GRADENIGO, Marco
È ignoto il luogo di nascita, la data potrebbe essere posta nell'ultimo decennio del sec. XIII. Infatti, già a partire dal 1341 il Quaternus Consiliorum, anche per distinguere il G. da altro omonimo, lo gratificò, seppure non costantemente, degli appellativi "maior", "senior", "senex"; e "senex", anche se riferito agli anni della rivolta (1363-64), lo definirono il De Monacis e il Trevisan, cronisti veneziani pressoché coevi. D'altra parte, se l'identificazione è esatta, il padre, nel 1304, chiese al Maggior Consiglio di essere autorizzato a trasferirsi da Candia a Venezia giusto allo scopo di seguire più da vicino l'educazione dei figli minori che risiedevano in quel periodo nella città lagunare. Quanto al luogo di nascita, questo potrebbe essere stato sia Candia, sia Venezia; l'incertezza è destinata a rimanere tale.
Circa la paternità, da smentire assolutamente il genealogista Marco Barbaro - e con lui tutti gli altri che ne hanno seguito pedissequamente le orme, dal Priuli al Cappellari Vivaro - che lo vuole figlio del doge Bartolomeo, il quale ebbe certamente un figlio di nome Marco, probabilmente coevo del G., ma in ogni caso altro dal feudatario candiota. Il padre fu quasi certamente un non meglio specificato Leonardo, patrizio veneziano appartenente al celeberrimo casato che diede alla Serenissima tre dogi, un numero sterminato di magistrati, anche di altissimo rango, diplomatici consumati, prelati di ogni ordine e grado, ma ascrivibile a un diverso ramo, ormai stabilmente radicato nell'isola e ripartito a sua volta in distinte famiglie, reciprocamente legate da vincoli di parentela più o meno stretti.
I Gradenigo di Candia, riflesso indiretto di quanto avveniva nei medesimi anni a Venezia, verso la metà del secolo XIV monopolizzavano in larga parte la vita politica della colonia, occupando stabilmente, unitamente ai Corner della Ca' Grande, Consigli e uffici, commissioni e incarichi pubblici, sino a costituire una sorta di riferimento d'obbligo per tutta la feudalità veneziana insediata nell'isola, della quale il G. divenne ben presto, per l'età e per il prestigio abilmente tesaurizzati, il capo indiscusso. La madre forse era una Corner.
Il G. ebbe quasi certamente un fratello, Andrea, che si sposò, particolare questo estremamente significativo, con Maria Calergi, appartenente alla più illustre e potente famiglia greca di Creta. Probabilmente ebbe anche altri fratelli e sorelle, ma il dato non trova più sicure conferme. Null'altro si conosce della sua famiglia; non si sa con certezza se si sposò e neppure se ebbe figli maschi, anche se in questo caso il silenzio delle fonti sembrerebbe confermare piuttosto il dato negativo; ebbe comunque una figlia, Mariçoli, che sposò un non meglio specificato Fradello, altra significativa famiglia di feudati veneziani, coinvolta alla pari dei Gradenigo nella ribellione del 1363-64. Ampiamente documentati i legami di parentela non solo con le maggiori casate veneziane dimoranti stabilmente a Creta, i Fradello appunto, i Corner, i Venier, ma anche con quelle greche più illustri e influenti, i Calergi tra tutte.
Come e dove abbia trascorso gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza non è dato sapere; forse li trascorse proprio a Venezia, dove il padre lo raggiunse nel 1304, trattenendovisi per almeno quattro anni. Dovette comunque far ritorno abbastanza presto a Creta, richiamato dai suoi interessi e dai suoi obblighi di feudato. Marco Gradenigo "maior", "senior", "senex" e "quondam Leonardi", sono da ritenersi quindi, con sufficiente margine di attendibilità, la stessa persona.
Omonimi coevi, anche se non del tutto coetanei, furono: Marco figlio di Giovanni, membro del Consilium rogatorum di Candia nel 1346, nel 1348 e nel 1349, contemporaneamente a Marco "quondam Leonardi" che in qualche occasione gli fece anche da garante (plezius); Marco "Spiritello", che durante la rivolta tenne un atteggiamento alquanto ambiguo e per questo fu fatto uccidere a tradimento da un altro Gradenigo, Leonardo; Marco, fratello di Micheletto, entrambi membri del Maggior Consiglio di Candia nel 1360; Marco di Nicolò, del quale nulla si conosce.
La presenza del G. nei Consigli di Candia è ampiamente documentata a far tempo almeno dal 1341, anno in cui venne eletto membro del Consilium rogatorum della città. Forse ne aveva fatto parte anche in precedenza, tuttavia l'assoluta mancanza di fonti documentarie anteriori al 1340 penalizza qualsiasi ipotesi al riguardo. Nel Consilium rogatorum il G. ritornò ancora, e più volte, con regolare cadenza annuale almeno a partire dal 1345. Membro permanente del Maggior Consiglio e del Consiglio dei feudati, nell'ambito del quale rivestì spesso l'incarico di camerarius, venne ripetutamente chiamato, quasi senza soluzione di continuità, a far parte di speciali commissioni incaricate di esaminare e di approfondire, e quindi di riferirne ai Consigli di competenza, questioni di particolare rilevanza per gli interessi dell'isola e della comunità veneziana che vi abitava. Al tempo stesso il G. fu ripetutamente inviato a Venezia nella veste di ambasciatore dei feudati di Candia. E proprio a partire dai primissimi anni della seconda metà del XIV secolo non vi fu problema a Candia che non vedesse il G. direttamente coinvolto, unitamente ad Alessio Corner "de domo maiori", a Pietro Querini "quondam Romei", a Marco Dandolo e a Marco Fradello, in una sorta di consiglio ristretto, di governo informale, depositario della fiducia incondizionata della dirigenza locale. Il prestigio maturato, la moderazione dimostrata, le indubbie capacità messe in evidenza, l'età, ne fecero ben presto, e proprio insieme col Corner, il capo maggiormente rappresentativo dei feudati veneziani, il referente più diretto per il duca - il rettore veneziano dell'isola inviato con cadenza triennale dalla madrepatria - ma anche, al tempo stesso, il suo più accreditato antagonista.
Scoppiata la rivolta fu scontata, e quasi soluzione obbligata, la nomina del G. a governatore di Creta da parte dei ribelli, una volta rifiutata ogni occasione di mediazione e di compromesso con il governo centrale e una volta scelta - imprigionati il duca, Leonardo Dandolo, e i suoi consiglieri, Giacomo Diedo e Stefano Gradenigo - la strada dello scontro frontale.
La rivolta dei feudati veneziani segnò un indubbio salto di qualità nei rapporti tra la madrepatria e la colonia atteso che, per la prima volta nel contrastato e difficile rapporto tra Creta e Venezia, a insorgere non fu l'aristocrazia greca, già spogliata di tutti i suoi diritti e di quasi tutti i suoi patrimoni e da sempre in fermento, bensì furono proprio quei medesimi feudati che la Serenissima aveva voluto a Creta a difesa, anche materiale, del possedimento. E l'esito non era, almeno in un primo momento, del tutto scontato. Molteplici le cause della sollevazione dei coloni veneziani, tutte riconducibili comunque all'inevitabile scollamento tra madrepatria e colonia, al conflitto di interessi che a medio termine non poteva non contrapporre feudati e governo centrale. Il pretesto fu in ogni caso l'imposizione di un nuovo dazio, deliberato dal Pregadi veneziano l'8 giugno 1363, destinato a finanziare gli indispensabili lavori di manutenzione del porto di Candia. Venuta a conoscenza della decisione, particolarmente onerosa per le sue finanze, la dirigenza locale, convocata dal duca l'8 agosto, gli fece notare come i benefici sarebbero ricaduti maggiormente sui mercanti veneziani prima ancora e più che sui coloni, sui quali soltanto sarebbero invece gravati gli oneri, invitandolo a non dare seguito al provvedimento. Venne anche suggerito di inviare a Venezia un'ambasciata incaricata di esporre al Pregadi le ragioni della colonia, nella speranza di un ripensamento. In ogni caso il rifiuto di pagare il nuovo dazio fu netto e irrevocabile. L'ostinazione del duca nel respingere le proposte dei feudati, e più ancora l'invito loro rivolto a sottomettersi di buon grado alla nuova imposizione, non fece altro che esacerbare gli animi di questi ultimi, già di per sé pericolosamente agitati da un diffuso sentimento di malessere nei confronti della madrepatria, da una malcelata aspirazione a una maggiore autonomia, e pure da risentimenti personali.
Questa miscela particolarmente esplosiva si arricchì anche del contributo interessato offerto dall'elemento greco, clero e aristocrazia, da sempre avverso ai Veneziani e ai Latini in genere, pronto a cogliere l'occasione propizia per l'ennesima sollevazione. Il tutto mentre da qualche anno erano morti Alessio Corner, Pietro Querini, Marco Dandolo, vale a dire i membri più anziani e moderati di quell'informale "direttorio" che, forse più ancora del duca inviato da Venezia, governava di fatto Candia e l'isola tutta. Il G. e Marco Fradello, gli unici sopravvissuti, per quanto influenti e ascoltati, non erano da soli sufficienti a guidare e moderare le passionali energie e le accese intemperanze di un nutrito gruppo di feudati più giovani, insofferenti della condizione di sudditanza in cui versavano rispetto ai magistrati inviati da Venezia, pronti anche a comprendere, a recepire e in qualche caso anche a far proprie le ragioni dell'etnia greca, nei confronti della quale, nonostante tutti i divieti, era in corso, e da tempo, un inevitabile processo di integrazione e di reciproca assimilazione.
La rivolta, guidata inizialmente da Tito Venier e Tito Gradenigo, due giovani feudati che anche nel battesimale esplicitavano la loro vicinanza ideologica al mondo greco, vide il concorso e il diretto coinvolgimento dei rispettivi casati, i più esposti e i più decisi a rescindere ogni legame con la madrepatria, di gran parte della feudalità veneziana, e ovviamente dell'aristocrazia greca, disponibile a sfruttare anche questa occasione per inseguire il miraggio del separatismo e dell'indipendenza. Da Candia la ribellione si estese immediatamente agli altri centri minori, Canea, Retimo, Sitia, a tutti i castelli; ovunque, particolare significativo, il vessillo di S. Marco venne abbassato e sostituito dallo stendardo di S. Tito, il patrono greco dell'isola.
Il G. fu nominato dai ribelli governatore ("gubernator ac rector") di Creta, affiancato da quattro consiglieri, Marco Fradello, Francesco Mudazzo, Andrea Pantaleo e Bartolomeo Grimaldo; del pari, anche negli altri centri dell'isola furono rimossi i magistrati inviati a suo tempo da Venezia e sostituiti con feudati fedeli alla causa della rivolta.
Non appaiono del tutto chiare le ragioni per le quali i rivoltosi affidarono il governo dell'isola proprio al G., l'esponente di punta di quella generazione di feudati legata alla madrepatria più di quanto potessero esserlo le generazioni più giovani e maggiormente coinvolte nei destini dell'isola, sostanzialmente più cretesi che veneziane. E non appaiono neppure chiare le ragioni per cui il G. - definito dal Caresini nantonio dott. Corà professore di umane lettere nel Seminario, e con altra italiana del chiarissimo Ex Gesuita Carlo Lotti" (Bernardi, p. 346), fu sepolto nel duomo della città. Anche la diocesi clugiense gli dedicò pubbliche esequie.
I beni e, soprattutto, le collezioni numismatiche del G. passarono al fratello senatore Giacomo (1721-96), anch'egli collezionista e amante dei classici, che le lasciò alla Biblioteca Marciana. Da questa, per disposizioni di legge, passarono al Civico Museo Correr (escluse le monete d'oro, vendute prima del 1800 al barone di Schellersheim, che ne pubblicò un catalogo). Secondo il contemporaneo E.A. Cicogna un'altra parte della raccolta fu ceduta da Vincenzo Piero Gradenigo (1790-1849), erede di Giacomo, al Gabinetto reale di Torino.
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