Attilio Regolo, Marco
Console per la prima volta nel 267 con Lucio Giulio Libone, sconfisse i Salentini e strappò loro il territorio di Brindisi.
Suffectus nel 256, alla morte di Quinto Cedicio assunse con Lucio Manlio Vulsone il comando della flotta romana, che affrontò quella cartaginese all'altezza del Capo Ecnomo. Sconfitti i Cartaginesi, l'esercito romano venne sbarcato in Africa, al Capo Ermeo. Dopo la presa di Clupea e il richiamo della flotta in Italia, A.R. rimase in territorio africano con due sole legioni. Con queste vinse i Cartaginesi ad Adys, conquistò Tunisi e si accampò in vista di Cartagine. Nelle trattative di pace, che seguirono nella primavera del 255, impose condizioni durissime, respinte dai Cartaginesi, la cui armata si stava intanto riorganizzando sotto la guida dello spartano Santippo. Senza aspettare rinforzi, A.R. attaccò battaglia; ma fu sconfitto e fatto prigioniero. Morì a Cartagine, prima dello scambio di prigionieri del 247.
Della fine di A.R. la tradizione fornisce una versione più ampia e particolareggiata, secondo cui nel 250, fallito il tentativo di riprendere Palermo, i Cartaginesi inviarono a Roma il console prigioniero a proporre lo scambio dei prigionieri (e la pace), vincolandolo con giuramento a ritornare a Cartagine, ove la legazione non avesse raggiunto lo scopo. Giunto a Roma, A.R. si oppose in Senato alle proposte nemiche e ripartì per Cartagine, dove fu suppliziato.
Il racconto della prigionia e della morte di A.R. sconosciuto a Polibio (I 34-35), ma riferito già da Sempronio Tuditano, in Gellio (VII 4 1), appare assolutamente privo di autenticità, e originato piuttosto dalla volontà degli Attili di giustificare le torture cui la moglie del console aveva sottoposto, alla notizia della morte del marito, i nobili cartaginesi Amilcare e Bodostare, datile come ostaggi, senza diritto alcuno di rappresaglia (Diodoro XXIV 12).
La leggenda della legazione e del supplizio di A.R., entrò così nella tradizione, e vi rimase (Agost. Civ. II 23; Cic. In Pis. XIX 43; Fin. II XX, V XXVII; Off. III XXVI 99, XXVII 100-101; El. Acr. ad Horat. Carm. I XII 37; Livio Periochae XVIII; Orosio IV 10, 1, e soprattutto Zonara VIII 15); mentre del fatto che aveva dovuto spiegare si perdeva completamente la traccia. Attraverso Cicerone e s. Agostino esso arrivò fino a D., che in Cv IV V 14 pone questo condottiero in realtà poco abile e questo poco sapiente politico fra quei cittadini, le cui gesta apparivano testimonianza dello spezial processo della storia di Roma, ordinato da Dio alla ottima disposizione de la terra necessaria al compimento dell'opera di redenzione.