ANTONIO Primo, Marco (M. Antonius Primus)
Generale romano, vincitore dell'esercito di Vitellio in Italia. Era nato a Tolosa fra il 35 e il 38 d. C.; anzi piuttosto nel 35 che dopo, tenuto conto che nel 61 era già nel senato, dal quale fu espulso, appunto in quell'anno, per condanna riportata come complice in falso testamento. Le guerre civili che seguirono la morte di Nerone riapersero ad A. le porte del Senato. Egli ebbe da Galba il comando della legione VII (Galbiana) dislocata in Pannonia, e i turbinosi avvenimenti del 69 gli diedero occasione di esplicare i suoi talenti militari. A. possedeva le qualità più adatte a conquistare l'animo dei soldati: grande audacia, forza fisica, parola facile e demagogica: sapeva saccheggiare e largire; cittadino detestabile, ma valoroso generale. Il suo nemico fu Vitellio. Si diceva che egli dapprima avesse offerti i suoi servizî ad Ottone: non avendo avuto accoglienza, si fece propugnatore della candidatura di Flavio Vespasiano. Nell'adunata ch'ebbe luogo a Petovione (Pettau) dei legati che aderivano a questa candidatura, egli sostenne con vigore la necessità di scendere subito in Italia: e si mise rapidamente in marcia, con poche milizie, occupò Padova e poi Verona, che fu il luogo di concentramento di tutte le forze flaviane: due legioni di Pannonia e tre della Mesia. A. ne assunse il comando: gli altri legati si misero ai suoi ordini. Le milizie vitelliane, che gli stavano di fronte, erano considerevolmente più forti. Si componevano di otto legioni, ch'erano però comandate da un generale assai più malfido e meno abile e risoluto, Cecina Alieno. Si combatté disperatamente a Bedriaco, ma la vittoria fu di A. Cremona fu saccheggiata e arsa. A. si mise rapidamente in marcia alla volta di Roma, raccolse una legione proveniente dalla Dalmazia, passò a Fano l'Appennino senza trovare resistenza, e a Carsule fu raggiunto dalle sue legioni ch'egli aveva lasciate addietro. A Narnia i presidî vitelliani gli si arresero, onde egli ebbe libera la via su Roma. Tuttavia si trattenne a Ocriculum (Otricoli) a celebrare i saturnali. Poiché intanto a Roma avvennero tumulti in conseguenza dei quali andò in fiamme il Campidoglio, quest'indugio gli fu imputato a colpa. Si disse che egli teneva segrete intelligenze con Vitellio, pronto a tradire la causa di Vespasiano. Ma da quanto appare, A., che portava l'infamia dell'incendio di Cremona, attendeva invece che Vitellio abbandonasse l'impero o i vitelliani rinunziassero alla resistenza, per risparmiare a Roma le conseguenze di un combattimento dentro la città. E quando si appressò a Roma, fece ancora un ultimo tentativo per trattenere le sue milizie, provocate dalla pervicacia delle coorti vitelliane. Ma non riuscì. Si combatté per le vie, il quartiere dei pretoriani fu preso d'assalto (circa 20 dicembre). Ma la popolazione civile non ebbe a soffrire molto, sebbene le violenze non potessero mancare; e non sembra che i monumenti della città siano stati danneggiati. A. fece bottino nelle case dei nemici, ricevette dal senato le insegne consolari, ma non gode a lungo della soddisfazione dei suoi successi. Si trovò a fianco Muciano, suo rivale, e avversario implacabile, che lo denigrò e non volle ammetterlo nel seguito di Domiziano. A. uscì da Roma e si recò presso Vespasiano, a ricordare quanto avesse fatto per lui. Fu accolto cordialmente, ma non come si aspettava. Muciano continuava implacabilmente la sua opera nelle lettere che mandava all'imperatore. Sicché i rapporti tra questo ed A. si fecero sempre più freddi, pur conservando le apparenze dell'amicizia. Tutta la gesta di A. si era conclusa in sei mesi, dal luglio al dicembre del 69. Non appare che sia stato poi adoperato in altri comandi militari. Visse oltre i sessant'anni, e fu amico di Marziale. E ancora, verso la fine del I sec. d. C., quando Muciano e Vespasiano erano morti da un pezzo, ebbe caro ricordare la sua gesta e le sue benemerenze.
La fonte principale è Tacito, che indubbiamente lo conobbe. Egli ne parla in tono ostile. Da Svetonio sappiamo che Antonio da ragazzo ebbe fra i suoi il soprannome di Rostrum; cfr. E. Klebs, Prosop. Imp. Romanis, I, p. 103.
Bibl.: v. Rohden, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 2635 segg. (strane inesattezze nella data di nascita); B. W. Henderson, Civil War and Rebellion in the Roman Empire, Cambridge 1927, pp. 157-164, 182-213, 218-227 e passim.