GAGLIUFFI (Galjuf), Marco Faustino
Nacque il 15 febbr. 1765 a Ragusa, in Dalmazia, da Ivan e Kata Marcovich. Iniziati gli studi presso le locali Scuole pie, venne inviato quindicenne a Roma, dove entrò nell'Ordine degli scolopi e frequentò il collegio Nazareno fino al corso di teologia. Notevole influsso sulla sua formazione ebbero due ragusei che si trovavano a Roma in quegli anni, R. Cunich e B. Stay.
Dal novembre 1785, prima ancora di essere ordinato sacerdote, insegnò retorica a Urbino, da dove passò nel 1788 al collegio Calasanzio di Roma.
Ascritto fin dal 1784 in Arcadia con il nome di Chelinto Epirotico, partecipò regolarmente alle adunanze, presentando per lo più elegie, epigrammi e sermoni latini; dal 1792 furono frequenti anche le sue versioni estemporanee in latino di componimenti volgari recitati da altri pastori arcadi: particolarmente celebri, nel gennaio 1794, quelle dei versi dell'improvvisatrice Teresa Bandettini. Nel 1796 gli venne commissionata un'orazione in memoria del cardinale A. Corsini (De laudibus Andreae Corsini cardinalis oratio, Romae 1796). Nel gennaio 1797 entrò a far parte del Collegio dei dodici d'Arcadia.
Quando, il 15 febbr. 1798, fu proclamata la Repubblica Romana, egli figura, con G. Solari e G.V. Petrini, fra gli scolopi che vi aderirono. Le notizie di una sua precedente attività filofrancese sono dubbie, e d'altra parte più volte si era espresso contro le idee rivoluzionarie, ma è certo che prese posizione in favore del nuovo governo con una lettera pubblicata nella Gazzetta di Roma del 21 febbraio. Due giorni dopo tenne in piazza S. Pietro l'orazione funebre per M.-L. Duphot (il generale la cui uccisione aveva costituito per le armate francesi pretesto per l'occupazione di Roma), salutando la fine del potere temporale e il ritorno della religione di Roma alla sua "naturale semplicità".
Ottenuta la secolarizzazione collaborò forse alla stesura della Costituzione romana. In marzo venne chiamato a far parte dell'Istituto nazionale, in cui fu fra i membri più vicini al presidente E.Q. Visconti, e del Tribunato, una delle due Assemblee legislative della Repubblica. Figura inoltre, insieme con L. Lamberti e S. Breislak, fra i redattori del Monitore di Roma, il giornale diretto dall'ex scolopio U. Lampredi, cui collaborò fino al settembre.
In Tribunato fu eletto per primo alla presidenza mensile, e rimase anche in seguito uno fra i membri più attivi e influenti. Di là dalla retorica classicheggiante di molti interventi, risaltano le sue iniziative in materia economica e giuridica, e il suo impegno per favorire la formazione di uno "spirito pubblico". Nei primi mesi del 1799 si distinse per gli attacchi mossi dall'Assemblea alle negligenze e alle malversazioni del potere esecutivo.
Complessivamente nella sua azione e nei suoi scritti, accanto a istanze illuministiche, a esigenze di riforma religiosa e a motivi rousseauiani, particolarmente evidenti nel piano per le scuole primarie proposto all'Istituto nazionale, appare presente la volontà di scongiurare una rottura radicale rispetto ai valori cristiani. Tale atteggiamento, già manifesto, fra l'altro, nell'opposizione al progetto di C. Della Valle sull'elezione dei parroci, si evidenzia maggiormente dopo la sua uscita, per sorteggio, dal Tribunato.
Nominato nel giugno 1799 professore e prefetto degli studi al Collegio romano, fu lo stesso Monitore a denunciare il suo riavvicinamento agli ambienti e alle posizioni dei cattolici moderati. Non stupiscono quindi i buoni rapporti che egli strinse in seguito con esponenti della Curia romana quali i cardinali B. Pacca e G. Spina, e con gli stessi superiori delle Scuole pie.
Caduta la Repubblica si rifugiò con i Francesi a Civitavecchia dove venne arrestato per breve tempo. Nel giugno 1800 era a Parigi: protetto dal Visconti e da P.-C.-F. Danou, ottenne di restarvi malgrado il decreto di espulsione degli esuli italiani, con un sussidio. Dopo la battaglia di Marengo celebrò con un Discorso a stampa Napoleone Bonaparte, confidando nella sua missione di portare all'Italia pace, unità, indipendenza, costituzione, ed esprimendo la gratitudine dei rifugiati verso la nazione francese che li aveva accolti. Nel 1801 G. Sauli e L. Lamberti fecero stampare presso l'editore parigino Didot i Versi estemporanei di Francesco Gianni colla traduzione improvvisa di F. G., declamati in settembre in casa dell'ambasciatore ligure G. Fravega, di cui G. era divenuto segretario.
L'adesione al nuovo ordine napoleonico che - di là dagli aspetti di opportunità sembra ben corrispondere alle esigenze di moderazione già espresse nel corso della Repubblica - si confermò a Genova dove il G. seguì il Fravega, richiamato in patria nel novembre 1802. Qui ritrovò il Solari, di cui fu collega nell'Istituto ligure e all'Università, in cui entrò nel 1803 come professore di eloquenza e bibliotecario. Nell'ambito della riforma dell'università (1805) passò agli insegnamenti di lingua, storia e letteratura italiana e, successivamente, latina. Nel 1810, completati gli studi legali, ottenne l'incarico di insegnare diritto romano e francese. Eseguì allora una traduzione completa del codice napoleonico in distici elegiaci di cui rimane un brano pubblicato dal Poligrafo del Lamberti (12 genn. 1812, pp. 19-22). Contemporaneamente intraprese la carriera forense acquistando fama come penalista.
Al crollo dell'Impero passò a insegnare istituzioni criminali; indicato nei rapporti della polizia sabauda come massone e fautore del partito indipendentista genovese, il 1° nov. 1816 venne estromesso dall'insegnamento. Da questo momento si dedicò prevalentemente all'attività letteraria.
La fama di improvvisatore latino, che ormai lo accompagnava nei suoi continui viaggi per l'Italia centrosettentrionale gli aprì ovunque le porte dei salotti aristocratici e delle accademie. Nell'ambito del fenomeno peculiare dell'Italia dell'epoca rappresentato dal grande successo dei poeti estemporanei, al G. venne attribuito un primato incontrastato nell'improvvisazione in versi latini. I contemporanei ne lodarono la padronanza della lingua e della metrica, l'abilità con cui trasponeva in latino soggetti moderni, le doti di memoria e di sintesi, l'espressività mimica. Un buon numero dei suoi componimenti estemporanei vennero pubblicati in fogli volanti, in giornali o in raccolte, mentre i suoi epigrammi furono raccolti e pubblicati postumi da G.A. Scazzola (Inscriptiones, Alexandriae 1837).
A Genova, dove risiedeva presso il Fravega, frequentava le riunioni letterarie tenute nella villa di G.C. Di Negro, suo allievo e compagno di viaggi; fu negli anni appena seguenti che il G. incontrerà Stendhal e G.G. Belli. Nel 1817 la sua riduzione di un poema estemporaneo di T. Sgricci fu molto apprezzata. Nel novembre dello stesso anno, vide la luce a Milano la sua prima raccolta di improvvisi (Alcuni versi estemporanei… raccolti in Milano dai suoi amici), testimonianza dei rapporti con V. Monti, E. Visconti, F. Saurau e L. di Breme, che ne fu il curatore.
Accanto ai versi improvvisati lasciò anche alcuni componimenti meditati, anch'essi generalmente caratterizzati dall'occasione e dal tono celebrativo. Il più ampio e significativo di questi è il Navis Ragusina. Idillyum…, pubblicato all'interno di una raccolta di versi per il varo di una nave degli armatori ragusei Stanich (cfr. Körbler, p. 208), che offrì al G. l'occasione per celebrare la sua terra natale, lamentarne il saccheggio patito nel 1806 e passare in rassegna i suoi uomini celebri, affidando all'imperatore le speranze di un migliore futuro.
Il componimento fu ristampato a parte lo stesso anno a Lucca, insieme con la traduzione italiana di L. Papi e con alcuni scherzi estemporanei tradotti dalla Bandettini e da C. Lucchesini. A Lucca dette alle stampe pure un epitalamio per le nozze di Maria Teresa di Savoia con Carlo Ludovico di Borbone, principe ereditario di Lucca (Philotea pronuba, 1820): parte - insieme con il precedente idillio Quod felix fortunatumque sit reginae Mariae Theresiae (Genuae 1819, ripubblicato col titolo Pietas domestica, Niceae 1819) composto per la guarigione della regina - di una vena elogiativa della monarchia sabauda che, prima di attenuarsi sotto Carlo Felice, forse contribuì a fargli ottenere nel 1820 una pensione dall'Università di Genova.
Fra il 1821 e il '22 era nuovamente in Toscana; a Prato ritrovò il Lampredi e pubblicò alcuni Versi estemporanei sulla processione del venerdì santo (1822). Nel 1825 era a Milano, dove una sua lunga ode alcaica - Imperatore Francisco Mediolanum solemniter ingressuro, in onore della la visita di Francesco I - ottenne immediatamente diverse traduzioni, fra cui quella del suo allievo F. Romani.
Nell'autunno dello stesso anno accompagnò il conte F. Annoni in un viaggio attraverso la Svizzera e la Baviera che si concluse a Verona dove ritrovò I. Pindemonte e dove, nel 1826, furono stampati i versi improvvisati nel tragitto (Scherzi estemporanei latini… in occasione di viaggio per la Svizzera, Monaco e Verona), fra i prodotti migliori e più originali della sua poesia estemporanea. Nello stesso anno altre due raccolte pubblicate a Venezia (P.A. Paravia, G. a Venezia) e ad Alessandria - dove soggiornò spesso anche in seguito - (Versi estemporanei latini detti in Alessandria…) testimoniano il successo riscosso nelle due città, mentre una terza, stampata a Torino, conserva i Versi latini detti in fin di tavola all'improvviso… in casa della signora contessa Valperga di Masino. Tre anni dopo furono stampati a Milano gli Scherzi poetici latini improvvisati nel settembre 1828 nella villa del conte M. Lomellini Tabarca presso Novi Ligure, che il G. frequentò dal 1807.
Nel luglio 1831 re Carlo Alberto lo nominò nuovamente bibliotecario dell'Università di Genova, e il G. lo ringraziò con una serie di epigrammi in onore suo e della dinastia sabauda. L'anno successivo il re lo inviò a Parigi, con il compito ufficiale di cercare memorie e documenti su casa Savoia, e con quello, segreto, di riferire sui movimenti dei fuorusciti italiani. Resta incerto se il G., che aveva seguito con preoccupazione la rivoluzione del luglio 1830, abbia effettivamente assolto al secondo incarico.
Tornato in Italia si dedicò alla stesura della sua opera maggiore: lo Specimen de fortuna Latinitatis (Torino 1833), un trattato sulle vicende e lo stato della lingua latina accompagnato da una selezione di poesie meditate, e da una collezione di versi estemporanei curata dal suo allievo N. Pavese (Poemata varia meditata et extemporalia), in cui figuravano numerose poesie inedite o apparse su fogli volanti, accanto a estratti delle raccolte precedenti, talvolta purgate dei riferimenti politici.
In contrasto con l'idea di un declino inarrestabile della lingua latina dalla fine dell'età di Augusto, il G. individuava nell'umanesimo e nel Rinascimento il momento di una sua vera resurrezione, cui aveva fatto seguito una nuova fase di decadenza dovuta alla concorrenza del francese. Dal confronto con le altre lingue essa appariva la più adeguata alla comunicazione fra popoli diversi, e in particolare fra i dotti. Dopo aver indicato alcuni precetti per il suo insegnamento, il G. sottolineava quanto il latino fosse adatto agli studi scientifici e ai cultori di belle lettere ma, soprattutto, indispensabile alla religione, concludendo che il suo abbandono nel culto e nella lettura delle Sacre Scritture avrebbe disgregato l'unità stessa del cattolicesimo. La difesa del latino travalicava così i confini letterari per assumere quelli di una battaglia di civiltà, e nelle lettere del periodo il G. le conferiva toni da crociata contro l'incombente barbarie rappresentata da "infrancesati", romantici e nemici della S. Sede. Lo scritto dunque si inseriva tardivamente nelle polemiche sulla letteratura romantica - nei confronti della quale il G. già negli anni precedenti si era espresso negativamente - incontrando le favorevoli recensioni di diversi periodici, fra cui la Biblioteca italiana e il Giornale arcadico. Quest'ultimo seguiva fin dal 1819 l'attività del G., avendo pubblicato i suoi improvvisi e recensito le sue stampe; con due redattori, L. Biondi - già suo collega in Arcadia - e S. Betti, il G. manteneva un rapporto epistolare che testimonia la comune visione della letteratura imperniata sul primato della tradizione classica, ma anche la stima di cui egli godeva come latinista.
La pubblicazione dello Specimen nelle intenzioni del G. doveva anche servire a ben disporre le autorità pontificie in vista di un suo ritorno a Roma, progetto più volte accarezzato fin dal 1814, mai realizzato, tuttavia, a causa dei suoi trascorsi repubblicani del 1798-99. Nel 1833 il G. ne scriveva a più riprese ai suoi corrispondenti romani, mentre ipotizzava una seconda edizione dello Specimen e attendeva alla composizione di un inno a s. Giuseppe Calasanzio.
Dopo una breve malattia, il G. morì a Novi Ligure il 14 febbr. 1834.
Per elenchi e indicazioni degli scritti del G. cfr. Giannini e Picanyol (Un insigne latinista…) e inoltre: Iugoslaviae scriptores Latini recentiores, pars I, t. I, pp. 210-213; CLIO, Catal. dei libri ital. dell'Ottocento, Milano 1991, p.2015;Biblioteca di fra Innocenzo Ciulich nella libreria de' rr. pp. francescani di Ragusa, Zara 1860, ad ind.; L. Lume, L'Archivio storico di Dubrovnik, Roma 1977, p. 35; P.O. Kristeller, Iter Italicum, V, London 1990, p. 439.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Segreteria dei memoriali e dataria, vol. 5, c. 59; Giunta di Stato (1799-1800), ff. 233, c. 13v; 235, c. 219rv; Roma, Arch. dei padri scolopi, Miscellanea, E.III.11, Reg. L. Sc., 308; Dom. Gen., 8, 62, 64; Ibid., Bibl. Angelica, Arch. dell'Arcadia, VIII, c. 74v: Atti arcadici, VII; Ibid., Bibl. Vallicelliana, Falzacappa, Z.75, cc. 120v, 128; Ibid., Bibl. nazionale, Autografi, 62, nn. 42, 45; Bibl. apost. Vaticana, Autografi Ferrajoli, Raccolta Ferrajoli, 5929-5946; Parigi, Archives du Ministère des Affaires étrangeres, Mémoires et documents, Italie, 13, nn. 65, 82 ss., 110 ss., 116 ss.; Ibid., Archives nationales, F7 7733, f. 1, n. 196; F15 3511; Arch. di Stato di Genova, Università, 53 (88), 68, 84, 92, 135, 136 (91), 240, 1440; Firenze, Bibl. nazionale, Mss. C.V. 453 bis, nn. 12 s., 41, 54; Mss. V 53, n. 76; Gonnelli 17, n. 62; Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori, cart. Gagliuffi; Alessandria, Bibl. comunale, Mss. 61.
Monitore di Roma, s. 1 (1798), pp. 22 s., 75, 86, 98, 104 s., 134, 141 ss., 149 ss., 158 ss., 169, 175, 237 s., 309, 325, 368, 401 s., 417, 434, 449 s., 469 s., 485, 548 s.; s. 2 (1798-99), pp. 6, 15, 43, 346, 369, 423; s. 3 (1799), pp. 21 s., 28, 37, 40, 93; s. 4 (1799), pp. 33, 106; Collezione di carte pubbliche, proclami, editti, ragionamenti…, I, Roma 1798, pp. 48 ss., 85, 237, 254, 362; C.L. Fernow, Römische Studien, II, Zürich 1806, pp. 397 s.; C. Lucchesini, Opere, Lucca 1832, IX, p. 70; XII, ibid. 1833, pp. 189-207; D. Strocchi, Lettere edite ed inedite, a cura di G. Ghinassi, Faenza 1868, II, pp. 92 s.; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, I-VI, Firenze 1928-31, ad indices; G.G. Belli, Lettere, giornali, zibaldone, a cura di G. Orioli, Torino 1962, p. 98; L. di Breme, Lettere, a cura di P. Camporesi, Torino 1966, pp. 482-488; Assemblee della Repubblica Romana del 1798-1799, a cura di V.E. Giuntella, I, Bologna 1954; II-III, Roma 1977-93, passim; G.A. Sala, Diario romano degli anni 1798-1799, a cura di V.E. Giuntella, Roma 1980, ad indicem.
Per l'inaugurazione del busto di F. G. nella villetta Di Negro, Genova 1834; G.A. Scazzola, Cento canzoncine… seguite da alcuni fiori sparsi sulla tomba di M.F. G., Alessandria 1835, pp. 119-151, 170 ss.; V. Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati, Milano 1839, pp. 656 s.; A. Gennarelli, Sull'Italiade del cav. Angelo Maria Ricci, Perugia 1840, pp. 27 ss.; Giornale arcadico, LXXXVI (1841), p. 92 (Indice con indicaz. degli articoli del G.); CXXI (1849), pp 156 ss.; T. Vallauri, Inscriptiones, Augustae Taurinorum 1866, p. XVIII; E. Celesia, Storia dell'Università di Genova, II, Genova 1867, pp. 86, 128, 168 ss., 174 ss., 196, 231 s., 339 ss.; Id., La Biblioteca universitaria di Genova, Genova 1872, pp. 4-7; A. Vitagliano, Storia della poesia estemporanea nella letteratura italiana, Roma 1905, pp. 132 ss., 138, 178; P. Hazard, La Révolution française et les lettres italiennes, Paris 1910, pp. 355 s.; Đ. Körbler, Dubrovcanin Marko Faustin Galjuf (Gagliuffi), posledni nas zatniji latinist, in Rad, 1912, pp. 182-249 (riassunto in Bull. international de l'Académie Yougoslave de sciences et de beaux-arts. Classes d'histoire et de philologie…, I [1934], 3, pp. 35 s.); L. Rava, Il cittadino G., raguseo, presidente del Tribunato della Repubblica Romana nel 1798, in Nuova Antologia, 16 maggio 1919, pp. 144-157; G. Giannini, Un insigne latinista raguseo ingiustamente dimenticato, in Arch. storico per la Dalmazia, II (1927), pp. 11-30, 119-122; U. Viviani, Un genio aretino: Tommaso Sgricci, Arezzo 1928, p. 84; A. Segre, Il primo anno del ministero Vallesa (1814-1815), Torino 1928, p. 395; N. Vaccaluzzo, Fra donne e poeti nel tramonto della Serenissima, Catania 1930, pp. 222, 306; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LIX (1932), pp. 155, 175, 179; Id., Informazioni di polizia sull'ambiente ligure (1814-1816), ibid., LXI (1933), pp. 444 s.; U.V. Cavassa, Una villeggiatura genovese di cento anni or sono, in Il Raccoglitore ligure, II (1933), 2, pp. 1-3; L. Picanyol, Un insigne latinista. M.F. G., Roma 1934; Id., in Parva Bibliotheca Calasanctiana, XII (1934), pp. 26 ss.; XIV (1935), pp. 8, 26 ss.; Id., Un grande amico di Alessandria, il latinista F. G., in Alexandria, VI (1938), 8-10, pp. 249-254; Id., in Rass. di storia e bibliogr. scolopica, I (1937), p. 7; II (1937), pp. 11, 22 ss., 31; III (1938), pp. 20 ss., 64; VII (1940), pp. 38-54; IX (1941), p. 5; XIII (1943), pp. 38 ss.; XV (1950) - XVIII (1951), passim; XIX-XX (1952), p. 87; XXI-XXIII (1955), p. 151; XXIV-XXV (1956), pp. 38, 154, 178, 206, 216 s., 227, 233 s.; Id., L'eco dei nostri centenari, Roma 1945, II, pp. 22, 26 ss.; VII, ibid. 1947, pp. 18 s.; V.E. Giuntella, La giacobina Repubblica Romana (1798-1799). Aspetti e momenti, in Arch. della Soc. romana di storia patria, LXXIII (1950), pp. 16, 21, 48 ss., 81, 87, 133, 147 ss.; R. Boudard, L'organisation de l'Université et de l'enseignement secondaire dans l'Académie impériale de Gênes…, Paris-La Haye 1962, pp. 31 s., 102, 136, 139; Hvratski latinisti (Latinisti croati), II, Zagreb 1970, pp. 895-921; A. Cretoni, Roma giacobina, Roma 1971, ad ind.; V. Gortan, Les derniers latinistes croates de Dubrovnik (Raguse), in Acta conventus neo-latini Lovaniensis, München 1973, pp. 270-273; D.R. Armando, Gli scolopi nelle istituzioni della Repubblica Romana del 1798-1799, in Studi romani, XL (1992), 1-2, pp. 38-54; Id., Gli scolopi e la Repubblica giacobina romana: continuità e rotture, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, V (1992), 1, pp. 224, 229 ss., 237 ss., 249, 252 ss.; Id., La "vertigine" nel chiostro. Gli scolopi romani nella crisi giacobina, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, VII (1992), pp. 245-271, 274 s., 289 ss., 296-304; A.M. Rao, Esuli: l'emigrazione politica ital. in Francia. 1792-1802, Napoli 1992, pp. 386 ss.; M.P. Donato, Lo specchio di un progetto politico: l'antichità nella Repubblica giacobina romana, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, VII (1994), 1, pp. 88, 93 s.; M. Formica, Nuove fonti per lo studio della Repubblica romana del 1798-1799, in Roma moderna e contemporanea, IV (1996), 1, pp. 242, 245; Id., La città e la rivoluzione. Roma 1798-1799, Roma 1994, ad ind.; Biographie universelle, V, ad vocem; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, V, ad vocem; Enc. Italiana, XVI, p. 255.