Uno degli uccisori di Cesare (85-42 a. C.); ebbe un'elevata educazione retorica e filosofica, che affinò ad Atene; la sua formazione politica risale allo zio Catone Uticense, che lo allevò partigiano dell'oligarchia contro la quale s'erano battuti i suoi padri. Parteggiò per Pompeo contro Cesare; tra gli sconfitti di Farsalo, ottenne il perdono di Cesare, al quale B. dové anche l'ufficio di legato propretore nella Gallia Cisalpina (47-45) e di pretore urbano nel 44. Ma inquieto e malcontento del nuovo regime, sostanzialmente monarchico, fu attirato nella congiura contro Cesare, ne divenne uno dei capi e vibrò anch'egli il suo colpo di pugnale (15 marzo 44). Tentò allora di trascinare il popolo con la sua oratoria, ma non fu ascoltato e dovette fuggire da Roma. In Oriente preparò un forte esercito che, unito a quello di Cassio, si scontrò con quello dei triunviri a Filippi nel 42: dopo il secondo urto, quando le legioni, che avevano valorosamente combattuto, rifiutarono di continuare una battaglia ormai perduta, B. si uccise o si fece uccidere. Fu scrittore di opere di filosofia morale: De virtute, De officiis, De patientia (di tendenza accademica e stoica), ora perdute. Con Cassio, B. fu giudicato parricida dai partigiani del nuovo regime, esaltato invece dall'aristocrazia fedele alla tradizione repubblicana.
Il Medioevo cristiano e lo stesso Dante lo condannarono soprattutto per aver ucciso il fondatore dell'impero. Il Rinascimento al contrario ne fece il modello ideale dell'eroe classico. Il suo nome affiorò in molte congiure e Alemanno Rinuccini fece di B. una vera apologia nel De libertate. Grande favore ebbe anche presso i rivoluzionarî francesi della fine del sec. 18º.
Alla sua figura è ispirato il personaggio che compare nelle tragedie Julius Caesar, di W. Shakespeare, e Bruto secondo, di V. Alfieri.