FRONTONE, Marco Cornelio (M. Cornelius Fronto)
Retore africano, della numidica Cirta, vissuto fra il principio e la seconda metà inoltrata del sec. II d. C., senatore, console nel 143, precettore di M. Aurelio e di Vero, caro ad Antonino Pio e ai suoi imperiali discepoli, è figura rappresentativa, se altra mai, delle correnti spirituali dominanti nel suo secolo, tipica incarnazione di quell'intellettuale inaridimento, a cui ormai era condannata la vecchia tradizione romano-pagana. F. appartiene completamente al passato, né nel protendersi verso di esso è un innovatore: in lui culmina piuttosto, con gli eccessi naturali a una mente ristretta, a un'anima che poco sente la vita, una tendenza che data da patecchie generazioni, nella Roma imperiale: l'arcaismo. Esaurito il genio creatore, la mania dell'antico trionfa in Roma, ed è vuota rettorica, tutta fatta di parole, né già di parole vive, sì di tramontate da lunghi anni: una veste variopinta sovrapposta a pensieri senza sostanza e senza aderenza con l'anima. Questo, insomma, il frontonianismo. Al fondo del quale non manca certo un'idea sana di contro all'invadente forestierume, l'idea conservatrice ch'era già degl'ingegni più alti di Roma: F. va a rintracciare nei vecchi vocaboli la virtù e la proprietà primitiva, e con esse la dignità, e attraverso esse il sapore del nuovo; insperata atque inopinata verba è il motto della sua scuola. Ma chiudersi completamente o quasi nella parola come parola, e nel tesoro linguistico d'una età remota, e circoscritta poi al giro di breve spazio, astrarsi dalle cose presenti, isolarsi nella pura forma, qui sta l'irragionevole del frontonianismo. Non restaurazione è questa: è morte; non istinto di conservazione, ma di reazione; non arte, ma artificio. Vaba quaerere, reperta recte collocare, colorem sincerum vetustatis appingere, sententiis gravissimis et honestissimis abundare: siffatto l'ideale artistico di F. La letteratura non è più che eloquenza; ogni altra espressione letteraria è ridotta a suddivisione dell'arte del dire; e ciò che vale è sempre il peregrino, il raro, il faticosamente ricercato e riesumato, l'esagerato, il barocco insomma. Tale ci apparisce F. nella corrispondenza col principe e con l'imperatore M. Aurelio, con l'imperatore Verō, con Antonino Pio e nella corrispondenza greca; tale anche più nei frammenti o trattati oratorî, nella Consolatio de bello Parthico e nei Principia historiae, un'introduzione al racconto della guerra condotta da Vero contro i Parti, ch'è un panegirico dell'imperatore vittorioso. Da lodare fu trovato in altri resti greci e latini, nei componimenti sull'amore ('Ερωτικός), sulla favola di Arione, sulle ferie di M. Aurelio in Alsium presso la spiaggia etrusca, sugli Elogi del fumo e della polvere, sull'Encomio della negligenza; ma, se pur costì si voglia rinvenire un che di eleganza, si tratta d'inezie, di ludi letterarî. Sull'eloquenza, l'arte tanto decantata, F. non ha vedute originali: il più deriva a lui da Teodoro di Gadara o è riadattamento di dottrine teodoree. Precetto pratico della inventio, per F. importante, è quello che gli viene dal maestro Atenodoto, di correr dietro alle εἰκόνες, a somiglianze d'immagini, a parallelismi appropriati, per dar luce alle cose: misero espediente rettorico che ci dà la misura di come siano disseccate le fonti dell'arte. Esempî dello sforzo di certe εἰκόνες ci offre F. nei suoi scritti. Metodo d'insegnamento del retore era di leggere e parafrasare gli scrittori: men che nuovo anch'esso. La Rettorica a Erennio, Quintiliano, Elio Teone d'Alessandria ci fan vedere come s'intendeva la parafrasi nel buon tempo; F. la riduce a variar parole con sinonimi di maggiore effetto, a inserire analogie d'immagini, ad aggiunger figure, ad accumulare colorito antico (p. 151 ed. Naber). Non maraviglia che un M. Aurelio a poco a poco si straniasse da simili insegnamenti per darsi tutto alla filosofia e che, pur conservando il suo benvolere per un uomo dabbene - vedasi il ritratto che F. fa di sé stesso a p. 235 Nab. - e pur riconoscendo nei Ricordi (I, 11) quello che da lui aveva umanamente appreso - bel tributo di omaggio! -, tacesse del maestro di rettorica; l'epistolario acquista d'interesse, proprio là dove ci documenta questo graduale allontanarsi del principe filosofo, e anche di suo fratello, dalle vie additate da F. In verità il suo genus dicendi non ha ossa né sangue; è e apparve variamente di maniere disparatissime, ora secco e breve e disadorno, ora grave, ora agghindato e pomposo. Valore ha l'opera di F. come documento di cultura. Il valore reale del frontonianismo sta nell'aver favorito gli studî lessicografici, tanto che F. in Gellio è introdotto più volte a dirigere discussioni di carattere linguistico; sta nell'aver contribuito non poco a salvarci testi o avanzi di testi arcaici.
L'influsso di F. come linguista e arcaista è durato a lungo. in guisa che a lui furono attribuite falsamente opere quali il De nominibus verborumque differentiis (Keil, Grammatici latini, VII, p. 517 segg.) e gli Exempla locutionum di Messio Arusiano (Keil, VII): il De nominibus però solo dal Parrasio nell'edizione principe del 1509. Da rilevare è anche che l'amanuense dell'unico codice rimastoci, il Bobbiense del sec. VI, un palinsesto, qualche volta ter rescriptus, la cui parte più ampia, dell'Ambrosiana di Milano, fu edita dal Mai nel 1815, l'altra, della Vaticana, sempre dal Mai nel 1823 e nel 1846 insieme con la prima, notò in margine voci antiche del suo esemplare e il precetto frontoniano colorem vetustum appingere. Dopo il Mai, i frammenti milanesi ebbero le cure del Niebuhr (Berlino 1816). Tutto il codice serba 194 fogli dei 340 originarî; onde la produzione di F. ci è giunta molto frammentaria, e parecchio guasto è per di più il manoscritto nelle parti a noi arrivate. Sostanzialmente scaturisce di là quello che di F. abbiamo e sappiamo. Accanto sia ricordato Gellio, coi testimonia veterum già raccolti dal Mai. Dopo la seconda edizione del Mai venne quella del Naber (Lipsia 1867), basata sopra una nuova affrettata collazione del codice per parte del Du Rieu. Quindi, il sorgere degli studî testuali: del Klussmann, dello Studemund, del Novak, del Brakman, particolarmente del Hauler che prepara di lunga lena un'edizione critica. Sui risultati di lui, non su indagini personali, si fonda l'edizione di C.R. Haines (Loeb Classical Library, 1919-20), accompagnata da versione inglese. Prima traduzione, la francese di A. Cassan, Parigi 1830.
Bibl.: Ampia letteratura presso Brzoska, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, p. 1312 segg. e in Schanz-Hosius, Geschichte der römischen Litteratur, III, Monaco 1922, p. 88 segg. Per l'indirizzo generale della letteratura dell'impero, U. v. Wilamowitz, Hellenismus und Rom, in Reden und Vorträge, Berlino 1926, p. 149 segg.; per l'arcaismo, L. Valmaggi, I precursori di F., Ivrea 1887; E. Norden, Die antike Kunstprosa, I, Lipsia 1915, p. 362 segg. coi Nachträge delle due ristampe (1915-1923); W. Kroll, in Rheinisches Museum, LII (1897), p. 574 segg.; A. Klotz, Klassizismus und Archaismus, in Archiv für lateinische Lexikographie, XV (1907), p. 401 segg.; per Frontone in genere, A. Beltrami, Le tendenze letterarie negli scritti di F., Roma-Milano 1907; M. D. Brock, Studies in Fronto and his age, Cambridge 1911; V. Ussani, in Rivista di filologia classica, n. s., I (1923), p. 40 segg.