CAPRA, Marco Antonio
Figlio unico del notaio Francesco Antonio e di Rosa Venturocci, nacque a Lugo in Romagna intorno al 1739. Intraprese la carriera ecclesiastica, studiando prima con l'abate Giuseppe M. Fabbri dal Comiolo, e quindi nel collegio Trisi, ove seguì in particolare i corsi di filosofia del padre Bartolomeo Baldrati, conventuale; gli studi teologici furono compiuti sotto la guida del padre Tommaso Luigi Ballapani, domenicano. In questo periodo di formazione il C. ebbe come colleghi Francesco Zacchiroli, che conquisterà poi discreta fama poetica, e Francesco Bertazzoli, poi cardinale, ma soprattutto si legò di profonda amicizia a Giuseppe Compagnoni, con cui resterà in stretti rapporti per tutta la vita.
La svolta decisiva nella biografia del C. è legata all'abbandono della carriera ecclesiastica con la conseguente scelta della professione paterna, che lo condusse agli studi giuridici, sempre nel collegio Trisi, sotto la guida di Antonio Lugaresi. Ma in questa decisione, accanto a evidenti motivazioni d'ordine pratico, dovettero agire anche ragioni più direttamente intellettuali, testimoniate dall'intensa frequentazione dei testi illuministici francesi, etra tutti del Voltaire, che il C. con il Compagnom compiva in quegli anni.
Per il C. dovette trattarsi d'una scelta tutt'altro che occasionale o superficiale, se fu proprio questo interesse per i testi illuministici a causargli, certamente dopo il 1765, un'accusa d'ateismo presso il tribunale dell'Inquisizione. Condannato al carcere, riuscì a fuggire e a riparare in Toscana, ove fu introdotto alla corte del granduca Pietro Leopoldo dall'amico di gioventù Francesco Zacchiroli. La fuga del. C. provocò anche una controversia tra il papa, che ne chiese l'estradizione, e il granduca, che vi si oppose risolutamente. Solo più tardi il caso fu risolto e il C. poté far ritorno a Lugo, ove sposò Benedetta Folegatti.
L'attività poetica del C. fu sempre molto intensa, anche se pochi scritti furono passati alle stampe. Indicative del suo temperamento aggressivo, e tali da causargli non poche persecuzioni, furono le satire che produsse in gran numero, attaccando personaggi del suo tempo e lottando, con spirito illuministico, contro i pregiudizi e le ingiustizie più diffuse: la circolazione di questi testi satirici restò manoscritta, cosicché non sono state tramandate. Come, del resto, molte altre opere del C., tra cui un Canto sulla morte di Gesù Cristo, un poema eroicomico Sull'origine diLugo, e un'opera Sulla soppressione dei Gesuiti.
Le opere pubblicate a stampa consentono di definire con precisione i termini del rapporto del C. con la cultura illuministica e più complessivamente con le tendenze poetiche del secondo Settecento: la scelta costante di tematiche "notturne" serve infatti sia a misurare il grado di diffusione anche provinciale di un certo gusto ossianesco, sia, più direttamente, a verificare il rapporto del C. con i materiali illuministici. L'esordio poetico del C. è costituito da un Notte poetica (Faenza 1755, preceduta da una lettera del Compagnoni sull'eloquenza sacra), cui segue il poemetto La rocca di Lugo incendiata (Faenza 1776, con una "libera dissertazione" del Compagnoni sulla poesia).
Ma sono le Sei notti poetiche sopra argomenti diversi (Cesena 1777) a porsi come l'esperienza poetica essenziale del Capra.
Nella premessa dell'"editore a chi legge", accanto all'esplicito riconoscimento della validità "inimitabile" del modello delle Notti dello Young, viene svolta una serrata critica delle deviazioni causate dall'aver" troppo incautamente - lo Young - rilasciato il freno all'estro, all'immaginazione, all'eloquenza". Cosicché le Notti del C. sono proposte come esempio concreto d'una imitazione che elimini tutti i difetti del modello, correggendo il sentimentalismo e la "malinconia" dello Young con considerazioni filosofiche, religiose e di erudizione. Il carattere filosofico più che privato, scientifico più che sentimentale, delle Notti del C. è immediatamente individuabile nel testo, che si apre con un encomio di Newton e di Galilei, discute quindi la filosofia di Spinoza, "imbecille mortal" e "temerario uom" allegando l'autorità di Bayle, per poi svolgere, nella terza notte, alcune riflessioni sulla caducità della gloria mondana, che consente l'utilizzazione del più corretto repertorio di figurazioni funebri. Le contraddizioni della cultura del C. risultano nettamente dalla quarta notte, che si propone come "saggio sull'uomo", e nella quale, accanto alla discussione delle posizioni di Maupertuis e di Genovesi, viene svolto il tema, certamente generico e quindi metafisico, dell'uomo che "di sua ragione il dono / sprezza e sommette a crudeltà spietata" (p. 52), ma nello stesso tempo mantiene la sua "augusta" proporzione nella natura. E nella sesta notte, che contiene un "saggio sull'Anima", le contraddizioni si esplicano nell'attacco alle teorie di Locke e di Voltaire: palinodia delle posizioni giovanili che erano costate al C. la persecuzione inquisitoriale. L'opera si chiude con una significativa "visione" dedicata al tema del tempo che tutto distrugge (in particolare, i grandi imperi della storia), che finisce per avere un netto risalto ideologico antilluminista.
L'ambiguità di fondo della posizione intellettuale del C. è confermata dall'altra sua opera di rilievo, Il tremuoto di Bologna (Ferrara 1781), in cui si registra la stessa contaminazione tra diverse linee dell'esperienza culturale del secondo Settecento: da una parte la strutturazione del testo come "visione", dall'altra l'attenzione a problematiche scientifico-filosofiche.
Il poemetto è presentato, nella nota "A chi legge", come fatto di versi "legittimi figliuoli della sensibilità": "questo è tutto il loro merito; merito invero non picciolo agli occhi della ragione, e che può forse salvarli dalla severa censura di tutti coloro che non hanno arricchito l'ingegno della solida cognizione delle arti se non che a spese del cuore" (p. VI). Se questa battuta riecheggia direttamente i termini della critica alle Notti dello Young, occorre rilevare che tenta di attribuire al poemetto del C. una dimensione che certamente risulta sproporzionata. La rievocazione del terremoto del 4 aprile 1781 intende porsi in antagonismo con quello di Lisbona descritto dal Voltaire, ma anche se ne espone le cause con "fisica verità", e cerca di descrivere lo spavento e il terrore in termini sensistici, converge in una organica strutturazione di "visione" angosciosa e terribile, in cui il "fisico" è di fatto soppiantato dal "metafisico".
Rimasto vedovo, senza figli, negli ultimi anni il C. decise di abbandonare Lugo e di trasferirsi a Roma, non senza aver prima distrutto tutti i suoi manoscritti. Qui sperava forse di godere della liberalità del papa, al quale aveva dedicato anni prima il poemetto Pio VI alle paludi pontine (Roma 1780); ma non ebbe successo. Tanto che morì, poverissimo e senza amici, nell'ospedale di S. Spirito, il 22 ott. 1793.
Bibl.: G. Rambelli, M.A.C., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri..., III, Venezia 1836, pp. 167-169; G. Natali, Il Settecento, Milano 1964, II, p. 85.