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LAMBERTI, Marco

di Girolamo De Miranda - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)
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LAMBERTI, Marco

Girolamo De Miranda

Nato in Toscana, forse a Figline Valdarno, nella seconda metà del XVI secolo, è ipotizzabile che, benché di animo incostante, riuscisse a concludere il cursus degli studi grazie a una brillante intelligenza. Fu in contatto con l'Accademia della Borra, sorta a Firenze nel primo decennio del XVII secolo e dedita alla lirica giocosa: preziose dovettero essere per la sua maturazione le relazioni con Alessandro Allegri e Girolamo Leopardi, membri fondamentali del consesso. Fin da giovane fu sensibile alla vita mondana fiorentina. Tra le conquiste amorose, di cui si vantava nei versi, figuravano creature umili come alcune religiose di fama. Fu amico del padre di Giovanni Cinelli Calvoli, Domenico, che ebbe nella sua biblioteca codici con rime licenziose del L., illustrate da disegni di eguale spregiudicatezza. Alla fine del Cinquecento il L. entrò a servizio della famiglia Strozzi, vi restò vent'anni e agli inizi del Seicento seguì un membro di quella casata presso la corte pontificia. La vita romana gli apparve falsa e limitante; gli alti ecclesiastici gli sembrarono superbi e avari: per costoro scrisse sonetti sferzanti e capitoli feroci. Si dimostrò critico in modo particolare verso Paolo V e la corte elegante di Scipione Borghese Caffarelli.

Tornato a Firenze, non rinunciò a una vita spregiudicata. Nel 1620 finì in carcere, al Bargello, e la prigionia non fu breve. Allo scopo di accelerare la liberazione, il 7 luglio indirizzò al cardinale Carlo de' Medici una parafrasi in ottava rima dei sette Salmi penitenziali con una lettera piena di contrizione. Raggiunse il suo scopo, ma non ebbe un rapporto facile con Cosimo II ed è difficile credere che per davvero mutasse abitudini in modo definitivo. Quello del 1620 non fu l'unico contatto con le prigioni del Bargello.

Visse tempi migliori sotto Ferdinando II. Il granduca probabilmente intravide nelle sue invettive uno strumento di propaganda antispagnola, l'espressione di un disagio condivisibile. Il 26 genn. 1629 il L. divenne preposto della collegiata maggiore di San Casciano in Val di Pesa; ebbe anche l'incarico di curare la chiesa di S. Maria ad Argiano. Con il beneplacito del granduca gli era concessa la provvisione di 18 scudi mensili e a Benedetto Guerrini, segretario di camera di Ferdinando II, inviava in dono prodotti della campagna. Lontano dalla corte, ora il L. viveva in maniera tranquilla ma desiderò presto tornare nella capitale con incarichi più remunerativi, per esempio come priore della chiesa fiorentina di S. Romualdo. È forse legata a tale progetto la composizione di nuove parafrasi: del Pater noster e dell'Ave Maria. Era necessario mostrare capacità e devozione.

Il L. si distinse per abnegazione durante le epidemie di peste del 1630 e del 1633. La diffusione del morbo fu occasione per scagliarsi contro la codardia e l'inerzia di molti religiosi, incapaci di fornire un aiuto concreto. La sua musa gli ispirò in quei frangenti accenti commossi, sinceramente concentrati sul mistero della morte e, prima ancora, sul coraggio necessario per affrontare il dolore.

Il L. ebbe rapporti difficili con il S. Uffizio. Inoltre la polemica contro l'universo spagnolo non era facilmente sostenibile dalle autorità politiche toscane, e diveniva in qualche modo persino imbarazzante quando includeva con asprezza alcune cariche del mondo ecclesiastico. Il L. si accanì contro i cardinali di Urbano VIII e contro il pontefice stesso. I diverbi si mutarono talvolta in vere e proprie colluttazioni: aggredì fisicamente finanche un frate francescano. Fu processato, gli fu sottratta la prevostura di San Casciano e tornò al Bargello. Riteneva però di poter ottenere nuovamente la carica perduta e per giungere al suo scopo scrisse numerose liriche, con le quali irrideva, se non sembrava addirittura minacciare.

In miseria, si fece cortigiano dei Capponi e, più mite, tornò presso la corte del granduca. Con il tempo riebbe la sua chiesa e aspirò a nuovi benefici ecclesiastici che tuttavia non giunsero mai. Per Ferdinando II compose sette sonetti caudati, prove di fedeltà e inaspettata pazienza. Fu un estimatore di Galileo Galilei: a Iacopo Soldani confidò, agli inizi del 1636, di volere incontrare presto lo scienziato, in forzato isolamento stabilito dalle autorità. Il L. morì a San Casciano in Val di Pesa il 15 nov. 1637.

La produzione letteraria del L. è quasi totalmente manoscritta e in gran parte pubblicata postuma. Comunque, circolò in Firenze, come in provincia, in maniera ufficiosa, rapida e con successo costante; fu letta con compiacimento e con scandalo. Scrisse capitoli, numerosi sonetti; non si distinse per sperimentazione linguistica, né per particolare ricercatezza formale. Utilizzò il volgare ma non ignorava altre lingue regionali, così come il latino.

Per il L., come per Andrea Cavalcanti, Stefano Rosselli, Francesco Ruspoli, si è parlato di libertinismo toscano o, ancor meglio, di scapigliatura fiorentina. Senza dubbio il L. fu una personalità dalle molteplici sfumature: lo stato clericale sembrava contrastare gli appetiti confessati, e inconfessabili, e nascondeva una tensione eterodossa. In verità, come tanti trasgressivi, il L. fu un moralista. Gli interessi scientifici, le curiosità, che spaziavano tra fisica, matematica e astronomia, erano affiancati a semplici regole di vita, in linea con i principî della Controriforma. Nelle sue pagine coabitavano invettiva e dimensione ludica, confronto con fonti letterarie autorevoli ed esplicite manifestazioni di insofferenza nei confronti delle autorità politiche costituite.

Nota è la corona di sonetti Contro gl'ipocriti edita in maniera completa nel 1882 da Costantino Arlia: era un attacco contro le convenzioni del tempo, sostenuto da un linguaggio crudo, ma privo però di un preciso intento ideologico. Più elaborate furono le parafrasi sopra ricordate: quella dei sette Salmi penitenziali giocava con i versetti latini dell'Antico Testamento e si inseriva in un filone di rifacimenti, a volte ben costruiti a volte dilettanteschi; in quelle del Pater noster e dell'Ave Maria l'aspirazione moralistica attutiva eventuali aspetti dissacratori dell'operazione.

Il L. è stato pubblicato in modo rapsodico negli ultimi decenni del XVIII secolo (Rime piacevoli e burlesche per divertimento e passatempo, di vari e eccellenti autori, Firenze 1782; Composizioni di Marco Lamberti scritte di su propria mano nel tempo che stava prigione, Colle 1787); poi, ancora in pillole, nell'Ottocento (Poesie inedite di Galileo Galilei, Francesco Redi, Pier Salvetti, Marco Lamberti e di Antonio Malatesta, a cura di G. Piccini, Firenze 1867).

Fonti e Bibl.: I manoscritti del L. sono ampiamente diffusi in Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., C.208; C.212; C.214; C.241; Ibid., Biblioteca nazionale, Magl., VII.200; VII.244; VII.359; VII.363; VII.364; VII.369; VII.494; VII.495; VII.872; Mss. rari palatini, 264, 273-274; Ibid., Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb., 580, 649-680; Ibid., Biblioteca Riccardiana, Mss., 1906, 2557, 2779, 2833, 2966, 3490; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., 2076; A. Allegri, Seconda parte delle rime piacevoli, Verona 1607; F. Rondinelli, Relazione del contagio stato in Firenze l'anno 1630 e 1633, Firenze 1634; Le opere di Galileo Galilei. 1a ed. completa…, X, Firenze 1853, pp. 134 s.; F. Ruspoli, Poesie con altre edite ed inedite commentate da Stefano Rosselli, a cura di C. Arlia, Livorno 1882, pp. LXI-LXXIII; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 395; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante continuata da Dionigi Andrea Sancassani, I, Venezia 1734, pp. 119 s.; IV, ibid. 1747, pp. 138, 550; G. Lami, Novelle letterarie pubblicate in Firenze, X (1749), 42, coll. 663 s.; O. Targioni Tozzetti, Relazioni di alcuni viaggi in diverse parti della Toscana, VIII, Firenze 1775, p. 158; E. Francolini, Memorie di San Casciano in Val di Pesa, Montepulciano 1847, pp. 36 s.; F. Novati, Studi critici e letterari, Torino 1889, p. 239; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1899, pp. 8, 236; F. Bartoli, Fulvio Testi autore di prose e poesie politiche, Città di Castello 1900, p. 202; A. Poggiolini, Un poeta scapigliato. M. L., in Giorn. stor. e letterario della Liguria, II (1901), 7-9, pp. 241-277; Id., Un poeta scapigliato. M. L., La Spezia 1901; E. Bouvy, rec. di A. Poggiolini, Un poeta scapigliato…, cit., in Bulletin italien, XXIV (1902), 1, pp. 79 s.; G. Rua, Per la libertà d'Italia, Torino 1905, pp. 234, 275; V. Di Tocco, Ideali d'indipendenza in Italia durante la preponderanza spagnola, Messina 1926, pp. 137 s.; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, I, Bologna 1926, p. 455; G. Spini, Ricerca di libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Roma 1950, pp. 301 s.; C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, a cura di A. Balduino, Padova 1986, p. 335.

Vedi anche
poesia Arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini ... Giacomo Leopardi Poeta (Recanati 29 giugno 1798 - Napoli 14 giugno 1837). Tra i massimi scrittori della letteratura italiana di tutti i tempi, nella sua opera risulta centrale il tema dell’infelicità costitutiva dell’essere umano, intesa come legge di natura alla quale nessun uomo può sottrarsi. Lo Zibaldone di pensieri  ... Galileo Galilèi Galilèi, Galileo. - Fisico e filosofo della natura (Pisa 1564 - Arcetri 1642). Figlio maggiore di Vincenzo, musicista e teorico della musica e di Giulia Ammannati, trascorse la sua infanzia tra Pisa e Firenze (dal 1574). Il 5 settembre 1580 (1581 secondo il calendario pisano) fu immatricolato fra gli ... Livorno Comune della Toscana (104,8 km2 con 160.949 ab. nel 2008), capoluogo di provincia. È situata sul Mar Tirreno, all’estremità meridionale della pianura costiera dell’Arno, a 15 km dalla foce del fiume. La crescita urbanistica è avvenuta a partire dal centro storico fortificato, impostato nel 16° sec. in ...
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  • BIOGRAFIE in Letteratura
Vocabolario
lambire
lambire (poet. làmbere) v. tr. [dal lat. lambĕre] (io lambisco, tu lambisci, ecc.; poet. io lambo, ecc.). – 1. letter. Sfiorare con la lingua, leccare lievemente: il gatto lambiva una ciotola di latte; l’agnellino mi lambiva la mano. 2....
lambiménto
lambimento lambiménto s. m. [der. di lambire], raro. – L’atto, il fatto di lambire.
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