GAGLIANO, Marco da
Nato a Firenze il 1° maggio 1582, fu il secondo dei sette figli di Zanobi (originario di Gagliano, la cittadina da cui prese il nome, nel Mugello) e Camilla di Marco. Che non fosse nato a Gagliano nel 1575, secondo quanto era stato erroneamente indicato dal Vogel nel 1889, lo si desume dall'atto battesimale, conservato nell'Archivio di S. Maria del Fiore in Firenze e posto in luce dalle recenti ricerche di Fabbri e Settesoldi.
Appartenente a famiglia di umili origini, come egli stesso lascia intendere in alcune lettere inviate a Ferdinando Gonzaga e Spinello Benci (pubblicate dal Vogel), fu presto avviato dal padre alla carriera ecclesiastica. Contemporaneamente intraprese lo studio della musica sotto la guida di Luca Bati, allievo di Francesco Corteccia e successore di Cristoforo Malvezzi nelle funzioni di maestro di cappella in S. Lorenzo. Divenuto dal 1602 suo sostituto con uno stipendio di 2 scudi mensili, assunse inoltre, dal 1605, l'incarico di organizzare la musica per la settimana santa.
Negli stessi anni frequentò la Compagnia dell'Arcangelo Raffaele, detta della Scala, di cui facevano parte anche Cosimo de' Medici, Ottavio Rinuccini, Giovanni Bardi e Jacopo Peri; iscritto nella confraternita fin dal 1588, ne fu eletto maestro di cappella nel dicembre 1607, con un salario annuale di 40 scudi, ma tale incarico, gli fu conferito soltanto nel luglio 1609. La nomina dimostra di quale stima godesse negli ambienti musicali, dove il suo nome era legato soprattutto alla produzione di quattro libri di madrigali, pubblicati a Venezia tra il 1602 e il 1606, e al suo primo volume di musica sacra, l'Officium defunctorum quatuor paribus vocibus, dato alle stampe nel 1607.
È in questo stesso anno che accrebbe la propria notorietà essendo tra i principali fondatori dell'Accademia degli Elevati, ove figurò come Affannato, nome accademico assunto in seguito a un conflitto interno che nell'autunno del 1609 ne insidiò gravemente l'esistenza. La prima testimonianza dell'Accademia, cui aderirono i musicisti più rappresentativi della Firenze medicea, è contenuta in una lettera del 20 ag. 1607, inviata al principe Ferdinando Gonzaga di Mantova; ivi il G. fornisce notizie preziose sul periodo di fondazione (giugno 1607) e inoltre, dichiarandosi compiaciuto per il patronato dello stesso Gonzaga, esprime il desiderio di essere impiegato presso la corte di Mantova.
La richiesta fu accolta e nel dicembre del medesimo anno il G. si recò nella città lombarda, per partecipare alle manifestazioni artistiche indette per le nozze di Francesco IV Gonzaga con Margherita di Savoia: in occasione delle solenni feste di corte compose una nuova versione de LaDafne, favola pastorale in sei scene di O. Rinuccini già musicata dal Peri e da I. Corsi.
Nonostante le cerimonie nuziali fossero rinviate al maggio seguente, l'opera venne ugualmente rappresentata durante la stagione di carnevale (teatro di Corte, gennaio 1608) per festeggiare la recente nomina cardinalizia di Ferdinando Gonzaga (24 dic. 1607). Tale avvenimento non è databile con sicurezza, tuttavia ne abbiamo testimonianza in una lettera del 10 marzo 1608, inviata dal Peri al cardinal Ferdinando, ove si legge: "Ho inteso che si sono fatte cose bellissime e quanto onore si sia fatto al Sig. Marco nella nuova Dafne fatta recitar da V. Ecc. Ill., del che sommamente me ne rallegro" (Testi).
Nella lunga prefazione alla stampa dell'opera (Firenze, 20 ott. 1608) il G. fornisce preziose indicazioni circa la provenienza delle arie "Chi dà lacci d'Amor vive disciolto", "Pur giacque estinto alfine", "Un guardo, un guardo appena" e "Non chiami mille volte il tuo bel nome", scritte da "uno de' nostri principali Accademici, gran protettore della musica e grande intenditore di essa", nel quale altri documenti hanno consentito di ravvisare Ferdinando Gonzaga; vengono indicati inoltre quali principali interpreti la celebre soprano Caterina Martinelli, nel ruolo della protagonista, il tenore Francesco Rasi, nella parte di Apollo, e il contralto Antonio Brandi, detto il Brandino, quale Nunzio.
Tenuto in grande considerazione dai Gonzaga, il G. si trattenne a Mantova fino al giugno 1608, ricevendo per i servizi prestati un compenso di 200 scudi. In questo periodo fece ancora rappresentare la mascherata Il trionfo d'onore, il ballo Il sacrificio d'Ifigenia (parole di A. Striggio) e il terzo intermedio, su testo di G. Chiabrera, per la commedia l'Idropica di G. Guarini (Mantova, teatro di Corte, 2 giugno 1608), cui collaborarono anche C. Monteverdi, S. Rossi e G. Gastoldi. Queste musiche dovettero riscuotere ampi consensi se, rientrato a Firenze, gli fu offerto il posto di maestro di cappella dei Medici, incarico che rifiutò per assumere il medesimo ruolo nella basilica di S. Lorenzo, come successore di Bati morto il 17 ott. 1608.
In seguito, nel gennaio 1609, fu investito del canonicato e nel luglio dello stesso anno accettò la carica di maestro della cappella granducale, divenendo così compositore ufficiale dei Medici. Da questo momento buona parte della sua attività fu assorbita dai generi prescelti nei trattenimenti di corte: il 14 febbr. 1611 fu rappresentata a palazzo Pitti la Mascherata di ninfe di Senna (testo del Rinuccini), realizzata in collaborazione col Peri, Lorenzo Allegri, Vittoria Archilei, Francesca e Settimia Caccini, per la scenografia di Giulio Parigi; alla replica dello spettacolo (ivi, 4 maggio 1613) fecero seguito, su testo di G. Ginori, Scherzi e balli di giovanette montanine (ivi, 6 febbr. 1614) e Ballo di donne turche insieme con i loro consorti di schiavi fatti liberi, "danzato nel Real Palazzo de' Pitti davanti alle Serenissime Altezze di Toscana, il carnevale dell'anno 1614", che, contrariamente alle indicazioni contenute in margine al libretto, fu rappresentato soltanto il 26 febbr. 1615, come si desume dal Diario di C. Tinghi (pubbl. in parte dal Solerti nel 1905).
Divenuto ormai uno dei compositori più stimati di Firenze, il G. raggiunse in breve tempo un predominio quasi assoluto nel campo della "musica scenica", instaurando una durevole collaborazione col poeta Andrea Salvadori. Su libretto di quest'ultimo, insieme con I. Peri, compose, nel 1617, Laliberazione di Tirreno e d'Arnea, autori del sangue toscano, veglia reale a sfondo mitologico per le nozze di Ferdinando Gonzaga e Caterina de' Medici, e Lo sposalizio di Medoro ed Angelica, opera in tre atti rappresentata il 25 sett. 1619 in occasione dell'elezione imperiale di Ferdinando II d'Asburgo.
Frattanto, nonostante i numerosi contributi alle manifestazioni di corte, il G. non trascurava i propri obblighi presso la basilica di S. Lorenzo, ove nel corso degli anni era andato ricoprendo cariche di crescente responsabilità. A questo periodo risale la raccolta Missa et sacrae cantiones, sex decantande vocibus, pubblicata a Firenze nel 1614, cui fece seguito il volume Sacrarum cantionum unis a sex decantandarum vocibus… liber secundus, stampato a Venezia nel 1622.
Negli stessi anni fu anche coinvolto in una controversia con Mutio Effrem, autore del testo Censure… sopra il sesto libro de madrigali di m. M. da G.… (Venezia 1622). Con tale scritto, contenente aspre critiche sulle doti compositive del G., l'Effrem intendeva rendere pubblica la disputa col G. il quale, da parte sua, già nella prefazione del Sesto libro di madrigali del 1617, aveva deplorato l'atteggiamento ostile dell'avversario.
In seguito, dopo aver collaborato con Francesca Caccini alla commedia La fiera di Michelangelo Buonarroti il Giovane (Uffizi, 11 febbr. 1619), scrisse, sempre su testo di Salvadori, Le fonti d'Ardenna, festa d'armi e di ballo in tre scene (palazzo dei conti Della Gherardesca, 3 febbr. 1623), dedicata al duca d'Urbino Federico Ubaldo Della Rovere; compose poi La regina Sant'Orsola, azione eroica in cinque atti con prologo rappresentata agli Uffizi il 6 ott. 1624 e replicata nel medesimo luogo il 28 genn. 1625.
Dalle indicazioni preposte alla stampa del libretto risulta che "L'Azzione Eroica di questa real Vergine… è stata rappresentata a due dei maggiori Principi d'Europa; la prima volta al Ser. Arciduca Carlo d'Austria e ultimamente al Serenissimo Ladislao Sigismondo, principe di Polonia e di Svezia, sotto l'ombra della cui protezzione è venuta in luce". Da ciò il Daugnon ha arguito che il G. fosse stato presente alle manifestazioni teatrali presso la corte reale di Varsavia negli anni compresi tra il 1624 e il 1632, ma la circostanza non è convalidata, in quanto pare improbabile che il musicista si fosse allontanato da Firenze per un così lungo periodo di tempo. È invece più plausibile una sua breve permanenza a Innsbruck al servizio dell'imperatore, come risulta da una lettera del 3 genn. 1621, inviata dalla granduchessa Maria Maddalena d'Austria, alla duchessa di Mantova, Isabella Gonzaga.
Dopo essersi nuovamente cimentato in argomenti religiosi con l'azione sacra in due atti L'istoria di Judith (22 sett. 1626) il G. si dedicò alle musiche per La Flora overo Il Natal de' fiori, favola in cinque atti e prologo su testo di Andrea Salvadori, rappresentata il 14 ott. 1628 "nel teatro del sereniss. Gran duca, nelle reali nozze del sereniss. Odoardo Farnese duca di Parma, e di Piacenza; e della serenissima principessa Margherita di Toscana", come si legge in margine alla partitura (Firenze 1628), ove risulta inoltre che "le musiche furono tutte del Sig. Marco da Gagliano, eccetto la parte di Clori, la quale fu opera del Sig. Jacopo Peri". Parallelamente all'intensa attività di compositore di corte, non trascurò la produzione di musica sacra: nel 1630 diede alle stampe la raccolta Responsoria maioris hebdomadae, quatuor paribus vocibus decantanda (Venezia), in seguito reputata dal Moreni "una di quelle opere che reggono conto al tempo, e conto alla moda e che lo ha reso celebratissimo nella storia degli uomini grandi del suo secolo".
Da questo momento, per le cagionevoli condizioni di salute, la sua attività compositiva fu notevolmente ridotta. Nel 1634 partecipò ancora alla realizzazione della favola pastorale in cinque atti e prologo Le nozze degli dei (libretto di G.C. Coppola, palazzo Pitti, 8 luglio 1637), per le nozze di Ferdinando II de' Medici e Vittoria Della Rovere, lavoro col quale si concluse la sua attività teatrale.
Il G. morì a Firenze il 25 febbr. 1643 (1642 stile fiorentino: cfr. Fabbri - Settesoldi).
Esponente di rilievo nella Firenze dei primi decenni del Seicento, il G. condivise con il Peri e Giulio Caccini gli ideali della Camerata, della quale può essere considerato l'ultimo valido rappresentante. La sua importanza rimane legata all'attività svolta nella cerchia culturale della corte medicea, dove, insieme col Peri e Francesca Caccini, fu autore di numerose creazioni musicali destinate a celebrare gli eventi più significativi della famiglia granducale. Apprezzato inoltre per gli incarichi di prestigio ricoperti nell'ambito del capitolo laurenziano, acquistò in breve tempo ampia notorietà, che andò consolidandosi con la partecipazione alla vita teatrale della corte di Mantova, ove ebbe modo di imporsi per la modernità delle scelte compositive. Che fosse particolarmente stimato presso i contemporanei lo si desume dall'adesione all'Accademia degli Elevati dei più eminenti rappresentanti della vita culturale e artistica di Firenze, tra i quali G. Bardi, O. Rinuccini, I. Peri, P. Strozzi, G. Cavaccio e lo stesso Ferdinando Gonzaga.
Pur soggetto agli influssi stilistici della nuova epoca, orientati verso la monodia, il G. si inserì con continuità nella grande tradizione della musica polifonica fiorentina, che aveva avuto come autorevole esponente Luca Bati. Nonostante il ricorso alla scrittura contrappuntistica fosse affidato essenzialmente ai lavori del primo periodo, l'ambivalenza nella scelta delle soluzioni caratterizzò l'intera sua opera, numericamente rilevante nelle forme brevi, più interessante sotto il profilo melodrammatico.
Un posto di rilievo nella storia dell'opera occupa la sua versione musicale della Dafne. Nella stampa della partitura (Firenze 1608; ibid. 1810; ora conservata in diversi esemplari nelle principali biblioteche di Roma, Firenze, Berlino e Parigi) è presente una lunga prefazione, ove l'autore delinea con chiarezza ed efficacia i contorni del nascente melodramma, tracciandone una breve storia e fornendo preziose indicazioni sulle modalità di esecuzione. Seguendo i dettami del proprio ideale estetico, fondato sulla intelligibilità del testo, raccomanda ai cantori di "scolpir le sillabe, per far bene intendere le parole", condannando le arbitrarie aggiunte di fioriture come "gruppi, trilli, passaggi ed esclamazioni", necessarie soltanto dove occorra "spiegar tutte quelle maggiori leggiadrie che richiegga il canto" (come in "Non curi la mia pianta"). Tra i criteri di realizzazione scenica insiste inoltre sulla buona armonia tra le voci e gli strumenti e sull'utilità di una sinfonia "innanzi al calar della tenda, per render attenti gli uditori", principî questi che si uniscono a un'armonica concezione dello spettacolo dove, secondo il Ronga, la "riunione o mescolanza di effetti sonori e visivi" dichiara apertamente "un'inclinazione di tipico gusto barocco".
Dalla prefazione emergono inoltre le affinità del suo stile rappresentativo con la linea del recitar cantando del Peri, il quale, da parte sua, non aveva risparmiato alla nuova versione del dramma positivi commenti, lodandone, in una lettera inviata l'8 apr. 1608 al cardinale Ferdinando Gonzaga, un "modo di canto… più proprio e vicino al parlare che quello si qualc'un altro valent'huomo". Tuttavia l'espansione lirica della recitazione e l'uso più ampio di strumenti obbligati mostrano una certa emancipazione dal modello e una più stretta familiarità con l'opera del Monteverdi, come nella già citata "Non curi la mia pianta o fiamma o gelo", dove l'effetto sonoro della lira d'Apollo viene amplificato da un gruppo di viole nascoste dietro la scena. Delle rimanenti parti che compongono l'opera si ricordano, per efficacia espressiva e incisività drammatica, la descrizione corale del combattimento di Apollo, i dialoghi di Amore e Venere e il lamento della ninfa.
Meno efficace lo stile della Flora, unico lavoro teatrale, insieme con il precedente, di cui ci è pervenuta la musica (ora conservata in più copie nelle biblioteche del Civico Museo bibliogr. musicale di Bologna, Estense di Modena e del conservatorio di Napoli). Testimonianza del tardo stile del G., l'opera presenta una minore originalità nel trattamento dei recitativi, che solo occasionalmente assumono accenti di notevole efficacia espressiva ("Lassa, che fò?", "Lasciatemi ch'io muoia"). Gli effetti di monotonia sono attenuati mediante il frequente inserimento di parti in stile arioso, per lo più in forma strofica, costruite su ripetitivi schemi armonici e arricchite, ove il testo lo richieda, da floridi vocalizzi. Emergono sulle altre le ariette di Pan, primo esempio di elementi comici nell'opera, e le arie della tre Grazie ("Dormi Amor, che Pasitea"; "Dormi Amore, è qui Talia"; "Dormi Amore, e intanto Aglaia"), "concepite su eguale base armonica, ma con pregevoli variazioni che sottolineano il carattere dolcemente cullante delle tre ninne-nanne" (Cortellazzo, p. 592). Tuttavia i migliori risultati sono affidati alla parte corale, spesso accompagnata da danza, ove la condotta a canone della scrittura polifonica rivela "una concezione decisamente verticale delle parti, che segna il definitivo superamento della pratica contrappuntistica" (ibid., p. 597).
Per il loro carattere del tutto occasionale le musiche dei rimanenti lavori del G. sono andate perdute; se ne conservano i libretti e più raramente giudizi critici da parte dei contemporanei, come nel caso della citata opera in tre atti Lo sposalizio di Medoro e Angelica, particolarmente apprezzata da G.B. Doni per l'accurato trattamento dei recitativi. Testimonianza della sua produzione polifonica è affidata ai sei libri di madrigali a cinque voci, tutti editi a Venezia da Antonio Gardano e ora conservati nella Biblioteca del Civico Museo bibliogr. musicale di Bologna. Le raccolte, pervenuteci fortunatamente complete, presentano una notevole varietà stilistica.
Nei primi due libri (1602, 1604), scelte compositive di varia provenienza sono riunite e alternativamente valorizzate allo scopo di esprimere più compiutamente il significato del testo letterario. In questo senso la tendenza alla condotta omofonica, riconducibile alla scuola del Bati, e le accentuate tensioni armoniche nei brani cosiddetti "affettivi" segnano la distanza da contenuti più leggeri, resi mediante il ricorso a una elaborata tessitura contrappuntistica di chiara ascendenza ferrarese. La progressiva riduzione della dissonanza e la tendenza allo stile epigrammatico, ascrivibili alla contemporanea scuola polifonica fiorentina, caratterizzano i madrigali del terzo, quarto e quinto libro (1605, 1606, 1608), mentre il recupero dell'idioma espressivo nel sesto (1617; ristampa, 1620), si apre alle conquiste stilistiche maturate in ambito teatrale: l'intima relazione testo-musica, l'aumentato virtuosismo della scrittura e la presenza di forti contrasti ritmici ne fanno un'esperienza assolutamente innovativa all'interno della sua produzione, nonostante la aspre critiche dell'Effrem.
Una diversa direzione seguono le Musiche a una, due, e tre voci (Venezia 1615; ora presso la Bibliothèque Royale de Bruxelles, la British Library di Londra e il Conservatorio di Firenze), dalle quali è possibile avere un'idea abbastanza chiara delle nuove tendenze monodiche, sostenute da un'accurata scelta del testo poetico (P. Bembo, O. Rinuccini, G. Chiabrera, T. Tasso, G. Guarini e F. Petrarca). Sei madrigali della raccolta fanno parte del Ballo di donne turche insieme coi loro consorti di schiavi fatti liberi ove, secondo le notizie del Tinghi riportate dal Ghisi, "brani vocali, sia in stile madrigalesco che in quello recitativo su basso continuo, e balli strumentali concorrono insieme all'azione coreografica, danzata e mimata con gesti e pomposamente addobbata con costumi sfarzosi e apparati scenici".
La rimanente produzione profana del G. comprende, manoscritti, circa cento madrigali, a 1-3, 5-8 e 10 voci, oltre ad alcuni brani contenuti in raccolte dell'epoca, tra i quali: "Bel Pastor" ed "Ecco solinga delle selve amica" rispettivamente nel primo e secondo volume delle Musiche (Venezia 1611, 1613) di P. Benedetti; "O dolce anima" a 5 voci nel Secondo libro de' madrigali (Firenze 1614) di G. Del Turco e "Nasce questo" a 5 voci nel Terzo libro de' madrigali (Venezia 1629) di F. Vitali.
Delle varie composizioni sacre, oltre alle raccolte già menzionate, si ricordano in particolare un Lauda Sion a 8 voci inserito nel Secondo libro de motetti del fratello Giovanni Battista e i manoscritti (gran parte dei quali conservati presso l'Archivio di S. Maria del Fiore) delle seguenti opere: Requiem a 8 voci (1607), Messa a 4 voci (1607), Messa a 6 voci (1614), Te Deum a 8 voci (1618), tre Magnificat (uno a 2 voci e due a 4 voci del 1622), Beatus Andreas a 6 voci (1629), oltre a numerose composizioni sacre su testo latino e madrigali spirituali su testo italiano.
Il fratello Giovanni Battista, nato a Firenze il 20 dic. 1594, intraprese lo studio della musica sotto la guida del G.; ancora in giovane età, il 24 luglio 1599, divenne membro della Compagnia dell'Arcangelo Raffaele, assumendone, nel dicembre 1622, il titolo di maestro di cappella, incarico che mantenne fino al novembre 1625. In questa veste compose diversi dialoghi sul Natale, inseriti nella raccolta Varie musiche di Giovanbatista da Gagliano libro primo pubblicata a Venezia nel 1623. Nello stesso periodo si dedicò all'istruzione musicale dei chierici, attività che lo vide impegnato, contemporaneamente, nella cattedrale di S. Maria del Fiore, presso la cappella medicea e nella basilica di S. Lorenzo ove, a detta del Vogel, ricoprì tale incarico fin dal 1613. Dal 6 genn. 1621 figurò inoltre come musico (cantore) in S. Maria del Fiore e nel medesimo ruolo fu assunto il 1° ott. 1624 presso la corte granducale.
In questi anni si acquistò la stima e il favore dei Medici sia in veste di tiorbista sia come autore di musica teatrale: nel 1622 compose, in collaborazione con Francesca Caccini, Il martirio di s. Agata, opera del letterato Iacopo Cicognini, rappresentata il 10 febbr. 1622 per la Compagnia di S. Giorgio e replicata "il dì 22 giugno susseguente nel Palazzo dell'illustrissimo et reverendissimo signor Cardinale de' Medici… alla presenza dell'Altezze Serenissime", come scrive lo stesso Cicognini nell'"avvertimento ai lettori" preposto alla stampa del libretto (Firenze, Giunti, 1624).
In seguito, nonostante i molteplici impegni presso la corte granducale, non trascurò la produzione di musica sacra: nel 1626 diede alle stampe la raccolta Motetti per concertare a due, tre, quattro, cinque, sei e otto voci (Venezia, A. Vincenzi) e nel 1634 fece pubblicare il volume Psalmi vespertini cum litaniis beatissimae Virginis quinis vocibus modulandi (ibid.). Tale produzione dovette riscuotere ampi consensi se, alla morte del fratello (25 febbr. 1643), gli fu offerto il posto di maestro di cappella in S. Lorenzo, incarico che ricoprì dal 9 giugno 1643. Appartiene a questo periodo Il secondo libro de motetti a sei et otto voci per concertarsi nell'organo, e altri strumenti (Venezia 1643), ultima raccolta di cui ci giunge notizia.
Giovanni Battista morì a Firenze l'8 genn. 1651.
Emulo del fratello nello studio del contrappunto, Giovanni Battista si dedicò prevalentemente alla produzione di musica sacra, attività che lo vide impegnato nelle principali sedi della vita religiosa fiorentina: la basilica di S. Lorenzo e la cattedrale di S. Maria del Fiore. In linea con le tendenze musicali del tempo, seppe conciliare la tradizione polifonica con le nuove esigenze stilistiche suggerite dall'affermazione della monodia accompagnata. Questo spirito di modernità, già presente nelle raccolte di musica ecclesiastica, dovette essere più evidente in campo teatrale, ove si avvalse della collaborazione di Francesca Caccini, figura di rilievo nell'ambiente "cameratistico" fiorentino.
Di tale produzione, tutta di argomento sacro, le musiche sono andate perdute; si conservano i libretti, editi a Firenze, dei seguenti oratori: La benedizione di Iacob (G.M. Checchi, 1622), Il gran Natale di Christo (I. Cicognini, 1622), La celeste guida (ibid., 1624) e il già citato Martirio di s. Agata (ibid., 1624). Delle numerose composizioni ecclesiastiche si ricordano, oltre alle opere già citate, un Salve Regina a 4 voci pubblicato a Venezia nel 1603 e, conservati manoscritti nell'Archivio di S. Maria del Fiore, un Requiem, un Benedictus a 5 voci e numerosi mottetti citati dal Ghisi.
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