MASTROFINI, Marco
– Nacque a Montecompatri, presso Roma, il 25 apr. 1763 da Paolo e da Domenica Moscatelli.
Intorno ai dieci anni, avendo dimostrato ingegno e inclinazione allo studio, fu affidato a una famiglia di Roma per frequentare il Collegio romano. Due anni dopo, nel 1775, fu ammesso come alunno nel seminario di Frascati, che era sotto l’autorità del cardinale Henry Stuart di York, il quale, ottenuta da Clemente XIV nel 1770 la sostituzione dei gesuiti con il clero secolare, aveva chiamato a insegnarvi qualificati docenti e arricchito la biblioteca. In questa scuola il M. si distinse particolarmente e completò con successo il corso di studi filosofico e quello teologico; fu quindi ordinato sacerdote, prima dell’età canonica, dal cardinale Stuart.
Nel 1786 gli fu affidata la cattedra di filosofia e matematica nel seminario di Frascati. Predispose allora un manuale per il suo corso filosofico, che però non volle dare alle stampe, ritenendolo opera contingente e di solo uso scolastico. Quattro anni più tardi apparve la sua prima opera, una dissertazione scritta in collaborazione con il suo alunno A. Maruffi, Num vere hucusque ac solide Dei existentiam a priori ostenderint philosophi, expenditur; tum alia demonstrationis huius conficiendae methodus esaminanda proponitur, Tusculi 1790, nella quale il M. anticipò i suoi studi metafisici cercando di provare l’esistenza di Dio con il metodo detto a priori o «simultaneo». A questi primi scritti teologici si affiancarono quelli letterari e poetici, in sintonia con la frequentazione dei letterati che in estate si recavano a Frascati. Conobbe così A. Buonafede, G.G. De Rossi, V. Monti e altri personaggi che lo incoraggiarono a coltivare la poesia e le traduzioni dei classici.
In particolare divenne suo consigliere letterario il suo concittadino e parente C. Felici, che insegnava nel seminario di Frascati ed era rinomato per la traduzione delle favole di Esopo e delle Egloghe virgiliane, oltre che per vari altri scritti poetici e teatrali. Risalgono a questo periodo i primi componimenti del M., poi pubblicati nei Ritratti poetici.
Dopo la proclamazione della Repubblica Romana (1798), la chiusura del seminario di Frascati indusse il M. a trasferirsi a Roma, dove ampliò le sue conoscenze legandosi in particolare con il matematico e astronomo G. Calandrelli, con i teologi I. De Rossi e F. Guidi e con altri dotti. Gli fu offerta una cattedra fuori dello Stato; ma l’ingegno del M. aveva colpito anche il tribuno C. Corona che gli ordinò di non partire e gli procurò la cattedra di eloquenza nel Collegio romano, con l’uso di un appartamento. Nel clima ideologico della Roma giacobina il M. si accostò alle idee venute dalla Francia e scrisse una decina di sonetti repubblicani, non tutti noti, a eccezione dei tre dedicati a Catone, Bruto e Tarquinio il Superbo, pubblicati più tardi da Ciuffa.
Avvicinatosi ai cattolici democratici, vide nella repubblica, la cui sovranità popolare riteneva derivare comunque da Dio, una possibilità di rinnovamento anche ecclesiale nello spirito originario del cristianesimo. Poiché la costituzione della Repubblica Romana obbligava al giuramento tutti coloro, ecclesiastici compresi, che ricoprivano cariche pubbliche ed erano al servizio della Repubblica, anche il M. dovette piegarsi e lo fece, dopo matura riflessione, ritenendo giuridicamente non valida la proibizione di giurare, espressa dal pontefice Pio VI in esilio, non essendovi né bolla né breve pubblicato in tal senso. Le sue considerazioni in proposito furono espresse nell’opuscolo Onestà del civico giuramento proposto nell’articolo 367 della Romana Costituzione. Osservazione del cittadino Mastrofini, Roma anno VI repubblicano, I romano [1798], che egli volle dedicare a Corona, divenuto suo amico e protettore.
Nell’affrontare il nodo rappresentato dall’articolo 367 della costituzione della Repubblica («Alcun funzionario stabilito dalla presente costituzione console, ministro, legislatore, questore, amministratore, edile, elettore, pretore, giudice, prefetto consolare, giurato ordinario o speciale, o alto giurato, segretario, scriba, o altro qualunque non potrà esercitare alcuna funzione prima di aver prestato il giuramento di odio alla monarchia, e all’anarchia, e di fedeltà, ed attaccamento alla repubblica, ed alla costituzione»), il M. giustificava anche il giuramento d’odio alla monarchia, ritenendo che tale istituzione, pur essendo in linea generale «né lodevole, né biasimevole», meritava l’odio popolare in quanto nel testo costituzionale era posta come sinonimo di tirannia. Inoltre la storia dell’uomo provava che la podestà viene da Dio e risiede immediatamente nel popolo. Ne derivava che si poteva giurare fedeltà a una monarchia ottima e ben accetta al popolo, e giurare odio a una monarchia dispotica e tiranna, come pure all’anarchia. Quanto ai principî della Repubblica, il M. precisava che libertà non significava licenza, mentre l’eguaglianza consisteva nell’abolizione di privilegi odiosi e ingiusti. La libertà di stampa, in particolare, non autorizzava abusi, calunnie e scritti sovversivi, ma mirava, attraverso il contraddittorio, al trionfo della verità. La costituzione, che all’art. 343 non riconosceva «né voti religiosi, né alcun impegno contrario ai diritti naturali dell’uomo», non vietava tali voti, ma li privava solo della sua sanzione. Nella conclusione il M. ricordava ai Romani che essi, restaurando l’antica grandezza con l’istituzione della Repubblica, mutavano governo, non religione.
Nel 1800, giunto il neoeletto papa Pio VII a Roma, il M. ritrattò formalmente quanto aveva sostenuto nell’opuscolo sottomettendosi a una simbolica penitenza inflittagli dal vescovo di Frascati, consistente in cinque giorni di ritiro nel convento dei cappuccini.
Nel 1803 riprese a insegnare nel seminario. È di questo periodo uno studio di carattere economico monetario sul problema – che il restaurato governo pontificio si trovava a fronteggiare – della circolazione di una grande quantità di moneta di bassa lega in quanto ridotta di peso mediante limature (in gergo tosature). Con la sua cattiva qualità tale moneta danneggiava il commercio e screditava il governo, che chiese agli esperti di trovare modo di sostituirla. Il M. rispose all’appello con il Piano per riparare la moneta erosa, che inviò in copia manoscritta autografa al cardinale F. Ruffo. Giudicato il migliore fra tutti quelli presentati, il progetto del M. meritò una lettera di ringraziamento dal cardinale (pubbl. in Ciuffa, 2006, pp. 26 s.).
Il M. intanto non tralasciava le traduzioni dei classici: Sallustio, che però dopo l’uscita delle versioni di V. Alfieri e di B. Nardini non volle pubblicare; Quinto Curzio, che ultimò a Montecompatri, dove era tornato per assistere il padre malato e morente. Nel 1807 diede alle stampe a Frascati tre ponderosi volumi in 8° dal titolo Ritratti poetici storici critici de’ personaggi più famosi nell’Antico e Nuovo Testamento, comprendenti 214 sonetti e un apparato storico-critico-biografico. Il primo volume fu dedicato al cardinale G. Doria Pamphili, nominato vescovo di Frascati nel 1803 dopo la nomina del cardinale Stuart alla sede di Ostia e Velletri. Nello stesso 1807 pubblicò l’Orazione per la morte di Errico cardinale denominato duca di York decano del S. Collegio protettore e già vescovo di Frascati recitata il di 20 luglio 1807 (Roma).
Nel 1808, non usufruendo di benefici ecclesiastici, il M. fece richiesta a Pio VII di un sussidio mensile, come riconoscimento del suo insegnamento nel seminario di Frascati, per cui aveva rinunciato ad altri lucrosi incarichi: il 20 maggio ottenne risposta positiva con la concessione di 8 scudi al mese. Tornò a risiedere a Roma quando i Francesi occuparono nuovamente lo Stato pontificio e, pur compiendo diversi viaggi in vari luoghi della provincia, ebbe alloggio nel Collegio romano. Uscivano intanto nel 1809 i due volumi di Quinto Curzio Rufo coi supplementi di Freinsemio su le imprese di Alessandro il Grande volgarizzato nella «Collana di storici latini volgarizzati» del tipografo romano V. Poggioli, seguita nel 1810 presso lo stesso editore dal Lucio Anneo Floro e Lucio Ampelio volgarizzati.
Dal 1811 sino alla morte il M. rimase a Roma, ospite a lungo della famiglia Tocchi, presso la quale esercitò anche funzioni di precettore fino al 1820, quando il nipote Leandro Ciuffa, figlio della sorella e giureconsulto della Rota romana, lo accolse nella sua casa.
Nel 1812-13 pubblicò a Roma nella collana greca di Poggioli la traduzione in quattro volumi delle Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso, che venne ristampata a Milano (I-III, 1823-24) integrata da un Supplemento e da varie incisioni scelte dal M., fra cui le piante dell’antico Lazio e dell’antica Roma. Sempre a Roma vide la luce nel 1814 in due volumi un’altra sua importante opera di argomento linguistico-filologico, la Teoria e prospetto ossia Dizionario critico de’ verbi italiani coniugati, specialmente degli anomali e mal noti nelle cadenze, dedicato dal M. al cardinale B. Pacca, che divenne da allora suo amico e protettore. L’opera ebbe grande diffusione e notorietà, tanto che a Milano nel 1817 uscì un compendio semplificato da G. Compagnoni, la Teorica dei verbi italiani, che, benché inferiore all’originale, riscosse a sua volta successo e numerose edizioni e traduzioni.
Nel 1815 il favore del segretario di Stato E. Consalvi procurò al M. la nomina a consultore della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, istituita da Pio VII, che aveva il compito di occuparsi di questioni afferenti a tutto il mondo cattolico, nonché degli affari appartenenti ad altre congregazioni ma appositamente deputati a essa dal papa. L’importante incarico e la stima che gli tributavano importanti membri del S. Collegio e della Curia (oltre a Pacca, in particolare A.G. Severoli e l’assessore del S. Uffizio F. Turiozzi) non gli risparmiarono, tuttavia, critiche e invidie, dopo l’apparizione, nel 1816, del primo tomo della Metaphysica sublimior de Deo trino et uno, sive humanae rationis tentamen ad trium in uno simplicissimoque Deo personarum existentiam revelatione iam notam demostrandam (Roma), un trattato in cui il M. cercava di dimostrare il mistero della Trinità con la ragione, provandone la non incompatibilità con la speculazione filosofica.
L’opera aveva ottenuto un primo imprimatur nel 1808 ma, per le vicende politiche, ne era stata sospesa la pubblicazione. Nel 1814 il M. chiese a Pio VII di accettarne la dedica e il papa acconsentì previo un nuovo esame da parte di un collegio di revisori, che si concluse nel 1816 con un secondo imprimatur. Oltre al secondo tomo, di cui fu bloccata la stampa, il M. preparò anche un terzo tomo, che denominò Metaphyisicae sublimioris applicatio. Ma nello stesso anno, appena esaurita la prima edizione, l’opera fu denunciata al S. Uffizio dallo stesso maestro del Sacro Palazzo apostolico, il domenicano Filippo Anfossi, che dopo avere formalmente approvato il secondo tomo, ne vietò la stampa. Ispirato da Anfossi, apparve anche un anonimo libello di contestazione, l’Esame imparziale dei primi due libri della Metafisica sublimiore, mentre si proibiva la stampa in Roma di scritti in difesa del M., il quale riuscì a pubblicare a Firenze nel 1818, con licenza papale, una replica dal titolo Annotazioni sull’Esame imparziale dei primi due libri della Metafisica sublimiore (2ª ed., ibid. 1821). Seguirono altri libelli contro il M. e altri suoi scritti difensivi anonimi, otto in tutto, compreso il primo, raccolti con il titolo Opuscola adversus Metaphysicam sublimiorem et eorum confutatio. La causa presso il S. Uffizio sembrò avere una prima conclusione favorevole nel 1823, ma, per la morte di Pio VII, non si ebbe la formale e pubblica dichiarazione in una congregazione «coram Sanctissimo». Il procedimento riprese sotto Leone XII, appuntandosi sul primo tomo già pubblicato, con rinnovate accuse cui fecero seguito, tra il 1822 e il 1827, quattro successive Memorie inviate dal M. al S. Uffizio e da questo pubblicate. Le repliche del M. furono accolte positivamente dal papa, che, all’inizio del 1829, manifestò, per mezzo del cardinale Pacca, l’intenzione di farlo cardinale nel concistoro di Pasqua (Ciuffa, 2006, p. 179). Tuttavia, scomparso Leone XII il 10 febbr. 1829, la cosa non ebbe seguito. Pio VIII, succedendogli, riconobbe, come scrisse ufficialmente Pacca al M., «che la ragione stava dalla parte della Metafisica Sublimiore» (ibid., p. 185), ma questo non placò l’ostilità dei detrattori del M. che, nonostante le suppliche rivolte a Gregorio XVI, non ottenne il permesso di portare a termine la pubblicazione.
Nel frattempo il M. aveva proseguito i suoi studi in molteplici campi, pubblicando fra l’altro nel 1826 un volume di confutazione di un’opera anticattolica del saggista belga L.J.A. De Potter (Rilievi… su l’opera del sig. De Potter intitolata Spirito della Chiesa o Considerazioni filosofiche e politiche su la storia de’ concilii, e dei papi dagli apostoli sino ai giorni nostri, Roma) e non tralasciando la letteratura. Aveva scritto, infatti, una sessantina di «sonetti metafisici» e voleva comporne altri sulla fisica per pubblicarli in due volumetti con note, ma l’opera non fu completata e rimase inedita, mentre apparve nel 1820 a Bologna il Saggio di poesia didascalica, contenente un sonetto metafisico sull’ordine delle idee.
Per i suoi meriti letterari il M. fu aggregato a varie accademie: nel 1823 a quella degli Ottusi di Spoleto, nel 1828 all’Accademia degli Ardenti di Viterbo e all’Accademia dell’Arcadia, nella quale prese il nome di Teofatore Olimpico, nel 1839 all’Accademia Tiberina. Fu socio onorario dell’Accademia romana di archeologia, dove il 6 luglio 1840 L. Canina in una solenne tornata a sessioni riunite dell’Accademia archeologica e di quella di S. Luca gli dedicò una dissertazione. Il 12 dic. 1840 fu nominato membro del collegio filologico dell’Archiginnasio.
Il M. si distinse anche in varie opere giuridico-economiche. Su incoraggiamento di Pio VIII affrontò il delicato problema dell’usura nel saggio Le usure. Libri tre (Roma, 1831), che ebbe 19 edizioni e che fu tradotto in molte lingue. Nel 1832 scrisse un trattato filosofico-legale, Della maniera di misurare le lesioni enormi nei contratti (ibid.), dedicato al nipote L. Ciuffa, che gli aveva sottoposto l’argomento e che lo fece pubblicare l’anno dopo.
Il volume, diviso in 22 capitoli, riguardava soprattutto i contratti vitalizi e quelli di credito fruttifero e fu spesso citato in sede giudiziaria, specie dal tribunale della Rota.
Un’altra opera giuridica, La paternità e la filiazione (ibid. 1834), trasse origine da una causa civile di stato di famiglia fra le famiglie Cesarini e Torlonia per una questione di eredità. Nonostante le argomentazioni del M. fossero in favore dei Torlonia (il duca M. Torlonia da allora divenne suo profondo estimatore e amico), il tribunale della Sacra Rota si pronunciò a favore dei Cesarini.
Un interesse economico riveste anche la sua proposta di riformare il calendario, stabilizzando i giorni dell’anno in modo che, grazie a un giorno intercalare privo di nome (due negli anni bisestili) restassero fisse le domeniche e i giorni festivi, compresa la Pasqua, da porsi al 2 aprile, secondo l’indicazione del Concilio di Nicea. Il progetto venne presentato nel 1834 in due opuscoli a Roma: Amplissimi frutti da raccogliersi ancora sul Calendario Gregoriano perpetuo…; non vide mai la luce, invece, un terzo opuscolo, preparato come appendice dell’opera, con il titolo Il piccolo periodo dell’anno e suo giorno santo nel periodo del Signore.
L’ultima pubblicazione del M. fu L’anima umana e i suoi stati, principalmente l’ideologico (I-II, ibid. 1842).
Il M. morì a Roma il 3 marzo 1845.
Le esequie furono celebrate nella chiesa di S. Maria in Aquiro. Il nipote L. Ciuffa, adempiendo alle ultime volontà del M., lo fece poi tumulare a Montecompatri nella chiesa di S. Silvestro dei padri carmelitani scalzi, dove tre anni dopo fu apposta una lapide, cui fece seguito nel 1862 un monumento, con una nuova e più solenne iscrizione. Nel 1875 il Comune di Roma fece apporre una targa commemorativa in piazza Montecitorio, sulla casa in cui il M. risiedette.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Notai del tribunale del Vicariato, Antonio Sartori, 1844 (testamento autografo del M.). La biografia più completa del M. è in S. Ciuffa, M. M., sue opere edite ed inedite, e suoi contradittori. Memorie storico-apologetiche, Roma 1875 (rist., a cura del Centro studi M. con una introd. di G. Lorizio, Montecompatri 2006); altre note biografiche in C. Gazola, All’onorata memoria dell’abate d. M. M., Roma 1845; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri…, X, Venezia 1845, s.v. (G. Angelini); F.L. Zelli, L’abate M. M., in Annali delle scienze religiose compilati dal prof. G. Arrighi, s. 2, I (1845), pp. 136-140. Sul trattato sull’usura, tra le opere più recenti si vedano P. D’Uffizi, La dottrina dell’usura nell’abate M. M. Pars dissertationis apud Angelicum de Urbe, Roma 1943 e P. Pecorari, Orientamenti della cultura cattolica sul prestito a interesse nel sec. XIX, in Chiesa, usura e debito estero. Giornata di studio su Chiesa e prestito a interesse, ieri e oggi… 1997, Milano 1998, pp. 85-106. Sull’Onestà del civico giuramento: M. Battaglini, Le istituzioni di Roma giacobina (1798-1799). Studi e appunti, Milano 1975, pp. 186-189; D. Tamblé, M. M. nella cultura romana fra XVIII e XIX sec., in Strenna dei romanisti, LXVII (2006), pp. 637-652. Alcune osservazioni sull’opera del M. in R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963, ad indicem. Va citata infine la tesi di laurea di A. Pusceddu, La paternità e la filiazione nell’opera di M. M., Università degli studi di Milano, facoltà di giurisprudenza, 1992.