FRANCIOTTI, Marco Antonio
Nacque a Lione l'8 sett. 1592, secondogenito del mercante Curzio e di Chiara Balbani, entrambi appartenenti ad antiche famiglie lucchesi. Mentre il padre avviò ben presto gli altri suoi figli maschi, Nicolao e Bartolomeo, alla mercatura, per il F. scelse la carriera ecclesiastica, nella quale la famiglia, imparentata con i Della Rovere, si era già illustrata.
Dal 1606 al 1610 il F. studiò nel collegio dei gesuiti di Lione, dal quale però il padre, ritornato a Lucca, decise di farlo uscire, dal momento che la Repubblica non ammetteva tale Ordine nel suo territorio. Ligio al volere paterno, il F. si spostò a Pisa e a Bologna, dove conobbe Maffeo Barberini, il futuro Urbano VIII.
Una volta completati gli studi, il F. si trasferì a Roma presso un suo parente, l'avvocato concistoriale Giovan Battista Spada, che lo aiutò a compiere i primi passi di un brillante cursus honorum: Paolo V lo nominò nel dicembre 1619 protonotario apostolico; Gregorio XV governatore di Fabriano (1622) e poi di Faenza; quindi Urbano VIII lo fece chierico di Camera, prefetto dell'Annona (1627) e auditore generale (1629). Nel concistoro del 28 nov. 1633 il F. fu creato cardinale in pectore, carica pubblicata il 30 marzo 1637, quando ebbe il titolo di S. Clemente (poi mutato nel 1639 in S. Maria della Pace) e fu nominato vescovo di Lucca.
Qui avviò subito un intenso programma di visite pastorali che, se giovarono alla diocesi, lo tennero però troppo lontano dalla città, dove perse in popolarità. I primi conflitti sorsero nel 1638 intorno alla quantità di grano che, in base a un accordo precedente, il vescovo poteva mandare nelle terre di sua diretta giurisdizione senza l'autorizzazione dell'Offizio sopra l'Abbondanza. Il F., che non riconosceva la validità del patto, riuscì a rinegoziare un nuovo compromesso, attirandosi così molte antipatie (è da notare che i fratelli del F. erano interessati al commercio dei grani). Il successivo ferimento di un canonico della cattedrale da parte di un servitore del vescovo fornì alla Repubblica l'occasione di proibire a tutte le persone al servizio dei Franciotti di portare armi, fatto che parve al F. lesivo della dignità vescovile e arbitrario nei confronti della sua famiglia. Tra atti di teppismo vennero arrestati gli stessi fratelli del F. per "causa di Stato", senza alcuna prova a loro carico. Come era solito fare nella sua corrispondenza, il F. chiese consiglio sul da farsi ai Barberini, che lo fecero richiamare a Roma dal papa il 1° sett. 1639. I Lucchesi - che cercarono di evitare l'ingresso in città del commissario apostolico, C. Raccagna - furono colpiti da una scomunica (29 marzo 1640) e da un interdetto (13 aprile).
Il ritorno a Roma del F. non fu tuttavia una punizione: il 21 maggio 1640 venne nominato legato di Romagna, dove arrivò nel luglio dello stesso anno.
Da Ravenna il F. cercò sempre di seguire le vicende lucchesi, segnalando persone a lui fedeli per le cariche cittadine e interessandosi della sorte dei suoi familiari e delle sue rendite; mentre la Repubblica, grazie all'aiuto della diplomazia spagnola, mirava a un lento ristabilimento dei rapporti con Roma. Circa gli affari di Romagna, proseguì la pratica di consultarsi sempre con Antonio e Francesco Barberini.
Dopoché i rapporti fra la S. Sede e il duca di Parma, Odoardo Farnese, si erano deteriorati, il 24 ott. 1641 il F. si rallegrò con i Barberini dell'avvenuta presa di Castro, ma dovette cominciare a occuparsi del continuo passaggio in Romagna di compagnie di soldati pontifici dirette a Bologna e nel Ferrarese, del loro oneroso vettovagliamento e dei non pochi problemi di ordine pubblico che creavano. Le lettere scritte dal F. a Roma in questo periodo denunciano il pessimo stato delle fortificazioni e l'assoluta mancanza di artiglierie, fuorché a Rimini; addirittura in diverse località della stessa Romagna venivano levate truppe da agenti degli Stati confinanti.
Nonostante un anno di preparativi, quando nel settembre 1642 Odoardo Farnese mosse da Parma verso lo Stato della Chiesa alla riconquista di Castro, aggirando i presidî pontifici, trovò la Romagna completamente sguarnita. In Imola, dove si trovava, il F., per evitare un violento saccheggio, aprì le porte della città alle truppe farnesiane, dopo essersi accordato con il duca sul passaggio pacifico di queste attraverso la Romagna e dietro pagamento di quanto sarebbe stato da loro preso per rifornimento. Il fatto però di avere, anche se costretto, ricevuto il Farnese personalmente e aver trattato con lui, gli procurò dei giudizi poco lusinghieri negli ambienti di Curia a Roma.
Il 29 novembre, passata la fase acuta della guerra, il F. ricevette la notizia della nomina di Antonio Barberini a nuovo legato di Romagna e tornò a Roma, quasi lieto di essere sollevato da una responsabilità che lo aveva stancato e amareggiato.
Da Roma non si mosse più e nel 1645 (dopo la morte di Urbano VIII) rinunciò al vescovato di Lucca. Ma nella sua città, ormai liberata dall'interdetto, la persecuzione contro i suoi fratelli continuò, tanto che Nicolao fuggì da Lucca e si fece ospitare a Roma dal F., finché non ottenne nel 1651 di poter tornare a casa senza pericoli. Ma ormai la famiglia Franciotti aveva perso gran parte dei beni e dei suoi traffici commerciali.
Il F., che frattanto favoriva la carriera ecclesiastica del nipote Agostino - si dedicò alla protettoria dell'Ordine cistercense e soprattutto a una fervente vita religiosa.
Nel 1648 fece parte della commissione cardinalizia incaricata da Innocenzo X di occuparsi dei contrasti tra i gesuiti messicani e il vescovo di Puebla, amministratore di Città del Messico, Giovanni Palafox y Mendoza.
Alla morte di Innocenzo X (1655), il F. - che era ritenuto dagli osservatori del conclave il più degno della tiara - rimase un "buon cardinale" e fu tra coloro che votarono per Agostino Chigi, divenuto quindi Alessandro VII.
Morì l'8 febbr. 1666 nel suo palazzo presso piazza Colonna, amorevolmente assistito dai cardinali Antonio e Carlo Barberini, e fu sepolto nella chiesa del Gesù.
A Lucca Bartolomeo Andreucci scrisse un'ode in memoria del F. in rutilante linguaggio poetico, e per lungo tempo venne divulgata l'anonima Ricognitione delle virtù del cardinale M.A. F. dagli accenti marcatamente agiografici. Due incisioni raffiguranti il F., di G. Vallet e G.B. Bonacina, sono conservate nella Biblioteca apost. Vaticana.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Officio sopra la giurisdizione, nn. 106-138; S. Maria Cortelandini, n. 188 (contiene delle "relazioni politiche", la quinta delle quali è la Ricognitione delle virtù del cardinale M.A.F., che si trova anche nella Bibl. governativa di Lucca, ms. 1577, f. 7r); Archivio Arnolfini, nn. 10, 17, 55, 96, 97, 101, 104; Archivio Buonvisi, II, n. 2; Bibl. apost. Vaticana, Barb.lat. 4695, pp. 219-244; 7249, f. 112; 8716, ff. 3-344; 8785, ff. 36-87; Chig. G VIII 244, pp. 298-300, 305-308, 344; Chig. E V 147, pp. 108-110; B. Andreucci, Nella morte dell'eminentissimo signorcardinale M.A. F., Lucca 1666; G.B. Bottini, Purpuratorum principum idea siveIn funere M.A. F., Romae 1666; G. Lucari, In funere M.A. F., Romae 1666; A. Ciaconius, Vitae et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, IV, Romae 1677, pp. 597 s.; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dal 1004 al 1700, in Arch. stor. italiano, X (1847), pp. 553-575; S. Bongi, Inventario del Regio Archiviodi Stato in Lucca, I, Lucca 1872, pp. 370-373; IV, ibid. 1888, pp. 109, 175; L. von Pastor, Storia dei papi…, XIII, Roma 1931, pp. 716, 725, 888 s.; XIV, 1, ibid. 1932, pp. 160, 312; R. Mazzei, La questionedell'interdetto a Lucca nel sec. XVII, in Riv. stor. italiana, LXXXV (1973), pp. 167-185; Id., La società lucchese delSeicento, Lucca 1977, pp. 6 s., 98; G. Moroni, Diz. di erudiz.stor.-eccles., XXVII, pp. 145 s.; P. Gauchat, Hierarchia catholica…, IV, Monasterii 1935, p. 24.