BARBARIGO, Marco e Agostino
Costituiscono l'unico esempio nella storia veneziana, dopo l'assestamento costituzionale del dogado, dell'immediato succedersi di due dogi della stessa famiglia. I due fratelli ascendono successivamente al seggio ducale in tarda età, dopo lunga carriera trascorsa tra gli uffici interni e le cariche militari e civili di terraferma, e dopo aver raggiunto la massima dignità di procuratore di San Marco. Il primo, e più anziano Marco, tipo bonario e placido, è proprio l'opposto del fratello e successore, iracondo ed estremamente avaro. Marco fu elevato al dogado il 19 novembre 1485, in un momento difficile, anche se pacifico per il recente trattato di Bagnolo (1484); per la bontà d'animo e la mitezza del temperamento era considerato, anche dagli oppositori, un elemento di conciliazione all'interno, quando questo suo sentimento non fu scambiato e rimproverato per debolezza o incapacità. Il suo dogado, troppo breve, non gli diede tempo per precisare una direttiva nella politica interna ed estera; sollecitato a prender posizione, con offerta lusinghiera, nella lotta dei baroni, se ne schermì. Morì pochi mesi dopo, il 14 agosto 1486.
La successione, disputata fra la n0bilta vecchia, che portava Bernardo Giustinian, e la nuova, fu un trionfò per quest'ultima nel nome di Agostino Barbarigo (28 agosto 1486), già dimostratosi energico provveditore in campo nella guerra contro Sisto IV e Ferrara. L'esperimento non fu fortunato, perché col suo egoismo e con la sua avarizia diffuse un senso di scontrosa diffidenza e di sospetto, che alla sua morte, avvenuta il 20 settembre 1501 ad 82 anni (era nato nel 1419), provocò (caso quasi unico) un'inchiesta, perseguita con accanimento, sulla sua attività amministrativa, e conclusa con l'accertamento di piccole irregolarità ed arbitrî, testimonî più che altro d'uno spirito gretto e avido di danaro. Il ritratto morale lasciato dai contemporanei non è quello di un uomo fatto per cattivar simpatie, per annodar amicizie e per trovar consensi: il processo fatto alla sua memoria è il frutto di questa psicologia individuale, piuttosto che epilogo di un conflitto di passioni politiche.
Data la costituzione veneziana, che annullava l'influenza personale del doge e accentrava ogni autorità nel potere collettivo anonimo dei consigli aristocratici, non si possono attribuire al B. gli ondeggiamenti seguiti dalla politica estera veneziana, sotto il suo dogado. Infatti il governo veneto si lasciò trascinare un po' alla ventura, guidato dalla considerazione dell'interesse immediato (acquisti in Romagna e in Puglia), non abbastanza accorto da prevedere e prevenire gli ulteriori sviluppi, di cui aveva posto le basi.
Più rettilinea la politica orientale, a difesa dai Turchi, culminata con l'annessione definitiva dell'isola di Cipro (1489), ma anche, per l'inettitudine del Grimani, con la sconfitta navale all'isola della Sapienza.
Bibl.: Malipiero, Annali veneti, in Archivio storico italiano, VII (1843), pp. 676 segg.; M. Sanudo, Vitae ducum veneticorum, in Muratori, Rerum Italicarum Script., XXII, pp. 1194 segg.; id., I Diarî, Venezia 1879-99, IV, pp. 113, 181 segg.; E. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, Venezia 1824-53, IV, p. 495; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, Venezia 1853-61, IV-V; H. Kretschmayr, Geschich. von Venedig, II, Gotha 1920, p. 367; M. Brunetti, Due dogi sotto inchiesta: Agostino Barbarigo e Leonardo Loredan, in Arch. Veneto-Tridentino, VII (1925), p. 278 segg.; F. Nani-Mocenigo, Testamento del doge Agostino Barbarigo, in Nuovo Arch. Veneto, n. s., XVII (1909), p. 234 segg.