Marco Aurelio (lat. M. Annius Verus, come imperatore M. Aurelius Antoninus) Imperatore romano e filosofo (Roma 121 d.C
Vindobona, od. Vienna, o Sirmio, od. Sremska Mitrovica, Serbia, 180 d.C.). Figlio di Marco Annio Vero e di Domizia Lucilla, alla morte del padre fu adottato dall’avo paterno Marco Annio Vero, quindi da Antonino Pio (di cui sposò poi la figlia Faustina Minore, 130-176 ca.), insieme con Lucio Vero. Fu cesare (139) e console (140 e 145), e nel 146 ebbe la potestà tribunizia e l’imperio proconsolare. Successore di Antonino Pio (161), condivise l’impero con Lucio Vero: si ebbero così per la prima volta due imperatori.
L’impero di M. A. si svolse tra continue difficoltà: in partic. la rivolta in Britannia (162) e la guerra contro i Parti, che avevano invaso Siria e Armenia. Un pericolo maggiore venne dalle tribù germaniche (in partic. Quadi e Marcomanni) che, valicate le Alpi, penetrarono nel Veneto e assediarono Aquileia. Apprestati ingenti mezzi finanziari (ricorrendo anche alla vendita dei tesori imperiali), M. A. costituì nuove legioni e sconfisse i Germani in Pannonia, nella Rezia, nel Norico (167). Morto Lucio Vero (169), M. A. rimase unico imperatore, e ripresa la campagna contro i Germani, sconfisse (170 e 171) i Quadi e (172) i Marcomanni. Nel 173 riprese la lotta contro i Marcomanni; nel 174 vinse gli Iazigi e nel 175 concluse la pace a causa dell’inaspettata usurpazione di Avidio Cassio, che fu subito risolta con l’uccisione di questo. Nel 175 e 176 fu in Oriente; tornato a Roma, celebrò il trionfo sui Germani (176) e unì nell’impero il figlio Commodo (177). Nello stesso anno i Marcomanni insorsero nuovamente: la guerra fu difficile, soprattutto per la peste, di cui rimase vittima lo stesso imperatore.
M. A. fu deferente verso il Senato, di cui cercò la collaborazione. Alle difficoltà finanziarie fece fronte con un’oculata amministrazione e riducendo le spese della corte imperiale. Come legislatore promosse la tutela dei minori e norme più benevole verso gli schiavi. Conservatore, fu ostile ai cristiani, contro i quali durante il suo impero si ebbero persecuzioni.
Di M. A. abbiamo una specie di diario, i Colloqui con sé stesso (Tὰ εἰς έαυτόν, divisi poi in 12 libri), noti nella traduzione italiana con il titolo di Ricordi (o di Pensieri); questo testo è il documento dell’intuizione del mondo di M. A., che è quella del tardo stoicismo, principalmente rappresentato, oltre che dallo stesso M. A., da Seneca e da Epitteto. Il pensiero di M. A., che dipende più direttamente da quest’ultimo, è tutto permeato dall’ideale dell’«adiaforia». Temperamento meno energico e sistematico di Epitteto, egli mostra assai più palesemente le antinomie intrinseche a quell’ideale, e la sua riflessione ne assume spesso un tono di scetticismo e pessimismo. Tipico a questo proposito è il modo (che costituisce il tratto più originale del suo stoicismo) in cui egli riprende la concezione eraclitea del perpetuo flusso delle cose, sentendovi in primo luogo l’inevitabile dissoluzione di ogni realtà. Ciò corrisponde, del resto, alla viva angoscia che l’assale di fronte al problema della morte, e che lo ravvicina sentimentalmente al platonismo, non del tutto estraneo anche ad alcune sue deviazioni dalla classica psicologia stoica, come quella per cui egli distingue nettamente il υoῦς, l’«intelletto», dal complesso psicofisico della ψυχήe del σῶμα, dell’anima e del corpo. Tale separazione, tuttavia, non lascia adito in M. A. all’idea dell’individuale immortalità dell’anima. Di qui l’incertezza di M. A. di fronte al problema della sopravvivenza e la sua intima tendenza a rifugiarsi piuttosto nella meno luminosa ma anche meno incerta idea dell’insensibilità, con cui la morte affranca da ogni dolore. Questa posizione, originariamente socratica, era stata poi pienamente valutata e messa in luce dall’epicureismo: anche in M. A. si può quindi constatare la singolare coincidenza per cui alcuni motivi pessimistici del più tardo ascetismo stoico vengono a incontrarsi con motivi analoghi di quello epicureo.