala con la Chiamata di s. Matteo per la cappella Ubaldini in S. Lorenzo (Il complesso monumentale…). L'opera, oggi alterata da una leggera patina bruna che ne compromette la corretta leggibilità, presenta un impianto strutturale di ponderata eleganza, caratterizzato da un raffinato apparato architettonico che inquadra superbamente l'episodio evangelico, ricco di profonda spiritualità.
Deferente verso la lezione classicista di Gabbiani e dei suoi più stretti seguaci nel rigoroso impianto compositivo, ma orientato prevalentemente in direzione antiaccademica e verso un originale recupero tipologico d'impronta neocinquecentesca, il dipinto evidenzia, oltre agli immancabili richiami stilistici emiliani, riferimenti diretti alle nuove tendenze della pittura fiorentina del tempo, non insensibile anche alle inclinazioni rétro diffuse in quel tempo in ambito scultoreo da G. Fortini. Il successo della tela laurenziana è attestato, oltre che da una piccola copia anonima apparsa sul mercato antiquario (Arredi…, 2007), da una derivazione con leggere varianti iconografiche, raffigurante S. Cristina che assiste alla chiamata di s. Matteo, conservata in S. Maria Assunta a Badia a Pacciana, nei pressi di Pistoia (Liscio). Ritenuta autografa del M. (Nesi, Riscoprendo…), ma riferibile sicuramente a un suo stretto seguace, essa mostra, oltre a una definizione pittorica più morbida e pastosa, sigle fisionomiche per lo più estranee al repertorio figurativo dell'artista, affini a talune immagini proposte in quel periodo da pittori come A.N. Pillori e T. Mazzi.
Oltre a opere non meglio qualificate e al momento sconosciute per la "S.S. Nunziata" (Gabburri), chiude la parentesi fiorentina del M., oggi nota, la tela con Alessandro Sauli per S. Carlo ai Barnabiti, eseguita nel 1741 e andata dispersa in epoca imprecisata.
Più o meno contemporanea risulta l'esecuzione dei dipinti con S. Paolo e un santo vescovo oranti davanti all'immagine della Madonna del Carmine e con la Sacra Famiglia con i ss. Sebastiano e Pietro Martire per S. Maria del Carmine a Pistoia: opere "puriste" di forte impronta neocinquecentesca, estranee alle eleganze formali classiciste di matrice gabbianesca e al linguaggio fiorentino più corrente, ricco di originali ed eclettiche formule edonistiche. Oltre alle opere citate, l'attività del M. in territorio pistoiese dovette proseguire a ritmo incalzante come indicano le pale d'altare, al momento prive di dati documentari specifici, raffiguranti Tre santi e S. Francesco che riceve le stigmate conservate rispettivamente nelle chiese dei Ss. Lucia e Marcello a Vinacciano e di S. Stefano a Serravalle Pistoiese (Nesi, Riscoprendo…).
L'allontanamento da Firenze e la mancanza di commissioni degne di rilievo portarono gradualmente il M., nell'ultima fase della sua attività, a un costante e progressivo decadimento artistico, a commento del quale I.E. Hugford, imputando esageratamente il tutto alla scarsa adesione del M. ai precetti formativi di Gabbiani, ricorda che il "pittore non fu molto aiutato dalla natura, ma tutto operò con fatica […]; nel suo operare [non] si ravvisa punto la maniera del suo Maestro, avendogli pregiudicato anzi che no l'andare altrove studiando per alcuni anni di sua gioventù, come egli fece vivente il Maestro". Già ben evidente nell'Assunzione della Vergine in S. Rocco a Candeglia, nei pressi di Pistoia, firmata e datata 1752 (Masini, 1999), la scarsità di impegno creativo si sottolinea in una serie di dipinti, realizzata tra il 1750 e il 1752, per la chiesa dei Ss. Michele e Lucia a Monte Orlando a Lastra a Signa.
Per questo edificio, all'arredo pittorico del quale lavorarono in quel tempo anche M. Bonechi, M. Soderini e Hugford, il M. si dedicò a una Madonna oggi perduta e al restauro di un'Ultima Cena di G.P. Naldini ma anche all'esecuzione di un Cristo Salvatore per lo sportellino del ciborio, a una serie di quattordici quadretti con la Via Crucis e, soprattutto, alla pala d'altare con la Madonna con Gesù Bambino in gloria e i ss. Filippo Neri e Bonaventura (Romagnoli). Quest'ultima mostra un linguaggio stilistico e figurativo più che mediocre, di sapore quasi artigianale, evidente nella cattiva stesura pittorica e nella banalità della realizzazione grafica delle figure, pregio a suo tempo evidenziato dal biografo F.M.N. Gabburri nelle opere giovanili del M.: se "il suo colorito corrispondesse al disegnar non sarebbe cosa veruna da desiderarsi in questo […] buon Professore".
Il M. morì a Firenze il 24 ott. 1757 (Hugford) e fu sepolto due giorni più tardi nella chiesa di S. Procolo (Bellesi).
Artista di non facile inquadramento nel panorama pittorico fiorentino della prima metà del Settecento, il M. si distinse nel corso della sua prolifica attività per un doppio registro stilistico che variava in gran parte, come appare da un esame circostanziato del suo catalogo, in base alla destinazione dei suoi dipinti. Alle formule eleganti e non prive di raffinatezze auliche che, sensibili prevalentemente ai retaggi di Gabbiani e ai languori del repertorio figurativo neocorreggesco, caratterizzano molti dipinti eseguiti dal M. per la città di Firenze, si alternano spesso opere, destinate ad altri centri urbani o a località del contado, di cruda caratterizzazione interpretativa, improntate su colori scuri e su tipologie umane prive di idealizzazioni, deferenti soprattutto ai nuovi orientamenti delle correnti veneta e lombarda, poco conosciuti e, sicuramente, poco apprezzati, data la mancanza di riscontri stilistici adeguati, dagli artisti toscani nella prima metà del Settecento.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Pal., EB.IX, 5: F.M.N. Gabburri, Vite di artisti (1719-41), IV, c. 2157; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese di Firenze, IV, Firenze 1756, pp. 133 s.; V, ibid. 1757, pp. 33 s.; I.E. Hugford, Vita di Anton Domenico Gabbiani, Firenze 1762, pp. 68 s.; F. Tolomei, Guida di Pistoia, Pistoia 1821, ad ind.; F. Fantozzi, Nuova guida, ovvero descrizione storico-artistico-critica della città e contorni di Firenze, Firenze 1842, ad ind.; G. Tigri, Pistoia e il suo territorio, Pistoia 1854, ad ind.; V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, pp. 260 s.; W. Paatz - E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I, Frankfurt a.M. 1940, p. 425; IV, ibid. 1952, pp. 425, 435, 596 s.; S. Meloni Trkulja, in Diz. encicl. Bolaffi…, VII, Roma 1975, p. 123; R. Fantappiè, Il bel Prato, I, Prato 1983, pp. 120-122; Il complesso monumentale di S. Lorenzo, a cura di U. Baldini - B. Nardini, Firenze 1984, p. 169; C. De Benedictis, Vicende e trasformazioni dell'ospedale di S. Maria di Orbatello, in Antichità viva, XXVI (1987), 5-6, p. 33; M. Bruschi, L'archivio di una pieve del Pistoiese: artefici e opere d'arte a San Giovanni di Montecuccoli in Valdibure (secoli XV-XVIII), Firenze 1988, p. 398; S. Casciu, Vicende settecentesche della villa della Quiete, in Arte cristiana, n.s., LXXVIII (1990), 739, pp. 257, 264; A. Civai, Dipinti e sculture in casa Martelli, Firenze 1990, pp. 85, 156; G. Romagnoli, in Lastra a Signa: percorsi storici e turistici ad uso di viaggiatori attenti, a cura di G.B. Ravenni, San Giovanni Valdarno 1990, p. 57; F. Baldassari, L'attività pittorica di Niccolò Agostino Veracini, in Paradigma, 1992, n. 10, p. 163; P. Cappellini - L. Dominici, Pistoia e il suo territorio, I, Firenze 1992, pp. 19-23; P. Cappellini, in S. Francesco: la chiesa e il convento in Pistoia, a cura di L. Gai, Pistoia 1993, pp. 206 s.; S. Casciu, in Il Museo della Basilica di S. Maria delle Grazie. Guida alle opere e itinerario storico nelle chiese di San Giovanni Valdarno, Montepulciano 1993, pp. 72 s.; L. Bertani et al., S. Carlo dei barnabiti a Firenze, Firenze 1995, pp. 94 s.; M. Valbonesi, La Congregazione e la chiesa di S. Filippo a Pistoia, Pistoia 1995, p. 42; A. Nesi, Riscoprendo l'Ortolanino, in Il Tremisse pistoiese, 1996, nn. 59-60, pp. 37-39; Id., P. M. e il suo mecenate, in S. Sebastiano. Boll. della venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, 1996, n. 189, pp. 10 s.; M. Bruschi, La pieve di S. Giovanni a Montecuccoli e il territorio della Valle della Bure. Ricerche storiche (1974-1997), Pistoia 1997, pp. 8 s., 13 s.; R. Spinelli, in Margherita da Cortona, una storia emblematica di devozione narrata per testi e immagini, a cura di L. Corti - R. Spinelli, Milano 1998, pp. 264 s.; C. Barni, Villa la Magia. Una dimora signorile nel contado pistoiese (secc. XIV-XIX), Firenze 1999, pp. 121, 124; S. Bellesi, La pittura a Prato in età medicea, in Il Settecento a Prato, a cura di R. Fantappiè, Milano-Ginevra 1999, pp. 89 s., 92, 118 s.; M.P. Masini, Il compianto sul Cristo morto. Pieve castellana di San Jacopo, Firenze 1999; Pistoia e il suo territorio, a cura di C. d'Afflitto - F. Falletti, Milano-Firenze 1999, pp. 49 s., 127, 137, 174; M.P. Masini, in La memoria dell'arte. Restauri a San Giovanni Valdarno, a cura di L. Speranza, Firenze 2000, pp. 44 s.; L. Zangheri, Gli Accademici del disegno. Elenco alfabetico, Firenze 2000, p. 198; S. Casciu, in Il Seicento in Casentino (catal., Poppi) a cura di L. Fornasari, Firenze 2001, p. 153; Pistoia inedita: la descrizione di Pistoia nei manoscritti di Bernardino Vitoni e Innocenzo Ansaldi, a cura di L. Di Zanni - E. Pellegrini, Pisa 2003, ad ind.; S. Liscio, in Badia a Pacciana. Chiesa di S. Maria Assunta. Storia e arte, a cura di O. Melani - R. Ciabattini, Ospedaletto 2005, pp. 69-73; Arredi, mobili, oggetti d'arte e dipinti antichi, Pandolfini, Firenze, 27-28 marzo 2007, lotto 536; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 65.