GINAMMI, Marco
Nacque a Venezia nel 1590 da Bartolomeo. La famiglia, originaria di Lavenone, nel Bresciano, si era trasferita nella città lagunare per le possibilità imprenditoriali che essa offriva. Il padre aveva intrapreso l'attività tipografica negli ultimi decenni del Cinquecento con il doppio cognome Alberti-Ginammi, probabilmente in seguito a una affiliazione o al matrimonio con una rappresentante di quella famiglia di stampatori veneziani.
Primo di cinque figli, il G. fu l'unico a continuare l'attività paterna, mentre la sorella Orsetta sposò lo stampatore Tommaso Baglioni. Per la stamperia e la libreria di sua proprietà il G. utilizzò, come già il padre, una marca tipografica raffigurante la Speranza (una donna volta verso il sole, appoggiata a un'ancora) e il motto, "in Deo est spes mea". Tale impresa, già utilizzata da altri nel Cinquecento, sopravvisse per tutto il secolo XVII, anche dopo la cessazione dell'attività dell'azienda, e potrebbe essere stata ispirata da una statua della Speranza di Iacopo Sansovino che si trova nella chiesa del Salvatore, accanto alla stamperia del Ginammi.
Il G. lavorò inizialmente alle dipendenze del padre. Durante questo periodo apparve il primo libro con la sua sottoscrizione, i Capricci del bottaio di Giovan Battista Gelli (1605). Furono anni di tirocinio, durante i quali, più che stampare, il G. frequentò le fiere librarie di tutta l'Europa e curò gli interessi della famiglia a Ragusa, in Dalmazia, nel settore della produzione di libri in lingua slava.
Il 24 ag. 1620 il G. richiese la propria immatricolazione alla corporazione dei librai, stampatori e rilegatori (Arch. di Stato di Venezia, Arti, Registro atti, b. 163, f. III, c. 2r). Nel 1625 si candidò alla carica di priore della corporazione, ma fu sconfitto da Antonio Pinelli, contro il quale coalizzò una parte degli stampatori, accusandolo di inosservanza dei regolamenti interni. Dietro la formalità degli addebiti si nascondevano ovviamente motivi di concorrenza professionale. Il Pinelli riuscì comunque a ottenere la revoca della sentenza emessa contro di lui dai provveditori di Comun.
Probabilmente durante uno dei suoi viaggi in Dalmazia, o presso la corte di Urbino, il G. strinse una duratura amicizia con Ludovico Zuccolo, simpatizzante delle tesi di Paolo Sarpi e fu in contatto con Cesare Cremonini (rappresentante, presso l'Università di Padova, di una linea di pensiero averroista e ateista). Dello Zuccolo il G. pubblicò, nei primi anni di attività autonoma, quasi tutte le opere. Tra queste si ricordano le Considerazioni politiche, e morali sopra cento oracoli d'illustri personaggi antichi (1621), i Discorsi dell'honore, della riputazione, della gloria del buon concetto (1623) e Il secolo dell'oro rinascente nella amicitia fra Nicolò Barbarico e Marco Trevisano (1629). Tale rapporto preferenziale si trasformò ben presto in una collaborazione redazionale, come sembrano provare le dediche che lo scrittore appose a opere non sue stampate dal Ginammi.
In questi stessi anni uscirono dai torchi dell'azienda, tra gli altri, il Discorso sopra Cornelio Tacito (1623) di Virgilio Malvezzi, le Theologicae disputationes de praedestinationeDei di Filippo Fabbri (1623) e una curiosa operetta di Francesco Pona, la Maschera iatropolitica, overo Cervello e cuore prencipi rivali aspiranti alla monarchia del microcosmo (1630).
La peste del 1628-30 bloccò la vita sociale e lavorativa veneziana per qualche tempo. Nel biennio successivo il G. interruppe la produzione, tanto da doversi rivolgere allo stampatore Giovan Battista Conzatti per la pubblicazione di un'operetta da lui stesso composta in occasione dei festeggiamenti organizzati per l'inizio della costruzione della chiesa della Salute, subito dopo la fine dell'epidemia (La liberazione di Venezia, 1631). Successivamente, lo si ritrova ai vertici dell'arte: gli atti della corporazione lo segnalano sindaco nel 1633-34, priore per qualche mese nella primavera del 1638 e di nuovo sindaco, subito dopo e nel 1641-43.
Nonostante disponesse di attrezzature limitate (un solo torchio in proprietà comune con un altro stampatore e una manodopera quasi interamente familiare), gli anni Trenta furono il periodo di maggiore fortuna dell'attività del Ginammi. Apparvero numerose nuove edizioni, importanti opere politiche e gli scritti sacri di Pietro Aretino (le cui opere non religiose erano state poste all'Indice).
Nell'ambito della produzione aretiniana si ricordano Dell'humanità del figliuolo di Dio (1628), la Parafrasi sopra i sette salmi della penitenzadi David (1629) e alcune opere che, stampate con lo pseudonimo di Partenio Etiro, sfuggirono alla censura (La sirena Marfisa e Angelica. Poemetti…, 1630; le Lettere, 1637; Le carte parlanti. Dialogo… nel quale si tratta del giuoco con moralità piacevole, 1650).
Nell'ambito delle pubblicazioni politiche il G. privilegiò il partito filofrancese (Anton Francesco Pellicani, Panegirico di Enrico IV, probabilmente del 1633; Ercole Piccolomini, Elogio della vita et attioni dell'ecc.mo… prencipe… Richelieu, 1637).
L'organizzazione del lavoro nell'officina era piuttosto rigida: il G. si occupava della revisione delle bozze e, con l'intento di proporsi anche nelle vesti di promotore culturale, scriveva molte delle prefazioni ai volumi che stampava; tre figli collaboravano alle attività manuali e alla conduzione dell'azienda. In particolare, i due più giovani (Giovanni Antonio e Tommaso) potevano saltuariamente stampare con il proprio nome alcune opere minori, mentre il primogenito Bartolomeo fu incaricato di seguire il settore dell'editoria orientale e per questo apprese, tra il 1634 e il 1635, le lingue slave e il turco.
La pubblicazione di testi in slavo era attività piuttosto diffusa a Venezia, e ormai da decenni praticata dalla tipografia Ginammi. Non si sa molto della natura di tali opere, in parte sicuramente religiose: tra il 1638 e il 1657 i Ginammi produssero almeno 24 edizioni, tra cui un pregiato Psaltir (1638) in rosso e nero, che riproduce lo psalterio dello stampatore slavo Jerolim Zagurovic, la cui officina era stata rilevata dai Ginammi alla fine del Cinquecento. Non è però noto se si tratti di stampe con caratteri cirillici o paleoslavi.
Proficuo settore dell'attività del G. furono le traduzioni, alcune delle quali curate da lui in persona. Nel 1633 apparvero i Saggi… overo Discorsi naturali, politici e morali di Michel de Montaigne. Dal 1634 al 1645 furono stampate opere di Nicolas Caussin, tra le quali La dama di corte (1634), tradotta da Maiolino Bisaccioni, Il politico infelice (1634) e La pietà fortunata (1635), questi ultimi tradotti da Antonio Cocastello e più volte ristampati sino al 1642. Di Bartolomeo de Las Casas apparvero la Istoria… della distruttione dell'Indie Occidentali (1626) e la Conquista dell'Indie Occidentali (1644). L'omogeneità delle traduzioni (che si segnalano per adesione letterale all'originale e presenza del testo a fronte) fanno presupporre per lo meno una supervisione del G. sul lavoro dei suoi collaboratori, tra i quali figurarono, oltre al già citato Cocastello, Giacomo Castellani e Girolamo Comini. Un certo rilievo rivestì anche la pubblicazione di opere di filosofia scotista, in particolare su committenza dei minori conventuali (Giovanni Duns Scoto, Quaestiones subtilissimae, 1625 e Gramatica speculativa, probabilmente del 1641).
A un consuntivo, nelle circa 170 edizioni prodotte dai Ginammi tra il 1605 e il 1654 prevalsero opere di letteratura, seguite da quelle di trattatistica e di religione. Queste ultime, nei formati in quarto e in ottavo, furono in genere le più curate, e spesso arricchite da ornamenti dell'incisore Francesco Valesio. Non mancò un settore di editoria clandestina: sembra infatti che dall'officina del G. sia uscito l'audace pamphlet di padre Antonio Rocco Alcibiade fanciullo a scola (datato, con falso anno di stampa, 1652), la cui edizione fu probabilmente promossa, finanziata e curata dal nobile Giovan Francesco Loredano, allievo del Cremonini e fondatore dell'Accademia degli Incogniti, la quale promosse la diffusione del pensiero libertino negli ambienti culturali veneziani della prima metà del secolo.
Alla stamperia il G. affiancò sempre l'attività di libraio. Nella sua bottega vendeva, oltre alle proprie, edizioni provenienti da tutta l'Italia, riuscendo così a finanziare le spese dell'officina tipografica. A tali redditi unì anche le rendite derivanti da investimenti terrieri.
Nei primi anni Cinquanta i registri dell'arte non riportano più la presenza del G., che in quel periodo dovette lasciare la gestione dell'impresa ai figli. L'immatricolazione di Bartolomeo, avvenuta nel 1653 (Arch. di Stato di Venezia, Arti, Registro atti, b. 163, f. IV, c. 45), avviò il periodo di declino dell'attività, che si limitò per lo più alla riproposta di opere stampate in precedenza.
Di lì a poco, sicuramente dopo il 1654, il G. morì. Nel 1668 l'impresa fu acquisita da Francesco Brogiolli.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Arti, Registro atti, b. 163, f. III, c. 2r; f. IV, c. 45r; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Florence 1905, p. 501; S.P. Michel - P.H. Michel, Répertoire des ouvrages imprimées en langue italienne au XVIIe siècle conservées dans les bibliothèques de France, IV, Paris 1972, p. 47; M. Napoli, L'impresa del libro nell'Italia del Seicento. La bottega di M. G., Napoli 1990.