BIAGI, Marco
Nacque il 24 novembre 1950 a Bologna, città in cui è sempre vissuto, da Giorgio e da Giancarla Montanari. Sposò Marina Orlandi, dalla quale ebbe Lorenzo e Francesco.
Dopo gli studi classici al liceo ginnasio Luigi Galvani, si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Bologna con Federico Mancini, fondatore della Scuola bolognese di diritto del lavoro e, assieme a Gino Giugni, grande innovatore nel metodo di studio e ricerca nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. In breve tempo Biagi vinse una borsa di specializzazione in diritto del lavoro presso l’Università di Pisa sotto la guida di Luigi Montuschi. Nello stesso anno entrò a far parte della redazione della rivista Quale Giustizia con Federico Governatori.
Nel 1974 divenne contrattista di materie privatistiche presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, presso l’Università di Pisa e ancora dopo presso l’Università di Modena. Dopo un periodo all’Università della Calabria e all’Università di Ferrara vinse un concorso a cattedra come professore straordinario di diritto del lavoro e diritto sindacale italiano e comparato presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, nel Dipartimento di economia aziendale, nel 1984. Dopo il triennio di straordinariato completò il percorso accademico e, nel 1987, divenne docente ordinario di diritto del lavoro presso la medesima Università, titolo che mantenne fino alla sua morte, nel 2002.
Marco Biagi non è stato un economista, come pure molte biografie erroneamente riportano, ma un giurista del lavoro (un giuslavorista, come amava definirsi) chiamato a operare e insegnare in una facoltà di economia. Questa circostanza non è secondaria nel suo percorso scientifico e progettuale perché, assieme alla sua attenta conoscenza dei fenomeni reali e del mondo sindacale, gli consentì presto di allontanarsi dal formalismo giuridico e dell'astrazione concettuale delle vecchie scuole di diritto del lavoro. Per Biagi, infatti, «non si può studiare il profilo giuridico del mondo del lavoro senza aver riguardo anche ai contributi offerti dalle altre materie. La conoscenza del dato legale è pura astrazione accademica finché non viene calata nella realtà economica e sociale in cui la regola è chiamata ad operare» (Una rivista che si rinnova, in Diritto delle relazioni industriali, XII (2002), p. 3).
Per Biagi lo studio del diritto del lavoro non è l’analisi di un corpo normativo da conservare gelosamente, ma anzi l’apparato giuridico-concettuale non deve essere un freno, un ostacolo al dialogo e alla comprensione dei problemi reali del mondo del lavoro, ma solo un punto di partenza – sia pure obbligato – nella sua opera di riforma della legislazione del lavoro.
Dapprima, in La dimensione dell’impresa nel diritto del lavoro del 1978, si concentrò su quegli aspetti giuslavoristici dell’impresa minore che, assieme ad alcune sostanziali agevolazioni fiscali e parafiscali, hanno reso possibile nel nostro Paese il miracolo della «economia del cespuglio», come ebbe in seguito a definirla Gino Giugni. Un miracolo destinato tuttavia a incidere pesantemente sullo sviluppo del nostro sistema economico, in quanto basato su alcune preoccupanti forme di sotto-tutela dei lavoratori delle piccole imprese, che danno peraltro luogo a rilevanti anomalie rispetto agli altri Paesi comparabili al nostro. In questo primo lavoro monografico Biagi approfondì le ragioni che spingono molte imprese di grandi dimensioni al decentramento produttivo patologico analizzando, in particolare, la fuga del lavoro dipendente e quegli incentivi economici e normativi che sono alla base della scomposizione delle figure imprenditoriali e della polverizzazione dell'attività produttiva.
A questo primo lavoro seguì, nel 1983, una seconda opera monografica su Cooperative e rapporti di lavoro che si concentra sul lavoro in cooperativa, oggetto di una disciplina legale ai tempi lacunosa ed episodica, e delle relative prassi statutarie e del peculiare assetto di relazioni industriali. In questo lavoro Biagi tracciò un impianto teorico-concettuale della disciplina giuridica del lavoro in cooperativa che venne poi fatta propria dal Legislatore nella riforma del 2001 del settore, consentendo così di applicare anche al socio lavoratore le principali tutele del diritto del lavoro.
Una delle caratteristiche principali dell’impegno accademico di Biagi, da cogliere rispetto allo stato di avanzamento degli studi di diritto del lavoro dell’epoca, è stata il saper allargare gli orizzonti dello studio del diritto del lavoro alle esperienze dei paesi stranieri. Il sistema giuridico italiano è da lui considerato uno dei vari ordinamenti, e posto a confronto con quelli delle altre nazioni. Questo esercizio è determinato dalla coscienza della sempre maggiore internazionalizzazione dei mercati e della grande influenza che la normativa comunitaria e internazionale iniziava ad avere sui sistemi giuridici nazionali, determinando una notevole riduzione delle sovranità nazionali in questo ambito.
Lo studio comparato non era considerato da Biagi un mero esercizio intellettuale e tanto meno una nascente moda, ma veniva visto piuttosto in chiave di aiuto nei confronti degli attori sociali e dei tecnici, per tentare di superare pregiudizi ideologici e dispute concettuali. Biagi è tra i pionieri in Italia dell’utilizzo del metodo del benchmarking come modalità di comparazione tra sistemi diversi volta a migliorare situazioni problematiche prendendo spunto, con i dovuti adattamenti, dalle esperienze degli altri Paesi. Il benchmarking era per lui il modo per verificare in anticipo l’esito applicativo delle tecniche regolatorie e delle politiche di job creation in via di progettazione.
La passione per la dimensione internazionale e comparata del diritto del lavoro è confermata anche dai numerosi incarichi a respiro internazionale che Biagi ricoprì nella sua carriera: a partire dal 1986 fino alla sua morte è stato adjunt professor di comparative industrial relations presso il Dickinson College e membro dell’Academic Council della John Hopkins University, Bologna Center.
Dal 1988 al 2000 è stato direttore scientifico di SINNEA International, istituto di ricerca e formazione della Lega delle cooperative. Le scuole estive organizzate da SINNEA International sono state per Biagi occasione di incontro e approfondimento grazie alle quali contribuì a formare un vera e propria generazione di comparativisti con docenti e studenti (oltre 350) provenienti da ogni angolo del mondo. Nei nove anni (fino al 1999) di attività delle scuole estive parteciparono, tra gli altri, Roger Blanpain, Manfred Weiss, Janice Bellace, Lammy Betten e l’intimo amico Yasuo Suwa, oltre che gli italiani Bruno Veneziani, Silvana Sciarra, Tiziano Treu e Romano Prodi.
Nel 1991 la passione per gli studi comparati lo portò a fondare presso il Dipartimento di economia aziendale dell’Università di Modena il Centro studi internazionali e comparati, che divenne il luogo centrale intorno al quale si sviluppò l’impegno accademico e progettuale di Biagi e della sua Scuola anche dopo la sua morte.
Sempre agli inizi degli anni Novanta divenne consulente della Commissione europea - Divisione generale V (Relazioni industriali, occupazione); allo stesso tempo iniziò la collaborazione con la Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, e assunse l’incarico di corrispondente per l’Italia del Japan Labour Institute.
Sempre riguardo alla prospettiva internazionale, nel 1997 fu nominato rappresentante per il governo italiano del Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro dell'Unione europea ed esperto designato dall'Organizzazione internazionale del lavoro per assistere il governo della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina nella progettazione di una nuova legislazione del lavoro.
Nel 1999 gli fu affidata da parte di Kluwer law international e di un comitato internazionale di alto livello la direzione dell’International Journal of comparative labour law and industrial relations.
A partire dal 1995 iniziò le sue attività di consulenza presso il ministero del Lavoro nel governo Dini con il ministro Tiziano Treu, che in seguito lo chiamò come consulente durante il governo Prodi nell’anno successivo presso il ministero dei Trasporti, occupandosi in particolare di sciopero e conflitto in un settore nevralgico delle relazioni industriali.
Nel 1996 fu nominato presidente della Commissione di esperti per la predisposizione di un testo unico in materia di sicurezza e salute sul lavoro e coordinatore del gruppo di lavoro per la trattazione dei problemi relativi ai rapporti internazionali del ministero del Lavoro. Nel 1997 assunse l’incarico di consigliere del presidente del Consiglio Romano Prodi e fu nominato rappresentante del governo italiano nel Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro dell’Unione europea.
A partire dal 1993 iniziò a firmare editoriali e scrivere articoli di divulgazione sulle complesse tematiche del lavoro delle relazioni industriali per i quotidiani Il Resto del Carlino, Il Giorno e La Nazione, ai quali si aggiunse, dal 1995, Il Sole 24 Ore.
Dal 1994 fu presidente della AISRI (Associazione Italiana per lo Studio delle Relazioni Industriali), fondata nel 1968 da Giugni e da Treu.
Sempre nel 1995 iniziò a dirigere, insieme a Luciano Spagnuolo Vigorita, la rivista Diritto delle relazioni industriali (editore Giuffrè), nell’ambito di un ambizioso progetto di rilancio di una piattaforma riformista del lavoro incentrata sul protagonismo degli attori del sistema di relazioni industriali.
Nel 1999 Biagi fu chiamato da Stefano Parisi, citymanager di Milano, per un progetto di modernizzazione del mercato del lavoro del capoluogo lombardo. Il progetto fu portato avanti prima con Parisi stesso e poi, quando Parisi fu chiamato a dirigere Confindustria, con l’assessore al lavoro della giunta Albertini, Carlo Magri.
L’idea di un piano per il lavoro della città, a cui poi si ispirò l’impianto della 'legge Biagi', nacque dai numerosi cambiamenti socioeconomici che la città aveva subito negli ultimi anni (riconversione industriale, deindustrializzazione e terziarizzazione dell’economia) e che rendeva imprescindibile la ricerca di nuove modalità di incontro tra domanda e offerta di lavoro, soprattutto attraverso tipologie contrattuali flessibili, al fine di trasformare in opportunità le numerose criticità e diversi aspetti del mercato del lavoro milanese. Nel patto per la città di Milano Biagi si spese soprattutto per la creazione di nuovi posti di lavoro, a partire dalla grande domanda di servizi alla persona e di nuove figure professionali per i mercati del lavoro del XXI secolo.
A Milano Biagi coordinò un tavolo negoziale che coinvolgeva tutti i soggetti economici e sociali della realtà economica milanese e che condusse, il 28 luglio 1999, a una pre-intesa tra amministrazione comunale, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali. Questo accordo venne sottoscritto da CISL e UIL ma non dalla CGIL che abbandonò il tavolo di lavoro accusando l’amministrazione di promuovere politiche del lavoro discriminatorie.
La firma, il 2 febbraio 2000, del patto Milano lavoro coincise con l’inizio delle minacce terroristiche: il nome di Marco Biagi comparve nel volantino del Nucleo rivoluzionario proletario che rivendicava un attentato alla sede milanese della CISL accusata di aver consentito, con la propria firma, l’avvio del progetto ideato da Marco Biagi.
I lavori di consulenza per conto del ministero del Lavoro si erano interrotti dopo la caduta del governo Prodi. Nel 2001 Maurizio Sacconi, neo-sottosegretario del ministero nel Governo presieduto da Silvio Berlusconi, e amico di Biagi, chiese al docente bolognese di riprendere il lavoro di modernizzazione del mercato del lavoro iniziato con Treu, questa volta insieme al ministro del Welfare Roberto Maroni. Biagi accettò l’incarico, non senza polemiche da parte chi lo accusò di 'tradimento' leggendo in questo suo nuovo incarico una trasmigrazione dalla sinistra riformista, alla quale sempre era stato legato, a un governo di centro-destra come era quello sostenuto dalla Casa delle libertà.
Nell’ottobre 2001 il ministero presenta il Libro bianco sul mercato del lavoro, pensato e proposto da Biagi come la soluzione più innovativa ed efficace per avviare, con il più largo consenso possibile, il processo di riforma del mercato del lavoro.
Nella prefazione a firma di Roberto Maroni si legge che il volume «è finalizzato a rendere partecipi tutti gli attori istituzionali e sociali delle riflessioni che il Governo ha svolto in vista di un confronto finalizzato a ricercare soluzioni confortate dal più ampio consenso» (Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, Roma 2001, p. V).
L’idea di un Libro bianco nacque dalla profonda conoscenza di Biagi dell’esperienza europea «in cui è buona regola, prima di formulare le proposte concrete e dettagliate di tipo legislativo, presentare in forma di studio, con opzioni aperte, un programma che possa raccogliere suggerimenti, contributi e consigli da parte dei vari interlocutori» (Biagi, Libro bianco sul mercato del lavoro, presentazione alla consulta dell’Ufficio delle politiche sociali e del lavoro, Roma 25 gennaio 2002).
I contenuti del testo sono ampi e si dividono in due parti: la prima di analisi della situazione del mercato del lavoro italiana, delle politiche fino allora applicate e delle ragione del loro mancato funzionamento; la seconda avanza invece proposte per promuovere una società attiva e un lavoro di qualità.
La maggior parte degli oppositori del Libro bianco hanno da sempre concentrato le loro critiche sulla proposta di sospensione sperimentale dell’articolo 18 dello 'Statuto dei lavoratori'.
Il dibattito politico-sindacale si incentrava soprattutto sul tema dei licenziamenti, diventando fin da subito aspramente ideologico e spesso decontestualizzato. L’articolo 18 non è invece mai citato nel documento e i pochi cenni al regime della reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo sono calati in un contesto di riferimento volto a garantire una maggiore diffusione del lavoro regolare e a tempo indeterminato.
Biagi ebbe modo di chiarire e argomentare la propria posizione sul tema. In un articolo del Sole 24 ore del 29 gennaio 2012 scriveva: «le soluzioni per ripensare l’articolo 18 sono ovviamente innumerevoli. Ciò che conta è intendersi una volta per tutte che non è affatto in discussione il principio del licenziamento giustificato, cardine del nostro ordinamento nazionale in omaggio a principi universalmente riconosciuti (almeno in Europa). È senz’altro possibile, durante il dibattito parlamentare, formulare ipotesi diverse, ad esempio più focalizzate sulla promozione dell’occupazione al sud ovvero a favore di soggetti con particolare rischio di emarginazione sociale. Sarebbe davvero auspicabile che si tornasse con serenità a confrontarsi sul merito, ad esempio su cosa si intenda per equo indennizzo al lavoratore ingiustamente licenziato» (Incomprensibile il secco rifiuto, in Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2002).
Possiamo dire serenamente che ciò che animava questo testo fosse una impostazione autenticamente riformista. Biagi sosteneva la necessità del potenziamento del lavoro interinale come «strumento che può contribuire anche ad agevolare l’integrazione occupazionale di categorie a rischio di esclusione sociale». E lo stesso lavoro a progetto, più tardi oggetto di numerose polemiche, fu ideato da Marco Biagi con l’intento di «distinguere le vere collaborazioni coordinate e continuative da quelle false» (Dialogo sociale senza inutili riti, in Il Sole 24 Ore, 3 ottobre 2001).
È chiaro quindi che il tema dei licenziamenti si inseriva, per Biagi, all’interno di un disegno più ampio di modernizzazione del mercato del lavoro, in primo luogo un progetto culturale che guardava con atteggiamento costruttivo e positivo il cambiamento in atto in quegli anni con l’obiettivo di conciliare qualità dei lavori e una flessibilità necessaria.
Questa filosofia è alla base del più ambizioso progetto del giurista: lo Statuto dei lavori. Partendo dalle tutele fondamentali, applicabili a tutte le forme di attività lavorativa rese a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, secondo Biagi è possibile immaginare, per le rimanenti tutele del diritto del lavoro, campi di applicazione via via più circoscritti attraverso un sistema di cerchi concentrici, con una tutela che si intensifichi a favore di un novero sempre più ristretto di soggetti in ragione dell’anzianità di servizio in azienda e di quella che gli inglesi chiamano mutualità delle obbligazioni contrattuali.
Un progetto di complessiva rivisitazione del diritto del lavoro che da un lato estende i livelli minimi di tutela a tutte le forme di lavoro, comprese quelle atipiche e occasionali, prive di adeguate garanzie, mentre dall’altro circoscrive e rende più moderne le tecniche di protezione del lavoro subordinato, giungendo a prospettare la revisione della disciplina dei licenziamenti per renderla comparabile con quella vigente in altri Stati dell’Unione Europea. Pochi giorni prima del suo omicidio Marco Biagi scriveva: «converrebbe a questo punto accelerare la progettazione di questo strumento che completerebbe convenientemente le altre norme già presenti nella delega 848 sul mercato del lavoro. Si tratta infatti di procedere ad una revisione totale della legislazione sul rapporto e sul mercato del lavoro, realizzando alla fine un testo unico che rappresenti per gli operatori uno strumento agile e chiaro di gestione di risorse umane. Lo Statuto dei lavori dovrebbe finalmente dare all’Italia nuove tecniche per regolare tutti i tipi di lavori, anche quelli più atipici, rivedendo vecchie norme non più in sintonia con la moderna organizzazione del lavoro e prevedendone delle nuove capaci di governare i mestieri emergenti nella società basata sulla conoscenza» (Libro bianco da rileggere, in Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2002).
Lo Statuto dei lavori si proponeva peraltro di rivedere e semplificare l’impianto del diritto italiano in chiave sussidiaria e meno regolativa «lasciando più spazio all’autonomia dei soggetti collettivi ma anche a quella delle fonti individuali del rapporto di lavoro» (Dialogo sociale senza inutili riti, in Il Sole 24 Ore, 3 ottobre 2001).
Marco Biagi entrò esplicitamente nel mirino delle organizzazioni terroristiche in seguito alla firma del Patto per Milano. In seguito a questi fatti, nel luglio del 2000, gli fu assegnata dal ministero dell'Interno una scorta che nell’anno successivo gli fu però tolta e poi definitivamente revocata: fatto che, come noto, ha scatenato numerose polemiche dopo la sua morte. Anche la successiva esperienza di consulenza per le politiche del personale del gruppo Electrolux-Zanussi, in quell’epoca vero e proprio laboratorio del riformismo del lavoro sotto la guida di Maurizio Castro, contribuì ad aggravare la posizione di Biagi agli occhi dei gruppi terroristici.
Nel periodo che accompagna la pubblicazione del Libro bianco e il dibattito sulla riforma del lavoro Biagi divenne così suo malgrado vittima di una campagna di diffamazione e demonizzazione dell’avversario accompagnata e caratterizzata da mistificazioni sui contenuti delle riforme da lui proposte e progettate, soprattutto in tema di revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Demonizzazione della quale Biagi era più che consapevole e sulla quale ebbe modo di scrivere parole molto chiare: «peccato che famosi giornalisti e sindacalisti di grido usino la televisione per propagandare autentiche menzogne» (Resterà il dialogo con le parti sociali, in il Resto del Carlino, 21 gennaio 2002). E già qualche tempo prima, sul Sole 24 ore, scriveva: «ancor più grave è poi constatare che anche alcuni studiosi facciano opera di disinformazione inducendo gli italiani a credere che qualcuno voglia abrogare il principio del licenziamento giustificato. Si tratta di una menzogna, di una falsità giuridica davvero smaccata… C’è da augurarsi che il dibattito sulla modernizzazione risalga di tono e di qualità. Dalle guerre di religione e dal conseguente fanatismo, anche relativo all’articolo 18, nessuno ne sente veramente il bisogno» (Troppe polemiche da 'corrida', in Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2001).
Proprio nei giorni che precedettero la sua morte giunsero diverse pressioni al ministro Maroni per ripristinare la scorta a Biagi, e proprio nel giovedì che precedette l’omicidio il settimanale Panorama rendeva noto il rapporto semestrale dei servizi segreti italiani nel quale si parlava espressamente di nuovi interventi offensivi contro le espressioni e le personalità del mondo sindacale e imprenditoriale impegnate nelle riforme economico-sociali e, segnatamente, con ruoli chiave di tecnici e consulenti. Termini che delineavano chiaramente la figura di Marco Biagi.
Biagi fu ucciso da un commando delle Brigate Rosse la sera del 19 marzo 2002, appena giunto con la sua bicicletta sotto casa, a Bologna, percorrendo il tratto che lo separava dalla stazione.
All'opera di Biagi si ispirano diverse realtà accademiche italiane, ancora impegnate nell'azione di modernizzazione del mercato del lavoro che ha sempre guidato la sua vita.
In primo luogo il Centro studi internazionali e comparati del Dipartimento di economia 'Marco Biagi' dell’Università di Modena e Reggio Emilia che, come detto, è stato fondato da lui stesso nel 1991. Il Centro studi ha continuato la sua missione accompagnando sul piano culturale e progettuale prima l’approvazione e poi l’implementazione della legge Biagi.
Innovando nella tradizione e nel ricordo del suo fondatore, il Centro si occupa di studi e ricerche nazionali e internazionali sui temi principali e di avanguardia del mercato del lavoro, con particolare riferimento all'occupazione dei giovani e dei gruppi svantaggiati. Dal 2005, inoltre, il Centro studi internazionali e comparati ha ottenuto dal ministero del Lavoro l’abilitazione alla certificazione dei contratti di lavoro e appalto, configurandosi come la prima sede universitaria con tale autorizzazione.
La seconda realtà, anch’essa direttamente fondata da Biagi nel 2000, è ADAPT (www.adapt.it), l’associazione senza fini di lucro nata per promuovere un nuovo modo di 'fare Università' attraverso una relazione virtuosa e costante tra mondo accademico dell’alta formazione, mondo dell’impresa e associativo. Negli anni ADAPT ha promosso tre scuole di dottorato (Modena, Bari, Bergamo) che hanno finanziato ben 300 borse di ricerca. Ha organizzato inoltre convegni, diffuso pubblicazioni scientifiche e bollettini settimanali sul lavoro.
Nel 2002, per volontà della moglie di Biagi, Marina Orlandi, e dell’Università di Modena e Reggio Emilia, nacque infine la Fondazione universitaria Marco Biagi per promuovere il rapporto tra formazione terziaria e mondo del lavoro, con particolare riferimento alle sue realtà territoriali.
La dimensione dell'impresa nel diritto del lavoro, Milano 1978; Cooperative e rapporti di lavoro, Milano 1983; Sindacato, democrazia e diritto. Il caso inglese del Trade Union Act 1984, Milano 1986; Democrazia sindacale e relazioni industriali nell'esperienza comparata, Rimini 1989; Rappresentanza e democrazia in azienda. Profili di diritto sindacale comparato, Rimini 1990, Madrid 1992; Il diritto dei disoccupati. Studi in onore di Koichiro Yamaguchi, a cura di M. Biagi et al., Milano 1996; Mercati e rapporti di lavoro. Commentario alla Legge 24 giugno 1997, n. 196. Norme in materia di promozione dell'occupazione, a cura di M. Biagi et al., Milano 1997; Il lavoro a tempo parziale, a cura di M. Biagi, Milano 2000; Job Creation and Labour Law. From protection towards pro-action, Dordrecht 2000; Towards a European Model of Industrial Relations, Dordrecht 2000; Istituzioni di diritto del lavoro, Milano 2001, 20125 (con M. Tiraboschi); Il nuovo lavoro a termine. Commentario al D. lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Milano 2002; Quality of work and employee involvement in Europe, The Hague 2002.
M. Tiraboschi, Morte di un riformista. M. B.: un protagonista delle politiche del lavoro nei ricordi di un compagno di viaggio, Venezia 2002; M. B.: un giurista progettuale. Scritti scelti, a cura di L. Montuschi - M. Tiraboschi - T. Treu, Milano 2003.