BELLOCCHIO, Marco
Regista cinematografico, nato a Bobbio il 9 novembre 1939. Tra i più significativi del nostro cinema contemporaneo, B. fin dagli anni Sessanta ha costruito uno stile e una poetica caratterizzati da una visione acre e a volte grottesca delle istituzioni e dei poteri: dalla famiglia alla Chiesa, dalla politica alla psichiatria. Negli anni Duemila, con un’intensa attività, ha confermato e sviluppato questi temi facendone emergere un’immagine lucida della temperie etica e sociale dell’Italia, ponendo continui interrogativi sulla nostra storia e sul nostro presente.
Le opere di questo primo quindicennio del nuovo secolo si sono imposte per la loro importanza nella produzione italiana, dagli interni familiari percorsi con un laico disagio nei confronti dell’integralismo religioso e delle ipocrisie perbeniste di L’ora di religione (2002), vincitore del Nastro d’argento per la regia, alla trasfigurazione poetico-politica della prigionia di Aldo Moro in Buongiorno, notte (2003), che illumina le ombre e le luci della stagione del terrorismo; dal ritratto pirandelliano di un regista in crisi in Il regista di matrimoni (2006), con il quale ha ottenuto il Globo d’oro per il miglior film, fino a Vincere (2009), che rievoca un’oscura pagina del fascismo attraverso la figura straziante e umanissima di Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno), amante del giovane Benito Mussolini, da cui ebbe un figlio illegittimo, e che il dittatore perseguitò facendola internare, insieme con il figlio, in un manicomio del regime. Film quest’ultimo pervaso da uno stile allucinato che contrappone follia, passione, verità a spietatezza, ipocrisia e falsità del totalitarismo, e che ha procurato a B. un David di Donatello per la regia. Così come coraggioso ed esemplare è Bella addormentata (2012), dove il caso di Eluana Englaro, con il suo portato etico e politico, risulta una metafora del letargo e dell’ambiguità morale dell’Italia di questi anni, perno visivo intorno a cui ruota una tesa meditazione corale sulle miserie umane della politica e insieme sulle morbosità dei legami familiari, e da cui emerge alla fine, come unica via d’uscita, la nuda e disarmata potenza dello slancio d’amore.
Singolare e molto personale è un film in due versioni, montate a distanza di tempo: prima con il titolo di Sorelle (2006), che racchiude tre frammenti realizzati tra il 1999 e il 2005 e ambientati nella natia Bobbio, girati come esercitazione della scuola estiva tenuta annualmente da B., ha preso poi forma definitiva, con tre episodi aggiunti, con il titolo di Sorelle mai (2010). Si tratta di un ritorno, quasi una ‘autobiografia’ trasposta, sui luoghi dell’adolescenza di B. già raccontati nell’esordio de I pugni in tasca (1965), dove si ritrovano i grovigli sentimentali, i moti di ribellione, le crisi di identità, questa volta in chiave di esplorazione della psiche femminile e del confronto tra più generazioni, e come trascolorati in una tenera pietà umana. Rientrano in una ‘vocazione’ di B. agli stilemi del melodramma due opere che fanno irrompere il cinema nel mondo teatrale dell’opera lirica, e della tradizione verdiana, prediletta dal regista emiliano: Addio del passato (2002), incursione documentaristica sui luoghi di Giuseppe Verdi, tra umori della campagna e ‘falsi ori’ del mondo operistico e dei suoi culti, e Rigoletto a Mantova (2010), esperimento televisivo di ‘opera in diretta’ girata sul luogo di ambientazione, che rivela il senso plastico e pittorico di B., come il suo afflato lirico e la ‘musicalità’ delle sue immagini, cifre ricorrenti nel suo cinema.
La produzione degli anni Duemila di B. riesce in un triplice movimento: la ‘distanza critica’ rispetto ai ribellismi intransigenti del suo cinema precedente; l’approfondimento delle indagini sull’inconscio e sulle pulsioni profonde non solo dell’individuo, ma di un’intera società; il primato, sempre più evidente, conferito all’irriducibile forza di un lato ‘femminile’ che non solo si incarna in figure di donna, ma si allarga a significare un sostrato a volte ‘rimosso’, ma potente, dell’essere italiani.
Nel 2011 gli è stato assegnato il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.