MARCHIO
. Segno che s'imprime su un oggetto, per distinguerlo e riconoscerlo; e più specialmente il segno impresso con un ferro rovente su una parte del corpo dei cavalli o del bestiame, sia per indicarne la razza, la provenienza, l'appartenenza, sia, in caso di epidemie, per distinguere gli animali sani dai malati.
Si dice marchio anche quello che s'imprime per legge sui metalli preziosi per indicarne e garantirne la percentuale di fino.
Etnologia.
Il marchio per i primitivi serve non solo a distinguere la proprietà degli oggetti e degli animali, ma non di rado anche come titolo nobiliare, in quanto rappresenta, per segni o simboli, le gesta di qualche personaggio, reale o mitico, della genealogia o di tutta una stirpe (totem degl'Indiani dell'America Settentrionale, tamga dei Kirghisi, ecc.). Da un punto di vista generale, esso può essere ripartito in marchio individuale, quando serve a contrassegnare gli attrezzi, le armi e altri oggetti di proprietà del singolo, e in marchio collettivo, quando serve per le appartenenze o il dominio di tutto un gruppo: cose, bestiame e, spesso, anche persone. Il marchio dell'una come dell'altra specie può avere la forma d'intaccatura o d'impronta. Il primo sistema è in uso per il bestiame al quale s'intaccano le orecchie, come fanno i Lapponi per le renne, i Masai (Africa orientale) per gli zebù e per gli asini, gli Arabi per i cammelli, ecc.; il secondo è praticato tanto per gli animali quanto per gli uomini e gli oggetti, specialmente per le armi. In quest'ultimo caso il marchio si presenta in forma d'incisioni, le quali sono variabili per motivi e caratteri (geometriche, emblematiche, simboliche), mentre quando è adoperato per gli animali si presenta come un contrassegno a fuoco, impresso col ferro o con altro mezzo sulla cute (Africa orientale, Asia settentrionale); e quando, poi, è adoperato per gli uomini (a meno che non si tratti di un segno d'infamia, nel qual caso può essere impresso a fuoco: Abissinia, ecc.) si confonde col tatuaggio. In quest'ultima categoria si possono far rientrare i marchi dipinti sia sul corpo, sia sulle armi, specie sugli scudi, allo scopo d'individuare il clan, la tribù, la famiglia, ecc. Presso molte popolazioni del Tanganica, della regione del lago Vittoria, come presso i Masai e altre genti dell'Africa orientale, i colori degli scudi e la loro disposizione a cerchio, a semicerchio, a losanga, a zigzag, ecc., hanno speciali significati e sono indicati con termini particolari atti a distinguere le gerarchie e i meriti personali; così pure una speciale nomenclatura in relazione con gli ordini e le classi sociali, hanno presso i Sacalava (Madagascar) le caratteristiche intaccature per il bestiame. Nelle popolazioni a fase totemica viene utilizzato, come emblema di proprietà o di distinzione, la figura o il simbolo del totem; ma questo fatto, attribuito agli Australiani, si riscontra solo fra gli Indiani dell'America Settentrionale.
Bibl.: A. van Gennep, Les marques de propriété chez les indigénes de l'Australie, in Revue des traditions populaires, 1906, pp. 113-122; id., De l'héraldisation de la marque de propriété, Parigi 1906; R. Andree, Ethnographische Parallelen, Lipsia 1889, pp. 74-85.
Marchio di fabbrica e di commercio.
Il marchio, come lo definisce la legge del 30 agosto 1868 (art.1), è il segno che taluno adotta per distinguere i prodotti della sua industria, le mercanzie del suo commercio, gli animali di una razza a lui appartenenti.
L'uso di servirsi di segni figurativi, di sigilli e di marchi, per distinguere e certificare l'identità e la provenienza di prodotti e mercanzie, è antichissimo. Così, sui vasi greci si riscontrano spesso i marchi degli artefici che li hanno fatti o decorati (una mazza, un'ape, una testa di leone, ecc.). Presso i Romani l'uso di marchi (nominali o figurativi) era generale: se ne trovano impressi sui bronzi, sui vetri, sulle terrecotte, sui tessuti, sulle stoviglie.
Nel Medioevo, accanto al marchio o sigillo pubblicistico della corporazione, era altresì per lo più imposto obbligatoriamente, e sotto pena di gravi sanzioni in caso di omissione o di falsità, il marchio individuale del fabbricante. Con lo sparire delle corporazioni medievali il marchio ritornò individuale e facoltativo, salva l'eccezione dei marchi pubblici di garanzia (es., per i metalli preziosi in tutti gli stati, per le armi nel Belgio, ecc.). Ora i marchi collettivi e di garanzia pubblicistica risorgono, favoriti specialmente in Italia dall'affermarsi vigoroso dell'autorità dello stato e del principio corporativistico nell'attività economica nazionale.
Così è per il marchio concesso con la legge 23 giugno 1927 all'Istituto nazionale per l'esportazione (I. N. E.) e per quello concesso con legge 23 agosto 1926 all'Ente nazionale per le piccole industrie, aventi per scopo di garantire la bontà dei prodotti nazionali; per il marchio che la legge 7 marzo 1924 consente di adottare ai produttori di vini tipici riuniti in consorzio; per il marchio unico, depositato al nome dell'Ente nazionale serico, imposto ai filati, tessuti e articoli di seta, dalla legge 18 giugno 1931 e regolamento 1° maggio 1932. Questi marchi, istituiti con disposizioni speciali, sono soprattutto regolati dalle leggi che li concessero, e sono intrasmissibili; ma avendo, come i marchi di fabbrica ordinarî, la funzione preminente di garantire la qualità e l'origine del prodotto, rientrano anch'essi nell'ambito generale della legge organica del 1868, le cui norme, sul deposito, sulle contraffazioni, sulle azioni a tutela, ecc., sono perciò pure ad essi applicabili.
Il marchio può essere emblematico, denominativo o misto, a seconda che sia costituito da segni e figure, o da vocaboli di fantasia, o dalla combinazione dei due elementi. Deve essere caratteristico o distintivo, avere cioè funzione differenziatrice (non valgono quindi i segni e le denominazioni descrittive o d'uso comune); deve essere nuovo, nel senso che non sia già conosciuto e protetto come segno distintivo di un'azienda concorrente; non deve essere caduto in pubblico dominio (com'è ad esempio dei marchi bretelle, grammofono), né illegittimo, perché contrario all'ordine pubblico e al buon costume, o perché mendace, o perché vietato dalla legge (es., il marchio costituito dal segno distintivo della Croce Rossa, o contenente stemmi e bandiere il cui uso è proibito ai privati). Il marchio deve accompagnare la merce, ma non è necessario che inerisca al prodotto incorporandosi con esso, potendo essere impresso, non solo sulla merce, ma anche (ad es., per i liquidi) sui recipienti, involucri, imballaggi. Il marchio, infine, per poter godere della piena tutela della legge (diritto esclusivo), deve essere registrato.
Mentre il marchio registrato è protetto, indipendentemente dalla sua diffusione e notorietà, e quindi fuori da qualsiasi concetto dí effettiva concorrenza che l'uso altrui venga a concretare, il marchio non registrato invece è protetto anch'esso ma solo in ragione e nella misura della sua notorietà e diffusione, nei limiti quindi dell'effettiva concorrenza creata dall'uso altrui. In questo concetto, in definitiva, concordano autori e giurisprudenza, ponendo, da un lato, il marchio registrato sotto l'egida e la tutela della legge speciale del 1868, e, dall'altro, ponendo il marchio non registrato sotto la protezione dei principî generali della concorrenza illecita e dell'azione di responsabilità dell'art. 1151 cod. civ.
Il marchio può formare oggetto di trasferimento, per atto tra vivi o in via di successione mortis causa, purché ciò avvenga senza inganno della buona fede del pubblico. Per questa ragione non sono trasferibili i marchi collettivi e di garanzia pubblicistica, che attestano al pubblico l'appartenenza a un gruppo o a una regione di determinati prodotti, o ne indícano il tipo, o ne garantiscono la qualità; e gli stessi marchi individuali non sono trasferibili senza l'azienda o il ramo dell'azienda di cui contraddistinguono i prodotti, indicaridone per tal via al pubblico l'origine e la provenienza. Per la stessa ragione il marchio segue le sorti dell'azienda, e s'intende alienato, dato in usufrutto, in pegno, in locazione, insieme con essa, salvo convenzione contraria. Il trasferimento del marchio registrato dev'essere dichiarato immediatamente alla prefettura (art. 2 della legge); ma l'omissione di questa formalità non fa sorgere che una presunzione d'abbandono del marchio, vincibile con la prova contraria.
Il diritto al marchio s'estingue per il non uso (art. 1 della legge), per cessazione dell'industria cui inerisce, per abbandono (espresso o tacito), non per il semplice decorso del tempo, essendo (in Italia) perpetua e indefinita la durata della registrazione del marchio. L'estinzione per prescrizione del diritto esclusivo di marchio, si può concepire solo per il marchio registrato e fuori della sfera della sua notorietà.
Solo il marchio registrato è tutelato dalle sanzioni penali della legge speciale (art. 12) e da quelle degli articoli 473, 474 cod. pen. sulla contraffazione (che comprende anche l'imitazione) e alterazione (che comprende anche la soppressione) dei marchi. Quando dalla contraffazione o alterazione del marchio derivi nocumento all'industria nazionale, si applica la sanzione dell'art. 514 cod. pen., con aumento nelle pene se si tratti di marchio registrato. Lo smercio di prodotto con segno mendace costituisce frode in commercio (art. 515 cod. pen.); mentre il semplice fatto di vendere o mettere altrimenti in circolazione prodotti con segni distintivivi atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza, e qualità del prodotto, costituisce una forma attenuata di frode (art. 517 cod. pen.). Come pena accessoria si ha, in tutti questi casi, la pubblicazione gìornalistica della sentenza (articol; 36, 475, 518 cod. pen.).
La tutela civile del marchio è data dall'azione d'accertamento dell'esistenza ed estensione del diritto sul marchio, dall'azione di rivendicazione della proprietà del marchio e surroga nella registrazione, dall'azione proibitiva o d'interdizione, contro le usurpazioni e contraffazioni, e dall'azione di risarcimento del danno, in caso di dolo o di colpa. È consentita, fra le sanzioni civili, la pubblicazione giornalistica della sentenza, come forma specifica del danno non patrimoniale derivante dal fatto illecito del contraffattore (cfr. art. 186 cod. pen. e rel. min. n. 93).
Le azioni riguardanti la proprietà dei marchi registrati debbono, per disposto testuale della legge speciale (art. 11), ritenersi di natura essenzialmente civile. Le sentenze, che dichiarano la nullità d'un marchio registrato, sono valevoli erga omnes e vanno annotate sul registro apposito dei marchi (art. 11 reg. 20 marzo 1913).
I marchi legalmente usati all'estero sono tutelati in Italia, purché vengano ivi osservate le prescrizioni stabilite per i nazionali (art. 4 legge 1868). Questo principio d'equiparazione del marchio straniero al marchio nazionale, è del resto accolto anche nella convenzione internazionale della cosiddetta unione di Parigi del 2o marzo 1883, agli articoli 2 e 3 del testo definitivo firmato all'Aia, il 6 novembre 1925, e approvato in Italia col r. decr.-legge 10 gennaio 1926, n. 169. Secondo l'art. 6 di detta convenzione, il marchio, regolarmente registrato nel paese d'orígine, è protetto tale e quale anche nel paese d'importazione, salvo che sia privo di carattere distintivo, o contrario alla morale o all'ordine pubblico, e salvo il rispetto dei diritti dei terzi, in cui il nuovo testo dell'Aia (art. 6 bis) include anche il rispetto del marchio diffuso non registrato. Interessante è pure la clausola nuova del testo dell'Aia (art. 7 bis), che ammette alla registrazione e protezione di legge i marchi appartenenti a una collettività, la cui esistenza non sia contraria alle leggi del paese d'origine, anche se tale collettività non possieda uno stabilimento industriale o commerciale. Infine è da ricordare la convenzione di Madrid del 14 aprile 1891, anche questa riveduta e raccolta poi in testo definitivo all'Aia il 6 novembre 1925 (approvato in Italia col r. decr.-legge 10 gennaio 1926 citato), relativa alla registrazione internazionale dei marchi di fabbrica e di commercio presso il Bureau international di Berna. A cominciare dalla registrazione a Berna, il marchio internazionale ha valore in ciascuno dei paesi nominati, come se il marchio vi fosse stato depositato direttamente (art. 4), per la durata di anni 20 (art. 6).
Bibl.: F. Cottarelli, Brevetti, marchi, ecc., in Encicl. giur. it., 1892; M. Amar, Dei nomi, dei marchi e degli altri segni, Torino 1893; Braun e Capitaine, Les marques de fabrique, Bruxelles 1908; F. Carnelutti, Diritto al marchio e registrazione, in Riv. dir. comm., 1912, p. 340; E. Pouillet, Traité des marques de fabrique et de la concurrence déloyale, Parigi 1912; C. Chevenard, Traité de la concurrence déloyale, I, II e III, Ginevra-Parigi 1914; M. Ghiron, Il marchio nel sistema del diritto industriale italiano, in Riv. dir. civ., 1915; F. Pestalozza, Commento al disegno di legge sui marchi di fabbrica 16 ottobre 1918, in Riv. dir. comm., 1918, p. 750; id., Rassegna critica della giurisprudenza in materia di concorrenza illecita (1916-1918), in Riv. dir. comm., 1919; id., Usurpazione di marchio denominativo, in Foro della Lombardia, 1933, p. 20; V. De Sanctis, La funzione sindacale nella repressione della concorrenza sleale e in materia di marchi di fabbrica, in Il diritto del lavoro, I (1927), p. 553; C. Vivante, Trattato di dir. comm., III, 5ª ed., 2ª rist., 1929, pp. 22-58; E. Albasini Scrosati, Marchi e nomi nella recente giurisprudenza italiana (1918-28), in Riv. dir. comm., 1929, p. 465; A. Sraffa, Monopoli di segni distintivi e monopoli di fabbricazione, in Riv. dir. comm., 1930, p. i; M. Rotondi, Marchio, denominazione del prodotto e concorrenza sleale, in Riv. dir. comm., 1932, p. 65; F. Invrea, Il carattere costitutivo del deposito del marchio, in Riv. dir. comm., 1932, p. 351.