BRANCACCIO, Marco Antonio
Nato a Napoli da Carlo e da Camilla Pisanello intorno al 1570, ancora fanciullo, il 12 marzo 1577, venne ricevuto nell'Ordine dei cavalieri di S. Giovanni di Malta come cavaliere milite di giustizia. Nel 1598 era capitano della fanteria italiana nell'esercito spagnolo delle Fiandre, dove nel 1607 ebbe il grado di sergente maggiore. Tornato nel Regno di Napoli, ottenne la carica di sergente maggiore in un reparto di milizia territoriale, il battaglione di Barletta. Nel 1625, agli ordini dello zio Lelio Brancaccio, prese parte, come sergente maggiore di un reggimento napoletano di fanteria, alla guerra contro il duca di Savoia in Liguria, durante la quale fu nominato dalla Repubblica di Genova governatore di Ormea. L'anno successivo combatté contro i Grigioni, tentando invano di conquistare Briga. Nel 1627, nominato maestro di campo agli ordini di Filippo Spinola, prese parte alla guerra nel Monferrato, distinguendosi alla conquista di Ponzone, importante posizione strategica, con l'espugnazione della quale gli Spagnoli sbarravano la strada ai soccorsi francesi provenienti dalla Provenza.
Nel 1629 fu nominato balì dell'Ordine gerosolimitano. Nello stesso anno, in seguito ad una riforma delle truppe spagnole di Lombardia, che riduceva il numero dei reggimenti e quindi quello degli ufficiali in servizio attivo, il B. fu "riformato", posto cioè in congedo con un soldo minimo. Il provvedimento non fu accolto di buon grado dal B., che, dopo molte proteste, passò al servizio dei Veneziani, inducendo a seguirlo una trentina di ufficiali inferiori dell'esercito di Lombardia, anch'essi "riformati". La Repubblica di Venezia stabilì per il B. un soldo di 2.000 scudi in tempo di pace e del doppio in tempo di guerra.
Le autorità spagnole considerarono il comportamento del B. e dei suoi seguaci come un atto di fellonia e, catturati cinque degli ufficiali passati al servizio dei Veneziani, li giustiziarono. Dalle accuse degli Spagnoli il B si difese facendo distribuire dai suoi familiari a Napoli un manifesto nel quale spiegava l'ingiustizia compiuta ai i suoi danni e respingeva l'accusa di fellonia con il motivo che la Repubblica di Venezia non era nemica della Spagna.
Durante il soggiorno in Venezia il B. fu avvicinato dal medico napoletano Giuseppe Grillo, corrispondente ed amico, del frate Tommaso Pignatelli, che a Napoli era a capo di un complotto per rovesciare il governo spagnolo con l'aiuto del papa e della Repubblica di Venezia. Scoperto ed arrestato il Pignatelli, nel lungo processo che ne seguì le autorità spagnole non riuscirono a trovare elementi sufficienti per incriminare il B., che pure per il suo comportamento precedente era fortemente sospetto. Pare anzi che il B. potesse ottenere sin dal 1638 di rientrare a Napoli, poiché in quell'anno ottenne dall'Ordine di Malta l'amministrazione della chiesa napoletana di S. Giovanni a Mare. In ogni modo era sicuramente tornato nel Regno nel 1643, perché in quell'anno una lettera reale di Filippo IV gli restituì il godimento di una pensione di trecento ducati sulla provincia di Bari, ottenuta prima del suo passaggio al servizio della Repubblica di Venezia e toltagli successivamente. Secondo il Capecelatro, del resto, al servizio dei Veneziani il B. sarebbe rimasto per un tempo assai breve, essendo stato licenziato "come poco utile a servirli perché dedito al vino il quale sconciamente beveva e stava per lo più ubbriaco".
Anche dopo il ritorno a Napoli, però, il risentimento del B. verso gli Spagnoli non dovette venir meno. Durante la rivolta iniziata nel 1647 da Masaniello egli fu infatti uno dei principali esponenti della minoranza dei nobili napoletani che presero apertamente parte per gl'insorti. Nell'ottobre del 1647 fu eletto dai popolari maestro di campo agli ordini del generalissimo del popolo Francesco Toraldo. Per assecondare gli umori popolari richiese di essere affiancato nella carica da un gruppo di rappresentanti dei vari quartieri. Il 21 ottobre, ucciso il Toraldo dai popolari come sospetto di tradimento, ne fu offerta al B. la carica. Ma egli, che pure, a detta di alcune fonti, vi avrebbe in un primo tempo aspirato, vi rinunziò in favore di Gennaro Annese, forse temendo che le incontrollabili oscillazioni dei sentimenti della plebe potessero riservargli la medesima sorte toccata al Toraldo.
Insieme col provveditore generale Vincenzo d'Andrea e con Luigi Del Ferro, autoproclamatosi ambasciatore del re di Francia, il B. fu per alcuni giorni uno dei più vicini collaboratori dell'Annese. Subito però si manifestarono insanabili contrasti tra il B. e gli altri capi degli insorti: il primo, infatti, contro il d'Andrea, che sosteneva doversi costituire il Regno di Napoli in libera repubblica, e contro l'Annese e il Del Ferro, che intendevano porsi sotto il patronato del re di Francia, sostenne l'opportunità di affidare tutto il comando politico e militare al duca di Guisa. Respinta la sua posizione, il B., il 29 ottobre, rinunziò alla carica di maestro di campo dell'esercito popolare. Questa decisione non piacque ad una parte degli insorti, che elevarono contro di lui l'accusa di tradimento: trascinato nella piazza del Mercato sarebbe stato sbrigativamente decapitato se non lo avessero liberato alcuni suoi sostenitori. Rifugiatosi nella propria casa non osò uscirne sino a che, riconquistata la città dall'esercito di don Giovanni d'Austria e del viceré conte d'Oñate nell'aprile del 1648, fu pubblicato dagli Spagnoli un indulto che comprendeva anche il Brancaccio.
Poco fiducioso nelle garanzie offerte dagli Spagnoli, il B. approfittò dell'occasione per abbandonare Napoli e rifugiarsi presso l'ambasciatore francese a Roma, marchese di Fontenay. Subito dopo prese parte all'ultimo vano tentativo francese di invadere il Regno. Le autorità spagnole condannarono il B. per ribellione e confiscarono i suoi beni. Morì intorno al 1650.
Fonti eBibl.: F. Capecelatro, Diario... delle cose avvenute nel reame di Napoli negli anni 1647-1650, a cura di A. Granito di Belmonte, II-III, Napoli 1852-1854, ad Indices;S.Guerra, Diurnali, a cura di G. de Montemayor, Napoli 1891, p. 167; R. M. Filamondo, Il genio bellicoso di Napoli, Napoli 1714, pp. 259, 313, 413; B. Del Pozzo, Ruolo generale de' cavalieri gerosolimitani della veneranda lingua d'Italia, Torino 1738, p. 132; E. Ricca, La nobiltà delle Due Sicilie, I, 5, Napoli 1879, pp. 224-227; L. Amabile, Fra' Tommaso Pignatelli,la sua congiura e la sua morte, Napoli 1887, pp. 39-41 e passim;docc., p. 26; M. Schipa, Masaniello, Bari 1925, pp. 134 s., 139, 199; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, p. 210; A. Valori, Condottieri e generali del Seicento, Milano 1943, p. 56.