SEVERINO, Marco Aurelio. –
Nacque a Tarsia, presso Cosenza, il 2 novembre 1580 dal giurisperito Giovan Giacomo e da Beatrice Oranges.
Precocemente orfano di padre, furono la madre e lo zio Antonio Severino a curarne la prima educazione, affidandolo a precettori locali, tra Tarsia e la vicina Roggiano. Fu poi inviato a Cosenza, per apprendere le lingue classiche sotto la guida del gesuita Orazio Giannino; ritornò dunque a Tarsia per decisione dello zio, che volle avviarlo agli studi di diritto con il maestro Cesare Scarlato.
Fattosi più adulto, si trasferì a Napoli, seguendo la corte della marchesa Virginia Caracciolo, moglie di Giovan Vincenzo Spinelli: il loro figlio Giuseppe Vespasiano sarebbe divenuto nel 1612 principe di Tarsia. Severino prese a dedicarsi a studi di filosofia presso il collegio gesuitico; qui ascoltò le lezioni del rinomato teologo Girolamo Fasulo. Ma presto si rivolse a coltivare la propria vocazione, iniziando a frequentare le lezioni di medicina nello Studio partenopeo. Il giovane Severino approdò dalla Calabria a Napoli in una stagione culturale assai intensa, sia per quanto esprimeva la vita dello Studio sia per il diffuso fermento destato da accademie, imprese editoriali, gabinetti naturalistici. Tra i professori di medicina vi era Latino Tancredi, calabrese anch’egli, di Camerota, «huomo di molte lettere et di molto giudicio, et gran defensore della dottrina del Telesio» (S. Quattromani, La philosophia di Berardino Telesio ristretta in brevità..., Napoli 1589, Ai lettori), anche in contatto con Johann Faber (G. Gabrieli, Contributi alla storia dell’Accademia dei Lincei, I, Roma 1989, p. 326), medico pontificio e figura di primo piano nella romana Accademia dei Lincei di Federico Cesi.
Gli anni di formazione in una città pienamente partecipe del moto di rinnovamento intellettuale che attraversava il primissimo Seicento forgiarono l’animo del giovane calabrese, aprendolo alle correnti più vitali del pensiero contemporaneo. Severino, oltre che le lezioni universitarie, frequentò la nutrita scuola privata di Nicola Antonio Stigliola (M.A. Severino, Antiperipatias. Hoc est adversus Aristoteleos De respiratione piscium diatriba..., Napoli 1659, p. n.n.: «At uni Peripato acquiescere non poterat vastum Marci Aurelii ingenium. Adit igitur [...] Mathematicum et Philosophum Pitagoricum eximium Nicolaum Antonium Stelliolam»), il poliedrico uomo di scienza – che Cesi avrebbe ascritto alla propria Accademia nel 1612 – diuturnamente impegnato nell’incompiuto progetto di riordinare il sapere filosofico-scientifico in una propria Encyclopedia Pythagorea. E Severino, prontamente dedito a una mai deposta libertas philosophandi, entrò pure in contatto con il grande recluso di Castelnuovo, il conterraneo Tommaso Campanella.
«Visa est autem Aristotelica doctrina non contenta mens Aureli et alias philosophandi rationes periclitari imparata. Sic et insignem Telesianae philosophiae patrocinatorem Thomam Campanellam Locrum Stylensem, quo tempore in Arce Castrinovi degebat» (Roma, Biblioteca Lancisiana, Vita..., c. 9r). Di questa fierezza antidogmatica Campanella avrebbe gratamente attestato, scrivendo a Severino nel 1629: «Stampati i libri, le ne manderò, perché è stato il primo a legerli in publico, quando altri tremavano di parlare» (Lettere, a cura di G. Ernst, Firenze 2010, p. 315).
Severino, compiuto il ciclo universitario nello Studio partenopeo, ottenne, com’era largamente usuale, il titolo dottorale di philosophus ac medicus dal Collegio medico salernitano il 1° febbraio 1606. Dopo una breve parentesi calabrese, si stabilì nel 1608 definitivamente a Napoli, dove avrebbe trascorso tutto il proprio tempo futuro. Ebbe così inizio il prezioso apprendistato presso l’illustre conterraneo, vibonese, Giulio Jasolino, maestro di medicina autorevolissimo, ma pure homme de lettres, come si apprende dal carteggio di uno dei più strenui fautori di Telesio quale Sertorio Quattromani (Scritti, a cura di F.W. Lupi, Cosenza 1999, p. 85). Sul finire del 1608 Severino assisté Jasolino nella celebre autopsia del teatino, morto in odore di santità, Andrea Avellino. Al seguito di un maestro prestigioso come Jasolino, Severino venne conquistando vasta esperienza e guadagnando reputazione in seno alla società partenopea. Alla sua perizia medica si aprirono case di nobili e di intellettuali, e altrettanto egli poté radicare il proprio esercizio professionale entro la fitta rete ospedaliera addossata ai luoghi pii della città di Napoli.
Al contempo, gli interessi filosofici e letterari parallelamente coltivati gli concessero di ascendere a uno status intellettuale riconosciuto ben oltre i confini del sapere medico. Nel 1612 era certo già aggregato all’Accademia degli Oziosi, emblema della cultura napoletana degli inizi del Seicento.
Tra gli Oziosi erano alcuni dei savants che partecipavano altresì all’impresa lincea di Federico Cesi, in questi anni fortemente motivato a propagginare a Napoli la propria Accademia. Accademici Oziosi eminenti erano Giovan Battista Della Porta e Mario Schipano, più volte proposto come membro dell’Accademia dei Lincei, ma poi mai assuntovi, nonostante la grande stima goduta presso Cesi e le relazioni romane, per essere inoltre accademico Umorista. Schipano, calabrese pur egli, di Taverna, era raffinato collezionista e gran conoscitore di lingue antiche; era anche medico d’alto rango, fino a ricoprire la carica di protomedico del grande corpo ospedaliero dell’Annunziata di Napoli. Un’amicizia importante, questa con Schipano, per Severino, non solo per l’ampia attività ospedaliera che ne derivava (M.A. Severino, De recondita abscessuum natura..., Napoli 1632, p. 33), ma anche per l’estensione della prassi medica all’indagine naturalistica, estrinsecata nell’esplorazione di corpi umani e animali (Id., Zootomia democritaea..., Norimbergae 1645, p. 325), che a Napoli, grazie alla presenza di uomini di scienza come Fabio Colonna – viceprincipe linceo alla morte di Della Porta –, aveva uno dei più vivaci avamposti della penisola. Con Colonna, Severino ebbe certo rapporti; ne testimonia egli stesso, riferendo di averlo curato nel 1629 per un’ulcera erpetica (De efficaci medicina..., Francofurti 1646, p. 264). Ma furono rapporti indubbiamente più antichi e saldi, se egli poteva scrivere a Faber nel 1624: «siquam de me [...] in re anatomica opinionem eiusdem Columnae verbis et commendatione conceperis» (Trabucco, 1995, p. 320). A quest’altezza, il credito acquistato da Severino era tale da valergli, l’anno seguente, la candidatura – ma senza esito – a membro dell’Accademia dei Lincei, dicendolo «medico et anatomico regio di Napoli» (G. Gabrieli, Contributi..., cit., p. 546).
Severino, vincitore di concorso, era stato infatti chiamato nel 1622 nello Studio quale lettore di chirurgia; ma doveva dividere lo stipendio con il predecessore Mario Burgos y Azzolini (Amabile, 1922, p. 33; Cortese, 1924, p. 422). Era riconoscimento della valentìa di chirurgo e anatomista guadagnata con il pluriennale lavoro, tra cure private e ospedaliere, documentato dall’imponente casistica ricordata nelle sue opere a stampa. Di ciò è esempio tra i più significativi, anche a dar conto dell’autorevolezza raggiunta, l’autopsia del cadavere di Marcello Sacchetti, il potente mercante romano divenuto tesoriere segreto della Camera apostolica, al servizio dei Barberini anche per essere raffinato connoisseur d’arte, morto a Napoli nel settembre del 1629 (M.A. Severino, De recondita..., cit., pp. 135-143).
Benché medico laureato, e uomo di lettere, Severino – come testimonia pure la modalità d’assunzione nello Studio –, in quanto chirurgo, dunque operando in una sfera della medicina al confine con le artes mechanicae, faticava a trovare piena legittimazione del proprio rango intellettuale. Ne è prova lampante la prolungata astensione dalla scrittura a stampa – che invece sappiamo copiosamente coltivata privatamente –, ma, ancor più, l’eclisse d’autore autoimposta nel caso di un trattato la cui materia affiorava dalla quotidiana pratica della chirurgia: Il barbiere, del 1626, presto ristampato nel 1629 con il più eloquente titolo Nuova prattica della decoratoria manuale et della sagnia; l’una a barbieri et l’altra a chirurgici singolarmente [...] Opera composta con l’aiuto de valenti anatomisti dello Studio di Napoli, sempre sotto il nome di Tiberio Malfi, assistente di Severino che sceglieva di attribuirgli ciò che era di sua paternità (Trabucco, 2001), come se quella materia, condivisa con cerusici e barbieri, sminuisse il suo status.
Alle stampe Severino si sentì autorizzato a esordire solo nel 1632, ultracinquantenne; la giustificazione era ragguardevole: aveva guarito, con un coraggioso intervento chirurgico nell’anno precedente, l’ultima figliola di Fernando Afán de Ribera, duca di Alcalá e allora viceré di Napoli. Nella città partenopea, sulla scia di questo successo pubblico, Severino diede alle stampe il De recondita absessuum natura..., dove una parte di quanto s’era andato depositando negli anni sul suo scrittoio venne in luce.
La materia era rilevante: Severino trattava con incomparabile larghezza di conoscenza de tumoribus, ricollegandosi a una tradizione illustre, di cui si faceva erede, e originante dal De tumoribus praeter naturam (Napoli 1553) di Giovanni Filippo Ingrassia, maestro del suo maestro Jasolino. L’opera, della quale nel 1643 a Francoforte sarebbe stata pubblicata una nuova edizione aumentata, fu tempestivamente acclamata da influenti voci contemporanee: da Johan Rhode a Padova, da Pietro Castelli e Paolo Zacchia a Roma. A Napoli un letterato di primo rilievo come Giulio Cesare Capaccio così celebrava Severino: «Mira docet Marcus, scribit mira, atque medendo / Mira agit ingenio prodita mirifico» (M.A. Severino, De recondita..., cit., p. 7).
Severino accresceva la propria fama, ma la sua chirurgia innovativa, che contendeva spazio ai medici tradizionalisti alieni da ogni contaminazione manuale, divenne invisa al punto da costargli nel 1635 l’allontanamento dall’ospedale degli Incurabili (Amabile, 1891), dove già esercitava da anni («In amplissimo Incurabilium valetudinario medic[us] professor»: M.A. Severino, De recondita..., 1632, p. 3). Ma il prestigio conseguito era ormai saldo: l’anno seguente William Harvey toccò Napoli come ultima tappa del suo tour italiano, per venire a rendergli visita; ne nacque una lunga relazione alimentata per via epistolare, che coinvolse pure il maggior sodale dell’autore del De motu cordis, George Ent, laureatosi a Padova in quel 1636 (Belloni, 1971; Trabucco, 1995 e 2012).
E tuttavia, il misoneismo dei colleghi napoletani, che fondavano autorità e privilegi sui canoni della tradizione, tornò a colpire, e più duramente, Severino. Nell’estate del 1640 una trama ordita in seno all’ambiente medico ebbe esecutori alcuni suoi assistenti, che lo denunciarono all’Inquisizione diocesana per irreligione, invocandone il comportamento socialmente eterodosso – tra l’altro, un figlio, Giacinto, gli era nato da una relazione non legittimata dal matrimonio. Ne scaturì una vicenda durata fino all’anno successivo; furono mesi in cui Severino patì il carcere, il processo, la fuga da Napoli.
Nell’autunno del 1641 era però ristabilito nella propria condizione. Poté infatti accogliere nella propria casa il giovane Johann Georg Volckamer, proveniente da influente famiglia norimberghese e venuto a perfezionarsi a Padova nella medicina. Come molti connazionali, Volckamer si era immatricolato nella prospera Natio germanica artistarum dello Studio patavino; sulla cattedra che era stata di Andrea Vesalio sedeva allora il westfalico Johann Vesling, tra i maggiori anatomisti europei, precoce e originale seguace di Harvey. Volckamer apriva la lunga teoria di giovani tedeschi studiosi di medicina che, appresa l’anatomia alla scuola di Vesling a Padova, venivano poi a raffinarla a Napoli sotto Severino. Il maestro napoletano si legò profondamente a Volckamer, che divenne suo assistente e segretario; sarebbe rimasto presso Severino fino ai primi mesi del 1642, quando si mise in viaggio per ritornare a Norimberga.
Lo attendeva una carriera fulgida di onori: sarebbe divenuto archiatra della sua città; avrebbe pure presieduto l’Academia caesareo-leopoldina naturae curiosorum. Da Napoli Volckamer partì con un gran carico di manoscritti severiniani, frutto di una vita di lavoro. Da allora iniziò un fittissimo carteggio tra i due, con Severino che spediva rivedendo e incrementando, e Volckamer che si faceva fedele editor delle opere del maestro, anche acquisendogli mecenati e popolarità diffusa in terra tedesca.
Sebbene avesse varcato i sessant’anni, Severino fu attivissimo nel corso degli anni Quaranta. Lavorò alacremente a una grande opera sulla respirazione animale – di cui venne in luce postumo solo un lacerto in forma di florilegio di testi sulla respirazione ittica (Antiperipatias. Hoc est adversus Aristoteleos De respiratione piscium diatriba..., cit.) –, volendo ricomporre la cesura tra fisiologia circolatoria e funzione respiratoria segnata dalla teoria antigalenica di Harvey, da lui ripetutamente sollecitato per lettera a pubblicare il più volte vanamente promesso libro sulle questioni aporetiche insorte a partire dall’apparizione del De motu cordis (Trabucco, 1995). Era la medesima via che, mutatis mutandis, avrebbe percorso la maggiore anatomo-fisiologia europea dei decenni venturi (R.G. Frank, Harvey e i fisiologi di Oxford..., Bologna 1983).
Delle ricerche di Severino fu partecipe il giovane Tommaso Cornelio (Torrini, 1970), che in questi stessi anni, soggiornando a Roma, si accostava alle opere di René Descartes diffusevi grazie al soggiorno di Marin Mersenne e su base cartesiana riesaminava i problemi ereditati dal maestro, componendo l’operetta De cognatione aeris et aquae, destinata a uscire nel corpo dei suoi Progymnasmata physica solo nel 1663 (a Venezia), l’anno in cui iniziava la breve vita, ma assai intensa, tale da costituire una delle più rilevanti vicende della scienza italiana seicentesca, della napoletana Accademia degli Investiganti, guidata dallo stesso Cornelio. La permanenza romana di Cornelio era propiziata dall’amicizia instaurata da Severino con Cassiano Dal Pozzo, con il quale aveva preso a corrispondere nei mesi finali del 1644 (Trabucco, 1997). Amicizia emblematica: Dal Pozzo, similmente a Mersenne, era zelante sécretaire della respublica litterarum coeva, che aveva in Severino un cittadino quanto mai operoso, come dimostra il suo imponente carteggio (Ducceschi, 1923). A Dal Pozzo, dimostrando un’ininterrotta professione di uomo di lettere, Severino dedicò quello stesso anno, in veste di «accademico otioso, detto l’Assettato», il divertissement intitolato La querela della (&) accorciata (R. D’Agostino, Impegno intellettuale e pratica della poesia in Onofrio Riccio, Napoli 2000): esercizio tutt’altro che episodico se si considera che, assai postumo, sul finire del secolo, il suo commento alle rime di Giovanni Della Casa sarebbe stato compreso nella silloge di commenti allestita dall’editore Bulifon, a onore di un moto di cultura capace d’investire la concezione della letteratura, che a Napoli s’era svolto dalla ricezione di Telesio a quella di Descartes (Rime di m. Gio. della Casa sposte per M. Aurelio Severino secondo l’idee d’Hermogene, con la giunta delle spositioni di Sertorio Quattromani, et di Gregorio Caloprese..., Napoli 1694).
In ragione della notorietà internazionale raggiunta, ancora nel medesimo 1644, come già Volckamer, vennero presso Severino, nel corso della propria peregrinatio academica, da Padova a Napoli, due futuri auctores dell’anatomia europea: il danese Thomas Bartholin, figlio del grande Caspar, e l’olandese Johann van Horne, poi maestro a Leida di Jan Swammerdam (T. Bartholin, Anatomica aneurysmatis dissecti historia..., Palermo 1644).
Nel 1645, a Norimberga, per le cure di Volckamer, giunse finalmente a stampa, dopo lunga sedimentazione, la Zootomia democritaea di Severino, massiccio trattato di anatomia comparata, in cui il corpus, consistente di pluridecennali osservazioni anatomiche, accumulate dal tempo giovanile nella Napoli fecondata dallo spirito linceo e popolata di maestri della statura di Jasolino, si arricchiva del nuovo significato conferito dall’adesione al rivoluzionario comparativismo animale di Harvey.
Nel 1645 Severino abbandonò la cattedra; da quest’anno la pubblicazione delle sue opere venne svolgendosi a ritmo costante: nel 1646 e 1653 uscirono a Francoforte, rispettivamente, il De efficaci medicina e la Trimembris chirurgia, nel 1654 a Hannover la Seilo-phlebotome castigata; intercalata, l’apparizione a Padova, nel 1650, della Vipera Pythia.
Nel maggio del 1656 scoppiò a Napoli la terribile epidemia pestilenziale: il vecchio Severino fu chiamato dai deputati della Sanità a compartecipare alle dissezioni su alcuni cadaveri di contagiati per accertare la natura del male dilagante (S. De Renzi, Napoli nell’anno 1656..., Napoli 1867, p. 189), ma la peste fu anche per lui fatale. Severino fu vinto dalla malattia il 15 luglio dello stesso anno ed ebbe sepoltura nella chiesa di S. Biagio Maggiore, nella strada dei Librai.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca Lancisiana, ms. 49 LXXIV.2.27 (Vita Marci Aurelii Severini [...] a D. Io. Georgio Volchamero [...] conscripta...).
L. Amabile, Due artisti ed uno scienziato..., in Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli, XXIV (1891), pp. 433-503; Id., M.A. S., a cura di D. Zangari, Napoli 1922; N. Cortese, L’età spagnuola, in Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 201-431. Sui manoscritti e sulle opere a stampa di Severino: V. Ducceschi, L’epistolario di M.A. S...., in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, V (1923), pp. 213-223; P. De Angelis, G. M. Lancisi, la Biblioteca Lancisiana..., Roma 1965, pp. 151-163; C.B. Schmitt - C. Webster, Harvey and M.A. S...., in Bulletin of the history of medicine, XLV (1971), pp. 49-75. Sull’attività scientifica: M. Torrini, Lettere inedite di T. Cornelio a M.A. S., in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, XXXV (1970), pp. 139-155; L. Belloni, La dottrina della circolazione del sangue e la scuola galileiana 1636-61, in Gesnerus, XXVIII (1971), pp. 7-34; O. Trabucco, Tra Napoli e l’Europa: le relazioni scientifiche di M.A. S..., in Giornale critico della filosofia italiana, LXXIV (1995), pp. 309-340; Id., Scienza e comunicazione epistolare: il carteggio fra M.A. S. e Cassiano dal Pozzo, ibid., LXXVI (1997), pp. 204-249; Id., Barbieri e fisici..., in Aprosiana, IX (2001), pp. 195-210; Id., George Ent e l’Italia..., in Giornale critico della filosofia italiana, XCI (2012), pp. 285-294.