CARA, Marco (Marcus, Marchetto)
In assenza di documenti la sua data di nascita si fa cadere generalmente nella seconda metà del sec. XV, ambito che le varie indicazioni di cui disponiamo consentono di restringere, per deduzione e con relativa approssimazione, all'ultimo trentennio del secolo. Verona è la città natale del C. come indicano le sigle poste sul frontespizio di alcune sue opere in raccolte di musiche vocali del tempo: M.C., M.C.V., M.C. Vero (Marcus Cara Veronensis).
L'origine veronese per altro è provata da non pochi documenti, il primo dei quali, proveniente dall'archivio storico dei Gonzaga di Mantova, reca la data del 28 maggio 1499. Riferito dal Davari, esso dà notizia della donazione di due terreni disposta dal marchese Francesco II in favore di "Marchus de Cara civis veronensis musicus". P. Aron, contemporaneo del C., e C. Bartoli, della generazione successiva, erroneamente lo ritennero mantovano, mentre l'Ambros, pur non dichiarandosi sulla città natale, afferma che il C. visse lungamente a Urbino anziché a Mantova.
Ignoriamo le circostanze per le quali il C. si trasferì stabilmente da Verona a Mantova e l'epoca del trasferimento che dovette aver luogo per lo meno nel 1494.
È noto che Isabella d'Este, andata sposa a Francesco Gonzaga nel 1490, nel volger di pochi anni trasformò la corte di Mantova in uno dei centri più brillanti e raffinati del Rinascimento italiano, radunando presso di sé, insieme con gli artisti più in vista del momento, valentissimi cantori, strumentisti e compositori. Dalle fonti apprendiamo che il C. vi si era trasferito per lo meno dal maggio 1494 e che le sue composizioni erano oggetto di particolari richieste. Un giudizio di Bernardino d'Urbino (R. Renier, Mantova e Urbino, Torino 1893, p. 85), infine, ci rivela come la sua musica si discosti, fin dalle prime manifestazioni di cui abbiamo notizia, dallo stile "solenne" caro al prete urbinate e tipico della musica franco-fiamminga allora imperante (anche attraverso le manifestazioni deteriori dei suoi imitatori), per esprimersi secondo quei caratteri di semplicità agile e vivace propria dell'arte frottolesca italiana. Che il musico veronese si sia dedicato anche alla musica sacra (rappresentata soltanto da sette composizioni) e abbia messo in musica una elegia su testo latino di Properzio, "Quicumque ille fuit, puerum qui pinxit Amorem", citata dall'Einstein, palesa la sua disponibilità a cimentarsi in lavori di un certo impegno, ma il loro numero piuttosto esiguo testimonia la sua scarsa congenialità per composizioni di tal genere. Il 24 genn. 1495, con una missiva del marchese Francesco, Isabella, recatasi a Milano, riceveva "uno strambottino col canto annotato del Cara" (Davari).
Francesco Gonzaga, comandante dell'esercito della Lega santa e impegnato nelle cure della condotta militare, non rinunciava alle sue abitudini domestico-musicali e si faceva accompagnare nel giugno 1495 dal C., del quale Isabella reclamava il ritorno qualche tempo dopo. Nell'agosto del medesimo anno il musico veniva richiamato da Francesco, nonostante il parere contrario della consorte, convinta com'era che la guerra, mal conciliandosi con la musica, non poteva consentire alcuna distrazione.
In una lettera del 10 ag. 1495. secondo il Davari, Isabella esortava il consorte a non rimproverare il C. del ritardo con il quale era tornato al campo: "La S. V. non se meravigliarà nè imputtarà Marchetto cantore se l'è stato più tardo a ritornare a lei che'l non tolse termine, perché io l'ho retenuto meco confidandome che la S.V. per non habere tempo de attendere a cantare, non le debbi havere molesto. Anzi la prego che quando cussì sia, che la non habia bisogno de lui, voglia essere contenta de remandarmelo, che l'haverò de gratia". Nel documento riportato e in quasi tutti i successivi, desunti dal loro carteggio privato, i Gonzaga chiamano il C. con il diminutivo di "Marchetto". Nell'atto di donazione di qualche anno dopo (1499), nel quale si disponeva di assegnargli due poderi e precisamente 109 biolche nel vicariato di Gonzaga e 100 nella podesteria di Sermide, egli viene registrato come "Marco de Cara", ove il "de" sta a indicare probabilmente una tal quale dignità nobiliare riconosciuta al musico prediletto, cui sarebbe stato consentito di far precedere il cognome dalla preposizione gentilizia.
Nel corso del 1499 vari musici della corte mantovana si distinsero a Vicenza e a Venezia: è probabile che il C. fosse tra loro. Ignoriamo se egli fosse con il gruppo di cantori recatisi qualche tempo dopo a Casale Monferrato, come ci informa una lettera da Casale del marchese Guglielmo (Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga..., p. 18), datata 7 giugno del 1499. Altri valenti musicisti erano attivi presso la corte mantovana. Si devono segnalare, fra gli altri, oltre a R. Avanzini, N. de Mainardi, G. di Sansecondo, il fiammingo A. Agricola e il veronese B. Tromboncino. Quando costui, suo temibile competitore, lasciò Mantova nel 1495, il C. rimase arbitro della musica a corte. La sua maestria di "cantore al liuto" e l'originalità manifestata nell'interpretare musicalmente le varie forme poetiche d'ispirazione profana, genericamente indicate con il termine di "frottole", lo resero sempre più accetto.
A tale benevola disposizione contribuirono anche il carattere mite del C., la gentilezza di maniere, l'onestà, "l'integrità del costume", di cui parla il Canal, e la naturale generosità, qualità insolite nell'ambiente in cui viveva: l'animosità e l'invidia dei cortigiani, e particolarmente degli artisti, portavano frequentemente a beghe, screzi, gelosie e litigi d'ogni specie. Un motivo di discordia costituirono spesso gli allettamenti di cui erano fatti oggetto i migliori cantori e compositori, sollecitati a passare da questa a quella corte dalle offerte di più cospicui guadagni e di più onorifici incarichi. Le defezioni di cui ebbero a dolersi frequentemente i Gonzaga non riguardarono certamente il C., rimasto loro fedele sino alla fine dei suoi giorni e incaricato talora da loro di missioni riservate. Il suo ascendente a corte era tale che il principe Federico si rivolgeva a lui, talvolta, piuttosto che direttamente al padre, per ottenere quanto desiderava.
L'apprezzamento per le qualità umane del C. e il favore dei Gonzaga contribuirono certamente a conferire più ampie possibilità di diffusione alle sue opere, ma non furono certamente determinanti a stabilire quella solida considerazione di cui esse godettero, affidata precipuamente alla intrinseca validità delle medesime. Fra le testimonianze di tale considerazione interessante è quella firmata da Bernardo Bembo (padre di Pietro), senatore veneziano e ambasciatore della Serenissima, con il quale il C. dovette essere in dimestichezza. Il Bembo, allora podestà di Verona, in una lettera inviata a Francesco II il 3 sett. 1502, scriveva:... "Per ser Marco cantore vostro famigliare et nostro veronese ho ricevuto i versi de Venere et figlio" (V. Cian, P.Bembo e Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. della letter. ital., IX [1887], 3 pp. 90 n. 1, 99 s.). Di questa composizione non abbiamo nessun'altra notizia. Secondo il Cian, poteva trattarsi d'uno strambotto o d'una frottola musicata dal C., secondo l'Einstein, di versi di Pietro Bembo, messi in musica dal C., il quale si premurava di farli recapitare al compiaciuto padre del poeta.
La musica del C. veniva apprezzata dai Gonzaga come uno dei pochi conforti consentiti dai gravi avvenimenti di quel tempo; alla sua azione rasserenatrice ricorsero anche loro amici e congiunti. Ciò avvenne, in particolare, per Elisabetta Gonzaga e per il consorte Guidubaldo di Montefeltro, signore di Urbino, costretti a riparare a Venezia dopo che Cesare Borgia si era impadronito del loro ducato nel giugno del 1502. La marchesa Isabella inviò a Venezia (settembre 1503) il C.: il musico e una tale Giovanna, abile cantatrice, oltre a recare grande svago alla duchessa d'Urbino, si fecero ammirare anche dai Veneziani.
Come riporta il Davari, Lorenzo Gusnasco da Pavia, noto maestro intagliatore, che fornì le corti italiane di clavicordi, liuti e altri strumenti musicali di raro pregio, ebbe a dichiarare che il C. e Giovanna "cantano pur bene, beato chi li po' sentire; quelli di Venezia concludeno non havere mai sentito melio".
Grandi furono i favori accordati dai Gonzaga al Cara. Il 21 maggio 1505 Francesco scriveva al podestà di Sermide affinché nella valle del podere donato al C., "nostro famigliare et musico", si provvedesse a costruire una strada di accesso (Bertolotti, Musici..., p. 20). Successivamente, avendo concesso una breve licenza al musico e alla moglie - che ne aveva bisogno per motivi di salute -, il marchese scriveva (1º ag. 1505) che, nonostante fosse scaduto il termine del permesso, accordava una proroga (A. Bertolotti, Artisti in relazione coi Gonzaga..., Modena 1885, p. 113). Non mancarono ulteriori manifestazioni di affetto di Francesco II, il quale nel 1507 disponeva la donazione di una casa in via Pusterla, a Mantova, valutata 600 ducati d'oro (nel decreto relativo, citato dal Davari, il C. è qualificato "musicus noster excellens").
A proposito della moglie del musicista, veniamo a conoscerne il nome dal testamento, dettato nel 1509 al notaio mantovano G. Carminali, con il quale Giovanna de Marasechi lasciava erede dei suoi averi il marito Marco Cara. Si suppone trattarsi della non meglio precisata cantante Giovanna che lo accompagnò nella visita a Elisabetta Gonzaga a Venezia, la quale dovette morire in quel tempo. Il C. passava a seconde nozze nel 1512, quando la marchesa Isabella gli accordava in moglie una sua damigella, mantovana, figlia di un Leali, sovrintendente generale delle cacce marchionali.
Frattanto Francesco II, alleatosi con l'imperatore Massimiliano e con il re di Francia Luigi XII contro i Veneziani, era stato catturato dai soldati della Serenissima e condotto prigioniero a Venezia. Le preghiere e l'abile giuoco diplomatico della moglie poco valsero a mitigargli i rigori della prigionia. Nelle sue lettere Francesco inviava saluti al Cara (A. Luzio, La reggenza d'Isabella d'Este..., in Arch. storico lombardo, s. 4, XIV [1910], p. 21), e Isabella, a sua volta, il 27 dicembre del 1509 scriveva a Giorgio Brognolo (uno dei principali agenti dei Gonzaga a Venezia) per metterlo al corrente dei disagi del consorte, il quale non poteva ricevere i suoi famigliari "se non a stento": fra costoro era il C., il quale era andato a far visita al Gonzaga, dietro sua richiesta, "con gran difficoltà tre volte" (ibid., p. 37). Visite di musici mantovani, a quanto ci consta, ebbero a ripetersi fino al luglio 1510, quando, il Gonzaga riacquistò la libertà.
Il 2 dicembre dello stesso anno, come riporta l'Einstein, Cesare Gonzaga, appartenente a un ramo cadetto dei signori di Mantova, scriveva da Modena alla marchesa Isabella acciocché "si degnasse comandare a Marchetto... di fare un'aria a un so madrigaletto... e farla di sorte che il canto supplisca all'insufficienza delle parole". A prescindere dal tipo di madrigale proprio del sec. XIV, è questa la prima volta, nel sec. XVI, che si parla di madrigale: si tratta, nella fattispecie, del madrigale polifonico rinascimentale, il quale compare nella storia musicale con il nome del C. circa un ventennio in anticipo sulla pubblicazione delle prime raccolte antologiche apparse a partire dal 1530.
Ampiamente documentata è la libertà consentita al C. nelle decisioni riguardanti la vita musicale della corte mantovana. Con una lettera della segreteria ducale ferrarese del 20 marzo 1511, inviata "a R.me Marchetto de Cara musico, M.e Amice noster charissime" (Bertolotti, Musici..., p. 22), egli veniva pregato di occuparsi del disbrigo delle formalità necessarie al rapido trasferimento e alla sistemazione in Mantova di alcuni cantori ceduti dai duchi di Ferrara. Anche egli prese parte attiva, sia pure per brevi periodi, a questo scambio di musici. Massimiliano Sforza, divenuto da poco duca di Milano, il 18 nov. 1512 manifestava il desiderio di averlo ospite alla sua corte, con l'allievo R. Avanzini, assicurando di "subito remandarli" (A. Luzio, Isabella d'Este di fronte a Giulio II…, in Arch. stor. lomb., s. 4, XVIII [1912], p. 397).
Ottenuto il permesso dal Gonzaga, il C. tuttavia non si decideva a mettersi in viaggio, avendo saputoche Cremona, parte integrante del ducato di Milano, era allora uno dei teatri della guerra fra Francia e Spagna. Per persuaderlo a partire per Milano, si dovette fargli credere che a Cremona tutto era tornato tranquillo e che non c'era più alcun pericolo di trovarsi esposti al tiro delle artiglierie.
La promessa di Massimiliano di rimandare presto il C. e l'Avanzini non dovette essere mantenuta se il Gonzaga si ridusse a scrivere numerose lettere al duca di Milano, al cancelliere Somenza e al C. stesso, dichiarandosi ammalato e desideroso del conforto di un po' di musica. Le richieste si fecero, con il passare dei giorni, più impazienti e pressanti, mentre il C. si scusava di non poter partire, aggiungendo che Massimiliano era "tanto dedito e inclinato a la musica che mai havemo riposo né dì né nocte" (ibid., p. 399). Tornò a Mantova solo alla fine di gennaio 1513.
Il carteggio Gonzaga di questo periodo consente di conoscere l'entusiasmo sollevato dall'avvento della stampa musicale, che, superati i primi incerti tentativi, nel primo decennio del secolo raggiunse un indiscutibile livello di efficienza ed interessò i musici del tempo e, di riflesso, i loro mecenati. In una lettera del 14 settembre 1514 (Bertolotti, Musici..., p. 21) il marchese Francesco raccontava al C. come avesse rinvenuto al mercato di Gonzaga, "alcune belle cose nuovamente composte ma non anchor finite dal stampatore", e lo pregava di "far qualche bel canto sopra", con l'abituale eccellenza.
Talvolta erano i poeti a sollecitare la collaborazione del musico, come fece Galeotto del Carretto, che ebbe a pregare Isabella (lettera del 30 ott. 1513 citata dal Davari) di "costringere mes.r Marchetto mi voglia far partecipe de qualche suo canto", aggiungendo che avendogli già inviato "belzerette et altre compositioni" non ne aveva saputo più nulla. Anche il principe Federico, figlio di Francesco, mandava poesie che il C. musicò, non sempre puntualmente. I ritardi, o addirittura i dinieghi, dipendevano spesso, come si arguisce dalle scuse addotte, dalla naturale ritrosia del C. a pubblicare musiche buttate giù in fretta e su cattivi testi.
Le notizie sempre più scarse sul C. ci conducono all'anno 1522 e precisamente al 28 febbraio, allorché il Sanuto lo menziona nei suoi Diarii con l'allievo Avanzini. Successivamente, il 15 maggio 1523, una lettera del Gonzaga (Bertolotti, Musici..., p. 26), diretta al "D.no Marco de Cara", lo esortava affinché "...insieme col Pozzino, Zoppino e M. Augustino de la Viola con suoi figlioli veniate dimane matina qui a Marmirolo a disnar con noi facendo intendere alli preditti che portino li loro instrumenti da sonar et da cantar...". Ancora una notizia sul C. desumiamo da un'altra lettera del 15 marzo 1524 a lui inviata da Isabella (cfr. il Davari), dalla quale apprendiamo che le sue opere erano conosciute talora ancora prima che se ne desse ufficiale esecuzione a corte, il che sembra non garbasse alla marchesa che difenderà i suoi diritti di priorità. Con decreto del marchese Federico del 1º genn. 1525 si concedeva al C. ("Omnium horarum amicum"), e ai suoi discendenti, la cittadinanza mantovana, a riconoscimento della trentennale fedele attività prestata alla corte mantovana. Il C. è ricordato con la moglie ancora nel marzo 1525.
Il Bertolotti (Musici..., p. 21) avanza l'ipotesi che la morte del musico sia avvenuta intorno al 1527. Si tratta di un'ipotesi che nessun documento finora ha avvalorato, tanto più che nell'archivio, Gonzaga, come aveva constatato il Canal, si nota una lacuna dopo il 1525. L'Einstein è dell'opinione che la morte del C. sia da collocare negli anni trenta del sec. XVI dato che egli visse abbastanza da aver avuto la possibilità di musicare il primo dei madrigali di cui si abbia notizia di L. Cassola, "Se quanto in voi si vede", presente in una raccolta che si presume del 1535: Libro primo de laFortuna..., Venetiis apud O. Scotum..., che l'Einstein invece fa risalire al 1529-30. Secondo il Reese, il C. morì nel 1530 circa.
Fra le varie testimonianze della considerazione in cui era tenuta l'opera del C. e dell'ammirazione che era suscitata dalle sue esecuzioni di "cantore al fiuto" ricorderemo quella offerta dal già citato P. Aron, trattatista e compositore fiorentino, il quale nel suo Lucidario lo pone fra i più valenti cantori liutisti italiani del tempo. Il letterato fiorentino C. Bartoli afferma che dopo "Josquino des Prez ci sono stati molti valenti huomini... come fu un Giovan Mouton, Brumel, Jsac, Marchetto da Mantova (sic)... che seguendo dietro alle pedate di Josquino hanno insegnato al mondo come si ha a comporre di musica". Devozione sincera e stima si ritrovano nelle affettuose espressioni nei confronti del C. nel Cortegiano di B. Castiglione: in contatto con i grandi artisti del suo tempo, musicisti scultori e pittori, l'autore mette in luce, fra l'altro, il carattere personale che distingue le esecuzioni e le musiche di Bidon d'Asti (cantore della cappella pontificia sotto Leone X) da quelle del Cara. Il canto di quest'ultimo, secondo il Castiglione, commuove con più molle armonia; ché per una via placida e piena di flebile dolcezza intenerisce e penetra le anime, imprimendo in esse una dilettevole passione". Pietro Aretino, ne Il Marescalco (atto V, scena II), scritto per la corte dei Gonzaga nel 1526-27 (ma pubblicato a Venezia nel 1533), ricorda "quel madrigal che si canta nuovamente nell'aria di Marchetto". Secondo il Canal doveva trattarsi di una popolare "villanella" che si cantava ancora ai suoi tempi a Venezia sulle parole "Le son tre fantinelle, tutte tre da maridar". Anche fra' Sabba da Castiglione, ritiratosi in solitudine a Faenza, in una lettera ad Isabella, rimpiangendo i felici giorni trascorsi a Milano e a Mantova, la pregava di ricordarlo allo affetto di "messer Marchetto" (J. Cartwright, Isabella d'Este... 1474-1539, Paris 1912, p. 226).
L'evoluzione musicale che predispone l'avvento del madrigale polifonico cinquecentesco si fa partire a un di presso dall'ultimo ventennio del sec. XV, quando sbocciarono e fiorirono due originali forme poetico-musicali: il fiorentino e canto carnascialesco e la "frottola", spontaneo prodotto di alcune città dell'Italia settentrionale ed in particolare di Mantova, auspice la cultura e la squisita sensibilità d'Isabella d'Este. Il C. fu uno dei protagonisti, in ambito mantovano, di questa felice stagione musicale. La sua abilità di cantore liutista, conformemente alla pratica allora corrente di cantare la parte superiore di una composizione polifonica affidando al liuto (od eventualmente ad altro strumento polifonico) l'esecuzione delle altre parti, condusse all'affermazione della musica vocale accompagnata dando così origine ad una ignorata sensibilità strumentale. Ma il merito maggiore riconosciutogli è affidato all'affermazione della "frottola", una fra le più semplici delle forme corali rinascimentali, popolaresca quanto allo spirito e spiccatamente italiana quanto al carattere, tanto da porsi efficacemente in contrasto con l'arte e la pratica musicale franco-fiamminga, più colta ed elaborata.
Il C. ha legato il suo nome anche alla stampa musicale che fa la sua apparizione ufficialmente a opera di O. Petrucci, il vero primo tipografo musicale e primo rappresentante dell'editoria musicale. L'entusiasmo sollevato dalla sua produzione si affida specialmente agli undici volumi di Frottole corali (pubblicati a Venezia e a Fossombrone fra gli anni 1504 e 1514), fra le quali si possono rinvenire 65 delle 118 composizioni del Cara. Di queste la più nota è quella la cui fama, indipendentemente dal suo intrinseco valore, è affidata a motivi extramusicali. Si tratta della XXXIII "frottola" del III libro del Petrucci (Venezia 1504) il cui incipit "Forse che sì forse che no" costituisce l'iscrizione ricorrente, aurea in campo azzurro e in figura di labirinto, nel celebre soffitto di uno dei più deliziosi camerini di Isabella, nel palazzo ducale di Mantova.
Fonti e Bibl.: Mantova, Archivio storico Gonzaga, Lib. cop. lett., ad annos et menses: 1495, 24 gennaio e 10 agosto; 1502, 3 settembre; 1503, 30 aprile; 1505, 28 gennaio, 21 maggio e 1º agosto; 1506, 26 gennaio; 1511, 20 marzo; 1512, 22 gennaio e 1ºdicembre; 1513, 14 e 19 gennaio, 19 febbraio; 1514, 13 settembre; 1515, 7 dicembre; 1516, 9 maggio, 10 e 14 giugno, 11 agosto; 1518, 9 ottobre; 1523, 5 maggio; 1525, 1º gennaio e 12 marzo; Lib. Decret. 1499, 28 maggio, p. 154; Lib. Decret. 1507, pp. 166 ss.; Lib. dei Mandati, dal 1501 al 1515, passim; B. Castiglione, IlCortegiano, a cura di S. Del Missier, Novara 1968, pp. XII, XXI, 105; P. Aretino, Teatro, a cura di G. Petrocchi, Milano 1971, pp. 71-73; M. Sanuto, Diarii, XXI, Venezia 1887, col. 282; XXXII, ibid. 1892, col. 507; P. Aron, Lucidario in musica di alcune oppenioni antiche et moderne, Venezia 1545, lib. IV, p. 31a; C. Bartoli, Ragionamenti accad. sopra alcuni luoghi difficili di Dante…, Venezia 1567, p. 36; P. Canal, La musica in Mantova. Notizie tratte principalmente dall'Arch. Gonzaga, Venezia 1881, pp. 19-22; S. Davari, La musica a Mantova, in Riv. stor. mantovana, I (1885), 1-2, pp. 59-62; R. Schwartz, Die Frottola im 15.Jahrhundert, in Vierteljahrsschrift für Musikwissenschaft, II (1886), p. 427; A. Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga in Mantova dal sec. XV al XVIII, Milano s.d. (ma 1890), pp. 16, 18, 20-23, 26, 28 s.; A. W. Ambros, Gesch. der Musik, III, Leipzig 1891, pp. 480, 493 ss., 498, 500; A. Pirro, Histoire da la musique de la fin du XIVe siècle à la fin du XVIe, Paris 1940, pp. 160-163, 165; H. Everett, Heralds of the Italian Madrigal, in Musical Quarterly, XXVII (1941), p. 314; A. Einstein, The Italian Madrigal, I, Princeton, N. J. 1949, pp. 51-55, 77, 95, 106 s., 110-12, 120, 172 s., 185; G. Reese, Music in the Renaissance, New York 1959, pp. 157 s.; B. Disertori, Le frottole per canto e liuto intabulate da Franciscus Bossinensis, Milano 1964, pp. 29, 33, 42-44; Storia della musica. Ars Nova e umanesimo(1300-1540), III, a cura di D. A. Hughes G. Abraham, Milano 1964, pp. 438, 445, 449-452, 495; F. Testi, La musica ital. nel Medioevoe nel Rinascimento, Milano 1969, pp. 311 s., 320, 581; E. Vogel, Bibliothek der gedrucktenweltlichen Vocalmusik Italiens. Aus den Jahren 1500-1700, I, Berlin 1892, pp. 139, 361-379; R. Eitner, Quellen-Lex. der Musiker, II, p. 323; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 292; Suppl., pp. 158 s.; Die Musik in Gesch. und Gegenwart, II, coll. 823-830; Enciclopedia della Musica Ricordi, I, p. 410; Dizionario dei musicisti e cantanti veronesi(1400-1966), s.l. 1966, p. 24; La Musica,Diz., I, p. 346.