MANTOVA BENAVIDES, Marco. - Nacque a Padova il 25 nov. 1489 (e non 1491, come si è ritenuto in base a quanto scrisse G. Panciroli) da Giovan Pietro, medico, e da Lucrezia. La famiglia, nobilitata agli inizi del secolo XV, aveva origini iberiche; si era stabilita almeno nel Duecento a Mantova e da lì, al più tardi all'inizio del Trecento, a Padova.
Avviato agli studi giuridici a Padova, il M. ebbe come maestri Carlo Ruini, Girolamo Butigella, Antonio Zacco. Il 7 febbr. 1511 fu ammesso all'esame di dottorato in diritto civile con 22 voti favorevoli e 3 contrari, e conseguì il titolo l'11 febbraio, nemine penitus discrepante, con Bartolomeo da Urbino e Giulio da Tolentino come promotori. L'ammissione al Collegio dei giureconsulti seguì il 18 marzo. Ottenne il dottorato in diritto canonico il 5 sett. 1524 dal conte Benedetto dei Porcellini, con Ludovico Braino come promotore.
Sembra che la carriera di docente del M. sia iniziata nello Studio padovano il 2 marzo 1515, alla cattedra di Istituzioni, chiamato da Bartolomeo d'Alviano. Secondo A. Riccoboni, la data dovrebbe essere spostata al 1517; Tomasini precisa che il M. lasciò la cattedra nel 1516, per riassumerla, su invito del Senato veneto, nel 1517. In realtà il 15 sett. 1517 il Senato deliberò di chiamare a insegnare Istituzioni "Domino Marco da Mantoa, qual ha letto in questi prossimi anni a Padoa la Instituta, già conducto al secondo luogo della Instituta con fiorini trentacinque all'anno" (Padova, Arch. stor. dell'Università, Mss., 652, c. 3); anche i dati riportati sull'epitaffio nella chiesa degli Eremitani confortano la datazione del primo incarico al 1515. Nel 1518 il M. passò alla terza cattedra di diritto civile; nel 1521 occupò quella di Liber sextus; nel 1523 la seconda cattedra mattutina di Ius canonicum e nel 1531 la seconda di Ius civile, nelle lezioni de mane, che tenne per circa due decenni. Nel 1534 ottenne un aumento di stipendio, da 250 a 350 fiorini annui, dopo aver rifiutato di recarsi a Bologna, dove era stato invitato con lettera del 27 giugno dello stesso anno. Il 21 dic. 1534 fu eletto rettore del Collegio dei giuristi.
Fin dai primi anni, l'attività scientifica e letteraria del M. manifestò un carattere complesso, spaziando dai testi di diritto alla novellistica. Fu negli anni Quaranta che la sua produzione giusdottrinale raggiunse una grande maturità, segnata dall'adesione convinta ai modelli della letteratura giuridica di età umanistica.
Certamente legato all'insegnamento di quegli anni è un ricco gruppo di scritti che tengono conto della migliore tradizione di ius commune e delle necessità di una didattica di notevole profilo, quale quella che il M. dovette praticare nei suoi corsi. Fra queste opere si devono menzionare: Subtilissimorum §. Quin immo l. iurisgentium, ac §. pactus ne peteret l. si unus ff. de pactis, novus… commentarius (ibid., A. Pincio, 1540); Subtilissime et repetibilis l. Imperium Digesti De iurisdictione omnium iudicum non inutilis commentariolus (ibid., 1540); Commentaria et repetitiones (Padova, G. Giberti, 1540), già editi separatamente; Nova in rubricam et l. primam C. De edendo interpretatio (Venezia 1543); Collectanea ad primam et secundam Digesti veteris partem, ibid., A. Pincio, 1545); Collectanea ad primam et secundam Codicis partem, ibid. 1545); Commentarius in solennem §. Ubi decretum l. Nec quisquam ff. De officio proconsulis et legati ac etiam l. finalem C. De pactis et l. Transigere C. De transactionibus (Lione, D. de Portonariis, 1548).
Espressione della stessa esperienza sono le raccolte di quaestiones e problemata, oltre naturalmente ai trattati, di cui il M. fu autore fecondo e che spesso furono pubblicati su iniziativa degli allievi. Sono scritti che mostrano lo sforzo compiuto dal M. di rinnovare l'insegnamento e lo studio del diritto, pur nella sostanziale fedeltà alla tradizione. Fra queste opere occorre ricordare anzitutto un Isagogicus perquam brevis modus ad tollendos fere quoscunque licet inexplicabiles argumentorum nodos… (Venezia, G. Giolito, 1544), che consiste in una spiegazione di cento questioni giuridiche di particolare complessità argomentativa. Analoga funzione dovettero avere gli Observationum legalium libri X (ibid., G. Griffio, 1545), che mostrano però anche una marcata attenzione per la biografia giuridica. Carattere simile ebbero i Propter quid sive problematum libri IIII (ibid., G. Giolito, 1545), che consistono in una raccolta di quattrocento brevi quaestiones. Nello stesso volume sono pubblicati: Praxis iudiciariae centuria, e In l. Precibus C. De impuberum et aliis substitutionibus scholia, nonché Tractatus admodum utiles et quotidiani, che raccoglie tre trattatelli, rispettivamente De pupilli favoribus, De libertatis favoribus e De liberationis favoribus. Accanto a questi sono da menzionare un Commentarius in l. Dudum, C. De contrahenda emptione et venditione, noto anche come Tractatus iuris prothomyseos (ibid., G. Griffio, 1547), che ebbe una considerevole fortuna, un Tractatus de legitima filiorum (ibid. 1547) e un Tractatus de maiore annorum xiiii. efficaciter obligando, ad declarationem statuti Patavini (ibid. 1547). Infine, il Tractatus de privilegiis militaribus, Lione, T. Bentheau 1549) ebbe un tale successo da essere raccolto in Tractatus universi iuris. Importante, e concepito anch'esso negli stessi anni, è un Enchiridion rerum singularium (Venezia, B. Cesano, 1551).
Gli interessi del M. si volsero anche, e con successo, alla pratica e al foro, da cui nacque una bella edizione di 340 consilia, alcuni dei quali di grande interesse, Veridica non minus quam utilia, et cottidiana studiosis hominibus responsa, ac defensiones nonnulle (ibid., A. Pincio, 1543).
Nel decennio successivo, l'attività del M. proseguì e si consolidò nelle medesime forme. Dal suo insegnamento nacquero scritti come Epitoma, sive Commentariolus in omnes fere leges et capita Digestorum, Decretalium et Sexti, de regulis iuris (Padova, G. Percaccino, 1555), manifestazione dell'interesse nutrito in età umanistica per le regulae iuris e un Tractatus longe amplior et uberior quam aliis, in quo de criminibus agitur (ibid. 1559).
L'attenzione del M. per i problemi dell'educazione giuridica e, più in generale, per il ruolo del diritto in relazione alle altre discipline, trovò matura espressione nella sua Polymathia. Hoc est disciplina multiiuga (Venezia, G. Griffio, 1558), uno scritto in dodici libri rivolto ai giovani e destinato a tracciare le linee di una formazione universale che avesse il suo centro in quella giuridica.
Alla stessa preoccupazione rispondono anche Bassanellus… Colloquia, seu Dialogi. CC. iuris, nunc primum in literatorum gratiam editi (Venezia, V. Valgrisi, 1553), raccolta di dialoghi giuridici dedicata a Cosimo de' Medici che aveva rifondato la facoltà giuridica di Pisa, e la raccolta di biografie Epitome virorum illustrium (Padova, G. Percaccino, 1555), in cui il M. menziona i suoi maestri Ruini, Butigella, Zacco, ma non Giasone del Maino, che invece la storiografia ha talora ricordato.
Dopo molti anni di insegnamento, nel 1560 il M. fu promosso alla prima cattedra di diritto civile de mane. Infine, tra il 1572 e il 1573, passò alla prima de mane di diritto canonico. Poi, il 31 dic. 1574, a suggello di un lunghissimo insegnamento svolto tutto a Padova (sebbene invitato altrove, il M. rifiutò sempre di allontanarsi dalla sua città), egli ottenne dal Senato veneto la nomina a professore sopraordinario di diritto canonico, con facoltà di insegnare o non insegnare a suo arbitrio, e con lo stipendio di 400 fiorini (la metà di quello sin lì da lui percepito).
Si trattava del coronamento di una carriera eccezionale, segnata da riconoscimenti prestigiosi, fra cui l'associazione alle Accademie padovane degli Infiammati e degli Elevati e i titoli di cavaliere e conte palatino, ricevuti da Carlo V nel 1545, da Ferdinando I nel 1561 e infine, nel 1564, da papa Pio IV, che era stato allievo del M. insieme con alcuni tra i personaggi più in vista del tempo, come Antonio Carafa e Cristoforo Madruzzo.
Nel periodo della vecchiaia la produzione scientifica del M. si fece ancora più ricca e complessa. Sono da ricordare anzitutto le opere in lingua volgare, testimonianza di una dottrina che, riprendendo in forma rinnovata tentativi compiuti molti anni prima con alcune novelle e con i dialoghi latini, si sforza di esprimersi in forme diverse da quelle tradizionali: tra gli altri, il Dialogo brieve et distinto, nel quale si ragiona del duello, pubblicato anonimo (Padova, G. Percaccino, 1561), cui occorre aggiungere le anonime Annotationi brevissime, sovra le rime di m. Francesco Petrarca (ibid., L. Pasquati, 1566).
Fra le opere latine, alcune attestano la persistente vitalità della tradizione commentariale. Si tratta dei Commentaria iuris pontificii in omnes quattuor ordinarias Decretalium partes (ibid., G. Percaccino, 1563), nati dalla sua esperienza di canonista, il cui secondo tomo, dedicato a Carlo Borromeo, contiene una Appendix e un Commentariolus o Hypomnema al c. Cum in contemplationem del De regulis iuris del Liber Extra, riguardante la tortura. A integrare i commentari canonistici doveva servire anche una Mantissa (ibid., L. Pasquati, 1574). Accanto agli studi di ius canonicum, il M. continuò a coltivare quelli di ius civile, dando alle stampe i Collectaneorum iuris tomus secundus in primam et secundam Digesti Novi partem inque primam et secundam partem Digesti Infortiati (Venezia, G. Griffio, 1568) e i Commentaria nova in primam et secundam Codicis partem, nonché dei Commentaria nova in primam et secundam ff. veteris partem, et nova quidem (entrambi Venezia, G.B. Somasco, 1574).
Anche in età avanzata, il M. proseguì la sua attività di consiliator. Da essa nacque un Consiliorum sive responsorum… tomus secundus (Venezia, G. Griffio, 1559), a cui nel 1569 si affiancò una Mantissa (Padova).
Il M. sviluppò anche un marcato interesse per la lessicografia, contribuendo a rinnovare una tradizione prestigiosa, che si tradusse in opere pubblicate nell'ultimo decennio della sua vita: Abrodiaetum progymnasmatum opus (ibid. 1572), in cinque libri; Loculati opusculi…, nunc primum in studiosorum iuvenum gratiam editi (ibid. 1580), anch'essi in cinque libri, e Multiloquium Eratostenicum non minus utile quam pulchrum (ibid. 1581), senza partizioni interne e completato da un glossario.
Nel solco di una tradizione che aveva conosciuto il suo massimo splendore con l'opera di Andrea Alciato, il M. diede alle stampe una Zographia sive hieroglyphica (ibid. 1566), che consiste in una breve serie di descrizioni di immagini allegoriche, curiosamente priva di qualsiasi incisione, e costellò di emblemata i Loculati opuscoli.
Nella vasta produzione del M., occorre ricordare anche Areopagita… De Iudiciis et ubi quisque agere vel conveniri debeat, dedicato al processo che, sebbene pubblicato a Padova solo nel 1567, risale al 1532.
Nel 1577 il M. diede alle stampe una raccolta di novantasette prefazioni e discorsi (Praefationes gymnasticae… aliique sermones varii, C. numero plus minus) e una Psalmorum exquisita paraphrasis (entrambe Padova, L. Pasquati), recante la spiegazione di una serie di parole e nozioni tratte dal Salterio.
L'attenzione del M. per l'educazione dei giovani trovò espressione anche nel suo Speculi vitae opus (ibid. 1579), che raccoglie una serie di voci, disposte in ordine alfabetico e distribuite in cinque libri.
Uomo di vasta cultura, il M. fu collezionista di antichità, opere d'arte, rarità e curiosità. Da questo interesse nacquero opere a stampa di notevole importanza. Oltre ai ritratti di giuristi, sono da ricordare un Ephemerologium (ibid. 1579), raccolta di curiosità erudite in forma di diario, divisa in cinque libri, e una Anabiosis sepultae antiquitatis (ibid. 1582), una raccolta di detti degli imperatori romani che comprende un Libelus [sic] auguralis dedicato all'arte degli augures, un Miscellus quo etiam de simbolis Pythagorae significatio, et declaratio multiplex e una Parabolarum seu comparationum ratiocinatio multiplex.
Il M. morì a Padova il 2 apr. 1582.
L'esordio avvenne con L'heremita (Venezia, G. Rusconi, 1521; poi Milano, G.A. Scinzenzeler, 1523 e Venezia, Da Sabbio, 1525), una sorta di dialogo articolato in cinque giornate, all'interno del quale compaiono diversi inserti narrativi. Con una prosa modellata sulla cornice del Decameron, l'opera, ambientata nei colli Euganei, è un resoconto del colloquio tra il M. e un eremita, Girolamo degli Anselmini da Pisa. Nel corso del dialogo sono affrontati molti temi cari alla cultura umanistica, letti però alla luce di una ferma coscienza religiosa che contrappone alle lusinghe della vita attiva le virtù di quella contemplativa. L'eremita si dichiara cultore della poesia, di quella di Petrarca in particolare, tanto che, con argomentazioni non dissimili da quelle espresse qualche anno più tardi da G. Malipiero nel suo Petrarcha spirituale (Venezia, F. Marcolini da Forlì, 1536), ne difende le virtù sapienziali, appellandosi alla dottrina platonica del furor poetico. Nell'ultima giornata il dialogo si sofferma a lungo sul tema della predestinazione: l'eremita, sostenitore dell'equipollenza della misericordia e della giustizia divine, prende posizione in favore della salvezza per sola fede. L'attenzione a questa delicata questione teologica, espressione di un interesse assai vivo in ambito padovano e universitario, nasce anche come risposta al desiderio di un profondo rinnovamento della Chiesa, di cui l'eremita denuncia, in pagine violentemente caustiche, la profonda corruzione, originata dal sostanziale tradimento del messaggio evangelico.
Alla riflessione su temi religiosi il M. riservò pure il dialogo De concilio, dedicato a Paolo III; composto per il previsto insediamento del concilio a Vicenza nel 1536, fu edito una prima volta a Venezia nel 1541 e una seconda, "recognitus et castigatus", tra il 1546 e il 1549 sempre a Venezia per i tipi di C. Zanetti. L'opera, nella quale non si leggono prese di posizione in ambito teologico, è riservata alla proposta di una riforma della Chiesa, modellata sul mito della Repubblica di Venezia.
Nella produzione volgare del M. si trovano anche tre novelle spicciolate, composte dopo il 1528 ed edite, adespote e senza indicazioni tipografiche, sul finire degli anni Venti o nei primissimi anni Trenta. Intitolate Della ingratitudine, Della avarizia de' principi moderni, Della eloquenza, e dedicate, rispettivamente, a Beatrice Pia degli Obizzi, a Francesco Pallavicino e a Ercole Fregoso, le novelle testimoniano l'intento edificante e moralistico che anima molte delle opere letterarie del M., così come anche lo spiccato gusto per la digressione erudita, al punto che il caso narrato diventa di volta in volta pretesto per lunghi cataloghi di figure storiche, per la celebrazione di Padova o per l'esaltazione della cultura giuridica.
Dopo una pausa trentennale, se si escludono brevi interventi come la lettera prefatoria all'edizione della Risposta di Carmide Ateniese. A Tito Quintio Fulvio di Giovanni Giustinian (Padova, G.B. Amico, 1553), è nel corso dei primi anni Sessanta che il M., ormai anziano e al termine di una fortunatissima carriera di professore universitario, dà alle stampe alcune opere in volgare, ancora senza il nome, ma facilmente attribuibili a lui sia per i numerosi indizi presenti nei testi sia per l'abitudine di corredare i volumi con i propri emblemi o imprese. Genere letterario privilegiato è il dialogo, nel quale trovano spazio, senza un ordine rigoroso, i più svariati argomenti, secondo un principio dispositivo dichiarato in sede proemiale dallo stesso M.: "prima voglio convenir […] et far patto di non esser astretto a dire cosa ordinata, ma più tosto confusa et varia, propriamente da Villa".
Nel 1561 furono dati alle stampe tre dialoghi che hanno per interlocutori un giovane studente e lo stesso M., in veste di anziano maestro. Nel Discorso sopra i Dialoghi di m. Sperone Speroni (Venezia, F. Rampazzetto), oltre a un elogio incondizionato, ma anche piuttosto superficiale, della dialogistica del concittadino, il M. fa un resoconto delle letture svolte durante un periodo di riposo lontano dai clamori della città. Nel Dialogo nel quale si contengono varii discorsi di molte belle cose et massimamente proverbi (Padova, G. Percaccino) vengono invece presi in esame alcuni proverbi, motti e iscrizioni, con un dichiarato riferimento al modello degli Adagia di Erasmo. Sia pure in forma sintetica, vengono inoltre riprese le tesi conciliariste già espresse nel De concilio. Il Dialogo breve e distinto nel quale si ragiona del duello (ibid.), infine, si inserisce nella ricca pubblicistica coeva sui temi dell'onore e del duello, all'interno della quale il M. rivendica una specifica competenza come esperto di diritto.
Alcuni esemplari del Dialogo del duello presentano nella parte finale due fascicoli aggiunti con numerazione autonoma, nei quali si trovano "alcune Rime dello istesso autore, forse a lettori non ingrate". Si tratta di quaranta sonetti e cinque madrigali, composti dalla metà degli anni Dieci, cui vanno aggiunti, per avere un quadro completo della sua produzione lirica, i tre sonetti contenuti nel dialogo L'heremita (cc. C1r, D5). Questi componimenti, su temi canonici della poesia amorosa, testimoniano una lingua lirica capace di dialogare indifferentemente con i grandi modelli due-trecenteschi, dallo stilnovo a Petrarca, e con la tradizione goticheggiante del Quattrocento, secondo movenze tipiche di un petrarchismo primo cinquecentesco, estraneo a quello normato da Pietro Bembo. Il sonetto proemiale, dedicato alla tomba di Petrarca ad Arquà, documenta un sincero culto per il poeta, sia pure ammirato secondo istanze tipiche dell'umanesimo tardo quattrocentesco. Proprio questa prospettiva di lettura è riscontrabile nelle Annotationi brevissime sovra le rime di m. Francesco Petrarca (Padova, L. Pasquati, 1566), edite ancora una volta come opera di "autore incerto".
Nonostante il M. mostri di conoscere alcuni dei commenti cinquecenteschi più noti, e su tutti quello di Bernardino Daniello (1549), fortemente condizionato dal magistero del padovano Trifone Gabriel, le pratiche esegetiche messe in atto sono quelle tipiche di un umanista piuttosto attardato. Lo testimonia sia la scelta di mescolare arbitrariamente latino e italiano nelle note di commento sia la presenza di quattro traduzioni in latino di testi petrarcheschi (Rerum vulgarium fragmenta, 126 opera di Marcantonio Flaminio [cc. 57v-58r]; ibid., 128 e 366 di Pietro Amato [cc. 63v-65v e 139v-141v]; ibid., 291 di Francesco Luigini [cc. 118v-119r]). Il M. rinuncia del resto alla formula del commento continuo, reso canonico nel Cinquecento dal modello di Alessandro Vellutello (1525), in favore di una esegesi puntuale del testo, mirata a cogliere per campioni - da cui il titolo Annotationi brevissime - il sostrato sapienziale della poesia petrarchesca. Ne emerge l'immagine di un Petrarca rigorosamente moralizzato e capace di collocarsi tra le grandi figure del pensiero e della poesia classica. Pur fra qualche ingenuità interpretativa e alcuni fraintendimenti del testo, nelle Annotationi il M. allega infatti accanto ai versi del Canzoniere luoghi affini ripresi dal patrimonio della cultura sacra, classica e medievale, senza preoccuparsi della loro reale pertinenza come tessere intertestuali. Il manoscritto autografo (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. X, 93 [=6432]) documenta le diverse fasi di lavoro nelle quali il M. arricchisce il repertorio di luoghi classici, secondo l'evidente intento di alzare la quota erudita del commento. Grande attenzione è inoltre dedicata alla registrazione puntuale di tutte le forme dell'elocutio, dato che il M. attribuisce al Canzoniere il titolo di "poema" non in virtù della sua organicità narrativa, ma in nome dello stile elevato che lo contraddistingue (titolo che invece nega ai Trionfi, cui dedica alcune rapide note di commento).
Al centro di una fitta trama di relazioni, tanto come docente universitario quanto come appassionato collezionista, il M. intrattenne una intensa corrispondenza epistolare che, negli ultimi decenni della sua vita, progettò in diverse occasioni di mandare alle stampe. Rimasta manoscritta è una raccolta di tre volumi di Lettere volgari diverse, da diversi iscritte… a Marco Mantoa in tre libri divise, allestita dal nipote Giovanni, che completò il lavoro nel febbraio del 1555. Dalla prefatoria sembra possibile ipotizzare che il M. avesse raggiunto un accordo - poi evidentemente caduto - per stamparli con i tipi di Gabriele Giolito (il manoscritto è conservato a Berkeley, University of California, School of law, The Robbins Collection, Mss., 63; una copia a Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Correr, 1349; una seconda, parziale, di mano di Giuseppe Gennari, a Padova, Biblioteca del Seminario vescovile, Mss., 619/6).
A stampa andarono invece nel 1578 una selezione di lettere volgari (Di lettere famigliari diverse a diversi parimente scritte, Padova, L. Pasquati) e una scelta di quelle latine (Epistolae familiares et nuncupatoriae, ibid.). Il codice Mss. it., cl. X, 91 (=6601) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia documenta inoltre un nuovo progetto editoriale, secondo il quale doveva andare alle stampe un florilegio di lettere italiane e latine riprese dai libri editi.
La fama del M. è affidata anche alla sua collezione di oggetti antichi e libri. Grazie all'inventario stilato nel 1695 da Andrea Mantova Benavides (in Favaretto, 1972) è possibile ricostruire con una certa precisione la fisionomia della raccolta: secondo i gusti tipici del collezionismo padovano, un ruolo di primo piano spetta alla scultura antica e pseudoantica, alla numismatica, per la quale il M. chiese a più riprese i servizi di Giovanni da Covino, agli strumenti musicali e ai ritratti sia di letterati sia di giuristi (questa raccolta, celebre in tutta Italia, costituì il ricco apparato iconografico utilizzato per il volume Illustrium iureconsultorum imagines, Roma, A. Lafrerj, 1566). La collezione, iniziata verosimilmente nei primi anni Trenta, verso il 1541 trovò una collocazione definitiva nel palazzo di Contrà Porciglia, all'interno del quale fu allestito un vero e proprio museo composto da tre stanze e da uno "studiolo". Per la decorazione del palazzo il M. chiamò Domenico Campagnola, che tra i suoi collaboratori contava il giovanissimo Jacopo Robusti (il Tintoretto) e lo scultore fiorentino Bartolomeo Ammannati, di cui divenne amico e mecenate. A quest'ultimo si deve la grande statua di Ercole posta nel cortile e la costruzione di un piccolo anfiteatro corredato di sette statuine, uno dei pezzi più preziosi del museo. Sempre opera dello scultore fiorentino è la tomba monumentale del M. nella chiesa degli Eremitani.
Nel museo era collocata la biblioteca, composta di circa 1700 volumi (un inventario è in Arch. di Stato di Padova, Atti dei notai, vol. 2559, cc. 99v-116r (notaio B. Breda) da integrare con Tomasini, pp. 101-103). Accanto a una nutrita serie di testi giuridici, si trovano classici latini e greci, raccolte di lessicografia, trattati di numismatica e diverse opere in volgare, con una speciale predilezione per Petrarca: la biblioteca appare il ritratto fedele degli interessi sia del professore di diritto sia del collezionista e dell'appassionato di cultura classica e volgare.
Fonti e Bibl.: Padova, Arch. stor. dell'Università, Mss., 3, c. 151r; 4, cc. 32r, 179v, 255v, 344r; 5, cc. 65v, 128v, 132v, 334v, 340v; 6, cc. 8v, 24r, 96r, 192v, 268v, 327r; 7, cc. 30r, 116v, 174r, 279r, 310r; 8, cc. 29r, 170r, 223v, 246r, 282v; 9, cc. 26r, 86r, 151v, 213v, 303r; 10, cc. 14r, 65r, 122v, 162r, 225r; 11, cc. 67r, 126r, 207r, 245r; 12, cc. 51r, 101v; 134, c. 13v; 135, c. 40r; 142, c. 114v; 571, c. 180; 652, cc. 3, 11r, 12, 48r, 49r, 62r, 66r, 114r, 144r, 166r, 168r, 182r, 188r, 228r, 268r, 310r, 354r, 375r, 396r, 397r; Novelle scelte rarissime stampate a spese di XL amatori, a cura di S.W. Singer, Londra 1814; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1501 ad annum 1525, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1969, pp. 212, 396; A. Riccoboni, De Gymnasio Patavino commentariorum l. sex, Patavii 1598, cc. 20r, 33r, 36v-37v; G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Venetiis 1637, pp. 351-353; I.F. 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