BEMBO, Marco
Nacque a Venezia il 12 genn. 1619 da Marco di Francesco e da Adriana di Ambrogio Corner. Sopracomito di galera quando già era iniziata l'estenuante guerra di Candia, il B. fu, nell'agosto-settembre 1647, tra i difensori di Sebenico dagli insistenti e rabbiosi attacchi turchi. Impadronitosi Leonardo Foscolo di Clissa, fortezza poco lontana da Spalato, vi fu provveditore per venti mesi: "collocata sopra un eminente grebano" e "custodita... da circa cinquecento fanti di diverse nationi", Clissa subì durante il suo provveditorato "continue molestie portate dall'inimico con le scorrerie et imboscate": facile gli era l'accesso e la fuga "per quella campagna... e per esser agilissimo a montar quelle horridezze de' monti et inhabili quelle militie del presidio ad inseguirlo". Il B. aveva cercato di farvi fronte creando "una compagnia de fanti paesani", altrettanto esperti dei luoghi e addestrati a respingere quel tipo d'attacchi, che, utilizzata per sei mesi, diede buoni risultati. Ma presto si sbandò, non essendo stato possibile accogliere le pretese di paga che egli, nella sua relazione al Senato del 7 apr. 1650 (in Arch. di Stato di Venezia, Collegio Secreta. Relazioni, b. 65), consiglierà di accontentare per il futuro.
Nobile d'armata, poi, il B. proseguì, sino alla fine del 1654, la partecipazione al conflitto (cfr. Arch. di Stato di Venezia, Senato. Lettere di provv. di Terra e da Mar, f. 1401). Alla fine di marzo del 1656 salpò da Venezia alla testa dei nuovi vascelli allestiti nell'inverno, contenenti rinforzi e approvvigionamenti per il grosso dell'armata marittima che, comandata da Lorenzo Marcello, attendeva nei pressi di Andro. Il congiungimento avvenne il 6 maggio, e il 23 dello stesso mese la flotta al completo era di fronte ai Dardanelli per bloccarne l'uscita ai Turchi. Tanto Lazzaro Mocenigo, ora "venturiero", quanto il B., che gli era succeduto nelle funzioni di capitano delle navi, stimolavano il Marcello nella sua impostazione offensiva della campagna navale. Ancoratasi la flotta veneta, la "Capitana" del B. ebbe la posizione più avanzata nel blocco dello stretto, assieme alla "Patrona" di Girolamo Malipiero e all'"Almirante" di Giovanni Contarini. Il 26 giugno Sinan pascià tentò l'uscita approfittando del vento favorevole, col più largo impiego di mezzi e di uomini. Rilevante l'apporto del B. alla splendida vittoria veneta: primo ad aprire il fuoco, si oppose con tempestiva manovra allo sfondamento tentato dal nemico sul punto più debole dello schieramento veneziano. Efficace l'azione d'inseguimento della sua squadra, le cui cannonate costrinsero alla resa la stessa nave "capitana" turca.
Nel luglio-agosto il B. partecipò alla conquista di Tenedo e Lemno e ad altre operazioni navali, tra cui allo scontro, risoltosi favorevolmente per Venezia, avvenuto il 3 maggio 1657 nelle acque di Scio. Né, frattanto, era interrotta la vigilanza dei Dardanelli. L'8 luglio il capitano generale Lazzaro Mocenigo, per provvedere ai rifornimenti d'acqua, s'allontanò col naviglio "sottile"; il B. rimase, al comando delle imbarcazioni a vela e delle galeazze, a custodire lo stretto. Poiché il Mocenigo, impedito da varie difficoltà, ritardava il ritorno, i Turchi decisero di approfittare della inferiorità del B.: la mattina del 17 Topal pascià attaccò; lo scontro, che durò tre giorni, si concluse con la forzatura definitiva del blocco dei Dardanelli. Eroico, in particolar modo nella prima giornata dell'estenuante battaglia, fu il comportamento del B., malgrado il vento e la corrente contraria rendessero difficoltoso ogni movimento; investita la sua nave dalla "Capitana" e dall'"Almirante" turche e da altre navi tra le più poderose, resisté finché possibile. Quindi, fatte tagliare le gomene, l'avventò nel mezzo della mischia, e nessuna nave avversaria osò abbordarla; pur ferito abbastanza seriamente da una scheggia alla gamba sinistra, proseguì ad incitare l'equipaggio alla lotta e a rianimare coll'esempio la combattività della sua squadra sino a costringere il nemico alla fuga e a farlo inseguire.
Dopo il 19 l'armata "grossa" si ritirò presso Tenedo agli ordini del Bembo. Le sorti del conflitto si facevano ormai sempre più critiche per la Repubblica: Tenedo, Lenino e altre isole conquistate l'anno precedente cadevano, i Turchi riuscivano alfine a portare soccorsi alle milizie operanti in Candia. Il contemporaneo Giovanni Sagredo, nel lamentare questo declino delle armi venete, censurava come inetta la condotta del B. e considerava inutili le sue manovre elusive attorno a Tenedo; maggior decisione e rapidità occorrevano a suo giudizio per impedire alla Porta i rifornimenti e i ricambi di truppe. Destinato a succedere, nel 1659, a Luca Francesco Barbaro come "provveditor generale dell'armi in regno di Candia", il B. partì nel dicembre da Venezia e, a causa del mal tempo, solo nel marzo dell'anno successivo gli riuscì di giungere alla sede; qui rimase sino all'aprile del 1662 a svolgere un compito tra i più gravosi in quel particolare momento, tra i meno adatti nel contempo a conferire il lustro di vistose operazioni.
Necessarie, invece, nel quotidiano adempimento di un dovere spesso molesto, un'attenta e oculata aniministrazione, la capacità di fronteggiare i più difficili problemi d'ordine organizzativo e finanziario: dall'equipaggiamento e vettovagliamento delle truppe (ammontanti a circa 4120 uomini, di cui 2800 "veramente combattenti", 91 "a cavallo", il resto addetto a servizi ausiliari) al rafforzamento delle fortificazioni e agli scavi, all'assistenza sanitaria, all'assidua vigilanza sulle operazioni di difesa, subordinate sempre alle direttive del capitano generale da Mar Francesco Morosini, di cui non sempre il B. condivideva l'impostazione. Assillante era in particolar modo la mancanza di denaro. Drammatico il dilagare, specie nel 1660, di una epidemia tra le milizie e la popolazione civile, acuito dalla penuria di cibo, e, più ancora, dalla mancanza di medicinali: "cadono al letto con febbri rigorose, quindi convertendosi in pochi giorni in flusso, ne morono di questo male di continuo" (Arch. di Stato di Venezia, Senato. Lettere di provveditori da Terra e da Mar, ff. 21 bis, 809). Difficoltosi i rapporti cogli ufficiali delle milizie straniere i cui impeti ed esorbitanze occorreva frenare, senza peraltro troppo urtarne la suscettibilità. Era comprensibile pertanto che il B., ammalato e stanco, supplicasse con insistenza dal Senato l'invio di un successore, la cui venuta poteva finalmente annunciare, nella persona di Nicolò Corner, il 18 apr. 1662.
Ma il provveditorato del B. apparve non esente da macchie al punto che, accusato di malversazione, per poco non fu condannato. Dalle indagini svolte a Candia, in particolare nell'agosto del 1663, da Stefano Magno, "inquisitor in armata e regno", non emerse che il B. avesse commerciato o fatto commerciare sotto suo nome, favorito determinati fornitori, né che avesse preteso ed imposto regalie o si fosse mostrato parziale e venale nella distribuzione delle cariche (cfr. all'Archivio di Stato di Venezia il Processo contro Marco Bembo fu provveditor general in Candia, in Avogaria di Comun, b. 4517, n. 13); i "non so", "non saprei", "non ho inteso", "non so né mai s'ha inteso" abbondavano tuttavia nelle risposte, a volte reticenti, dei fornitori, trasportatori, ufficiali della milizia, commercianti e rappresentanti delle comunità di Candia, Canea e Retimo interrogati. I pagamenti in natura cui spesso era ricorso, se potevano provocare abusi, erano comunque giustificati dalla mancanza di denaro; né il disordine amministrativo e contabile era stata colpa particolare del B., anzi poteva esser fatto risalire a precedenti provveditorati. Quanto alle merci da lui avute per uso privato a prezzi particolari, inferiori a quelli correnti, non si mostrava in ciò diverso dagli altri rappresentanti veneti e dai più ragguardevoli della nobiltà locale. "Vostra Eccellenza - osservava un "marinèr" all'inquisitore - sa molto bene che con li palazzi non si vende con rigor, ma sempre s'ha praticà farle qualche agevolezza". Semmai il B. si era distinto nella prontezza dei pagamenti. Sua colpa certa l'aver invece accettato cospicui donativi, proibiti dalla legge, e precisamente: dalla comunità di Candia "una statua col suo impronto, con le quattro virtù sotto", busto del peso complessivo di mille "oncie" d'argento; dalle milizie una spada d'oro dei valore di 200 reali; dagli ufficiali una colonna d'oro "di peso di 500 cechini in circa"; dalla comunità di Retimo "uno scudo d'argento di circa 200 reali"; da quella della Canea un "bacile" d'argento, ove "era rilevata la pianta della Canea", del peso di circa "200 oncie". Ma tutti gli interrogati rispondevano, a tal proposito, al Magno che i doni, fatti con contribuzioni volontarie, erano stati accettati dal B. solo dopo molte insistenze; e volevano essere "picciol segno di stima e devotione", manifestazione di "affetto" e riconoscenza per la sua generosità ed abnegazione. "Tutti lo benedicono, e lui era così prodigo nel soministrar a' languenti del proprio che, se non fosse stato lui, sarebbero morti la mettà della città, ch'era caduta ammalata... egli in persona andava a visitare doi tre volte la settimana l'ospitale e v'assisteva con carità di padre alle militie" assicurava un mercante ebreo; altrettanto unanimi erano gli altri riconoscimenti di "buon governo" .
Conclusasi la pace coi Turco, il Senato volle ripristinare nell'armata marittima quelle regole e consuetudini che le improrogabili necessità belliche avevano fatto trascurare. Il B. fece parte, con Marco Molin, Francesco Barbaro e Giorgio Morosini, della commissione incaricata di metter fine a situazioni eccezionali ed esorbitanti, a suggerire modifiche generali e provvedimenti particolari. I quattro abolirono l'elezione dei governatori di galea, ripristinarono quella dei sopracomiti, vollero non fosse abbandonata la consuetudine del volontariato di una parte dei vogatori delle galere, suggerirono che anche in tempo di pace si mantenesse un'unità organica di navigli a vela affidati al capitano delle navi, cui fosse immediatalmente sottoposto un "almirante"; quest'ultima carica, trovata inutile, fu poi soppressa.
Ma i gravi sospetti e le pesanti accuse formulate sull'operato del B. a Candia perduravano e, con tutta probabilità, provocarono il conferimento di una carica affidata in genere a chi iniziava la carriera politica; il 24 ag. 1670 il B. fu infatti eletto in Maggior Consiglio console in Siria, carica alla quale era già stato designato il 24 apr. 1647, senza che potesse prenderne possesso per l'aggravarsi del conflitto coi Turchi. Le lettere del B. da Aleppo del settembre 1671agosto 1674 (in Archivio di Stato di Venezia, Senato. Dispacci consoli Aleppo, f. 6) costituiscono una puntuale smentita delle speranze in una ripresa del commercio veneto in quelle regioni che avevano indotto il Senato a ripristinarvi il consolato.
"Poco non che smarito" il "negozio", insicuri i traffici, quelli marittimi a causa dei corsari - secondo il B. "sarebbe bene che s'aggiustassero le speditioni che passano in queste rive in due squadre sei mesi una doppo l'altra et che queste fossero sempre accompagnate da qualche nave armata" -, quelli terrestri insidiati dai predoni arabi, cui la Porta pagava con scarsa puntualità o addirittura non corrispondeva i tributi ai quali s'era impegnata.
Il B. purtuttavia non disperava completamente, soprattutto se da Venezia si fosse incoraggiata una più ampia diffusione "delle panine" e lo stabilirsi di qualche mercante veneto. Il momento gli pareva addirittura favorevole: "massime nella congiuntura presente, che ritrovandosi l'Holanda attaccata dalle armi christianissime, viene in conseguenza sospeso o impedito dalle armate maritime il transito delle droghe o spezzarie dell'oriente, per il trasporto delle quali, non essendo facile il passaggio per le parti settentrionali, si potrebbe sperare che, correndo la fama nell'Indie del nuovo e copioso stabilimento qui de mercanti veneti, si restituisce in queste parti buona parte dell'antico traffico, che sarebbe un ottimo principio, con speranze de felici progressi". Ma erano illusioni ché i mercanti veneti non andavano a stabilirsi in Siria, e la mancanza di capitali ne rendeva sempre più marginale l'attività. Il 18 sett. 1674 il B. si rallegrava che fosse stata "con privileggio concessa et intrapresa nuova fabrica di panine", per cui tanto aveva insistito; "a me - proseguiva malinconicamente - riesca di godimento d'haver, se non provato, reso almeno una via facile et ubertosa ad un florido et uttile negotio nella residenza dei mio successore", cui augurava di assistere finalmente allo stabilirsi di "qualche mercante" attirato "dalla speranza dei profitto in questa piazza". Ma al successore, Francesco Foscari, il Senato, il 22 genn. 1676, deliberando la soppressione del consolato, scriveva che "si comprende evidentemente la mancanza del commercio e che infruttuosa, indecorosa et gravosa insieme riesce la continuazione della vostra dimora costà" (cfr. Archivio di Stato di Venezia, Senato Mar, reg. 141, c. 212 r).
Tornato a Venezia., il B. vi morì il 17 luglio 1697.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Cinque Savi alla mercanzia, n. s., b. 27 bis; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, cod. Ital., cl. VII, 8304 (XV): G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 140 v; Ibid., 925 (=8594): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, c. 111 v; Lettera di ragguaglio della vittoria navale conseguita a' Dardanelli... a dì 26 zugno 1656, Venetia 1656, passim; Lettera di ragguaglio del combattimento... a' Dardanelli... seguito li 17, 18 e 19 luglio 1657, Venetia 1657, passim; G. Herizzo, L'idea delle virtù, Venezia 1658, p. 328; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venetia 1663, pp. 712, 729 s., 732, 739 s., 743; M. Foscarini, Historia della Republica veneta, Venetia 1669, p. 8; G. Fiorelli, Detti e fatti memorabili del Senato e veneti patritii, Venetia 1672, pp. 244 s.; G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra' Veneziani e Turchi, Bologna 1674, I, pp. 272 s., 275; II, pp. 16, 65; C. Ivanovich, Poesie, Venezia 1675, pp. 209, 212, 312 s., 317 s.; C. Freschot, Li pregi della nobiltà veneta, Venezia 1682, p. 258; A. Arrighi, De vita et rebus gestis Francisci Mauroceni, Patavii 1749, p. 67; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, VI, Venezia 1853, p. 822; J. W. Zinkeisen, Geschichte des osmanischen Reiches in Europa, IV, Gotha 1856, pp. 853, 943; A. Valiero, Storia della guerra di Candia, II, Trieste 1859, p. 71; G. Berchet, La Repubblica di Venezia e la Persia, Torino 1865, pp. 86, 261; Id., Relazioni dei consoli veneti nella Siria, Torino 1866, p. 57; Eroica morte di Alvise II Foscari nelle acque di Scio il 17 luglio 1657 (per nozze Foscari-de Widmann-Rezzonico), a cura di F. Oriundi, Venezia 1897, non num.; G. Gerola, Monumenti veneti nell'isola di Creta, I, Venezia 1905, p. 117; III, ibid. 1917, p. 142; IV, ibid. 1932, p. 199; A. Pilot, Lorenzo Marcello ai Dardanelli, in Ateneo veneto, XXXV, 2 (1912), pp. 173 s.; A. Tragni, Due manoscritti del XVII secolo su due azioni navali veneto-turche durante la guerra di Candia, in Riv. marittima, XLVI, 1 (1913), pp. 73 s., 76; G. Ferrari, Le battaglie dei Dardanelli (1656-1657), in Memorie storiche militari, XIX, 3 (1913), pp. 1-241; P. Molmenti, Curiosità di storia veneziana, Bologna 1919, pp. 376 s., 441; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, III, Bergamo 1929, p. 68; M. Nani Mocenigo, Barbaro Iacopo Badoer provveditore d'armata (1616-1657), Roma 1931, p. 17; N. Conigliani, Giovanni Sagredo, Venezia 1934, p. 151; H. Kretschmayr, Gesch. von Venedig, III, Stuttgart 1934, p. 331; M. Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Roma 1935, pp. 183 s., 195 s., 255; Id., Glorie mediterranee italiane, Venezia 1937, pp. 161, 173 s.; G. A. Quarti, La battaglia dei Dardanelli (26 giugno 1656), in Crociata, n. 3 (maggio-giugno 1938), pp. 7, 10 dell'estratto; R. Quazza, Preponderanza spagnola (1559-1700), Milano 1950, pp. 530 s.