MANLIO Capitolino, Marco
È il salvatore del Campidoglio che la tradizione rappresenta come guerriero tanto valoroso da poter vantare trenta spoglie di nemici e quaranta ricompense al valore. Aveva già coperto il consolato (392 a. C.), quando il Lazio fu invaso dai Galli, Roma presa e devastata, il Campidoglio stretto di assedio. Allorché di notte, i barbari tentarono la scalata del colle, M. Manlio, destatosi per lo strepito delle oche sacre a Giunone, fece a tempo a respingere il primo degli assalitori e con l'aiuto dei compagni salvò la rocca; ma l'assedio continuò, e Roma fu liberata soltanto dall'intervento di Camillo, sicché tra i due salvatori della città sorse acre gelosia. Impietosito per la grande miseria dei plebei, cagionata dai lutti e dalle devastazioni della guerra, M. Manlio venne in loro soccorso, riscattando col suo denaro dalle prigioni, in cui eran caduti per debiti, ben quattrocento tra di essi. Accusato dai patrizî di aspirare alla tirannide, fu sopraffatto e ucciso: sul modo la tradizione è discorde, perché, mentre Diodoro (XV, 35, 3), ne dà semplice notizia, e Dione Cassio (fr. 25, 2; cfr. Zon., VlI, 24) afferma che M., occupato il Campidoglio, fu assalito e vinto da Camillo, altre fonti dicono che egli fu processato per delitto di perduellione, e, assolto una prima volta (383 a. C.) per le sue benemerenze, accusato una seconda fu condannato, e precipitato dalla rupe Tarpea (384 a. C.) (cfr. Liv. VI, 11-20; Dionys., XIV, 4; Plut., Cam., 36; Cic., de domo, 38, 101). Le sue sostanze furono confiscate, la casa distrutta, e decretato che per l'avvenire nessun patrizio potesse dimorare sul Campidoglio. La gens, cui apparteneva, stabilì che nessun discendente potesse più prendere il prenome Marcus.
È facile vedere come in questo racconto tradizionale confluiscano elementi di varia natura: poesia e leggenda popolare specialmente per quanto si attiene all'assedio del Campidoglio, riflessione erudita e invenzione per il resto. Storicamente certo è forse soltanto questo, che Manlio fu console nel 392 e che, dopo l'incendio gallico, sposò la causa del popolo e tentò di rinnovare lo stato con opera violenta e rivoluzionaria, meno accorto di Camillo, che mirò allo stesso obiettivo mediante pacifiche e opportune riforme.
Bibl.: A. Schwegler, Römische Geschichte, III, Tubinga 1858, pp. 257 segg., 284 segg.; Th. Mommsen, Römische Forschungen, II, Berlino 1879, p. 179 segg.; Sigwart, in Klio, VI (1906), p. 346; G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, Torino 1907, pp. 172, 195 seg.; E. Pais, Storia di Roma, IV, 3ª ed., 1928, pp. 16, 68 segg.; J. Beloch, Römische Geschichte, Lipsia e Berlino 1926, p. 320; Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, col. 1167 segg.