Camillo, Marco Furio
Più volte console e dittatore, C. (circa 446 - 365 a.C.) è celebre per le vittorie riportate sui Veienti, che si erano ribellati a Roma, e sugli invasori Galli. Le sue gesta vengono richiamate nei Discorsi, dove gli è concesso l’eccezionale onore (accordato soltanto ad altri sette personaggi antichi, tutti romani eccetto Annibale) di essere menzionato nel titolo di un capitolo (il xxiii del III libro): Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma. Citando Livio (Ab urbe condita libri V 26), M. rileva come i soldati lo ammirassero e insieme lo odiassero:
Quello che lo faceva tenere meraviglioso era la sollicitudine, la prudenza, la grandezza dello animo, il buon ordine che lui servava nello adoperarsi e nel comandare agli eserciti; quello che lo faceva odiare era essere più severo nel gastigargli che liberale nel rimunerargli (§ 5).
La replicata esaltazione delle virtù di C. – «prudentissimo di tutti i capitani romani» (xii 25) o «esemplo di umanità e di piatà» (xx 5) – e la sua assenza tanto nel Principe quanto nell’Arte della guerra suggeriscono che la sua figura abbia, nella visione di M., una caratura strettamente ‘repubblicana’. Le sue virtù, infatti, si riscontrano positivamente con punti decisivi della precettistica politica di M., quali l’uso prudente della religione per realizzare il bene comune (I xii-xiii) e il modo che gli Stati devono tenere nell’ampliare, fuggendo le vie di mezzo. In entrambi i casi, la Roma repubblicana è il modello da imitare, e C. incarna l’esempio migliore che si possa addurre; ma nel secondo caso il rilievo di C. è accentuato per l’inusuale ampiezza della citazione latina. In II xxiii 10, M. riporta infatti un lungo brano di Livio che contiene il discorso tenuto da C. al senato per indicare come agire nei confronti dei popoli che si erano sottratti all’autorità romana. Questa magistrale pagina di storia rappresenta un nucleo vitale della teoria machiavelliana, già esattamente anticipata in uno scritto cancelleresco del 1503, dove dal medesimo capitolo liviano dal quale il Segretario ricavava le parole di C. traeva anche quelle che insegnavano a Firenze come «trattare i popoli della Valdichiana ribellati».