FILIPPI, Marco
Poeta di origine calabrese, nacque intorno al 1520, come si desume da riferimenti interni della sua opera, presumibilmente a Scigliano (ora in provincia di Cosenza).
Alla giovinezza del F. risale la composizione delle Lettere sopra il Furioso dell'Ariosto in ottava rima, note anche come Epistole heroide, che furono pubblicate postume "con alcun'altre rime dell'istesso autore" (Venetia, G. Varisco & compagni, 1584) dal figlio Ottavio, il quale, proprio perché esse erano "frutti" dell'"adolescenza" del poeta e non raggiungevano la "bontà dell'altre opere da lui stesso in più matura età composte", ne affidò la revisione a Giacomo Bosio, gentiluomo dell'Ordine di Malta.
Nella stessa raccolta curata da Ottavio sono anche comprese le Rime diverse (trentotto sonetti preceduti da una canzone "Italia mia tu ti lamenti indarno", destinata a celebrare la pace asburgica e la potenza di Filippo II). Nella silloge si trovano accenni alla topografia della Calabria meridionale ("Il lido ov'hebbe già l'antica Scilla / l'incauto Amante, e i fati assai contrari"), che fanno pensare ad una fase giovanile dell'attività poetica; ma vi compaiono anche allusioni a vicende storiche occorse verso la fine degli anni Cinquanta (la morte di Carlo V e quella di Enrico II) o alle private disgrazie del poeta (forse la reclusione iniziata nei primi anni Sessanta).
Vissuto a lungo a Bagnara, tanto da essergliene riconosciuta la cittadinanza, il F. si trasferì a Palermo, dove frequentò l'Accademia dei Solitari. Il soggiorno palermitano fu decisivo nella sua vita, oltre che per le scelte letterarie, anche per le sue vicende personali, al centro delle quali si colloca un oscuro fatto religioso-giudiziario, che ne segnò tragicamente il destino. Non sono del tutto chiare, comunque, le circostanze che lo fecero incappare nei rigori dell'Inquisizione; ufficialmente venne incolpato di aver subornato dei testimoni ("sedutor y inducidor de los quatro testigos falsos": Garufi, 1913, p. 305) per avvalorare la sua accusa di eresia contro un prete, "prior de un convento de San Bernardo". Risulta dai suoi versi che egli fu rinchiuso nel 1561 nel carcere di Castellammare di Palermo e che due anni dopo, compreso nell'elenco degli accusati "por opiniones luteranas", fu ammesso alla "riconciliazione", che venne celebrata con un pubblico autodafè il 13 apr. 1563.
Proprio durante questa detenzione il F. compose o, in ogni caso, mise insieme una raccolta di versi, comprendente una Vita di santa Caterina…, le Rime spirituali et alcune stanze della Magdalena a Christo (Palermo, G. M. Maida, 1562), che rappresenta il momento più significativo della sua attività poetica.
Sembra che sia solo un fraintendimento la notizia, ripresa dal La Mantia (1977, p. 69), che il F. venne "rilasciato" al braccio secolare e quindi arso nel corso del ricordato autodafè. Non si conosce, comunque, la data della sua morte, avvenuta sicuramente prima del 1579, come risulta dalla lettera del figlio Ottavio a Gian Gaspare Fardella, premessa alle Lettere sopra il Furioso dell'Ariosto.
Oltre alla Vita di santa Caterina...,pubblicata in successive edizioni a Messina 1635, 1715, ed alle Lettere sopra il Furioso dell'Ariosto, secondo i desideri che il F. esprime nella lettera a G. G. Fardella del 10 dic. 1562 (premessa alle Rime spirituali), avrebbero dovuto vedere la luce il Dialogo di Androgeno padrone e Ocrane cavallo, una "vita di David, con un raccoglimento e discorso del Testamento Vecchio e Nuovo dal principio del Mondo insino ad oggi", tutte opere allora progettate, ma non si sa se realizzate.
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