MAZELLI, Marco.
– Nacque a Carpi il 27 ag. 1640 da Francesco e da Virginia Priori. Il M. si formò presso lo scagliolista Gasparo Griffoni (Cabassi); Guaitoli lo dice invece allievo, insieme con i quasi coetanei fratelli Ludovico e Giovanni Leoni, di Annibale Griffoni. Tiraboschi nota che avrebbe collaborato con G. Pozzuoli e G. Massa; ma non si sono conservati lavori che confermino tale ipotesi.
Il M. eseguì diverse opere utilizzando la tecnica della scagliola intarsiata, tra cui quadretti, paliotti e piani di tavolo, dando vita a una vasta produzione, caratterizzata da un’elevata qualità e da una notevole varietà, considerando anche l’uso che sicuramente fece di cartoni, che gli permise di replicare in serie diversi motivi decorativi (Manni, 1997).
Manni (1993) pubblica come prima opera nota del M. un quadretto in scagliola su ardesia, firmato e datato «Marcus Mazellis fecit, Mutinae 1672», raffigurante S. Antonio da Padova (Modena, collezione privata).
Interessante è l’indicazione del luogo di esecuzione, che ricorrerà anche nelle firme delle opere eseguite in Ravenna. Secondo Neumann, il M. si disse modenese perché Modena era meglio nota ai Ravennati della più piccola Carpi: di fatto la datazione di questo quadretto si colloca ancora nel periodo in cui l’artista si trovava a Carpi, compresa all’epoca nel Ducato di Modena.
Il S. Antonio è tratto, con una leggera variante nel cielo di fondo, da un’incisione di S. Cantarini. Il M. è anche autore di una tavola di analogo soggetto, firmata e conservata presso il Museo civico di Carpi, il cui modello è questa volta rintracciabile in un’opera di G. Gavignani, scagliolista di una generazione precedente.
Quest’ultimo lavoro del M. farebbe parte di quattro quadretti, citati da Cabassi tra i lavori lasciati in Carpi, due dei quali, firmati e provenienti dalla chiesa di S. Maria delle Grazie, raffigurano rispettivamente una Crocifissione (Carpi, Museo civico) e appunto il S. Antonio da Padova. La Crocifissione deriva a sua volta, secondo Cremaschi, da un’incisione riproducente un dipinto di G. Reni.
Nel 1690 il M. lasciò un paliotto nella parrocchiale di Vignola, citato da Garuti, recentemente restaurato (Manni, 1997). A partire dall’anno successivo fu attivo nella città di Ferrara, come risulta dai contratti stipulati con il capitolo della cattedrale, segnalati da A. Colombi Ferretti (1980). La notizia è significativa perché testimonia della volontà del M. di aprirsi un mercato alternativo a quello, già saturo a causa della copiosa produzione di Massa, della natia Carpi e della zona circostante. I paliotti eseguiti per il duomo di Ferrara sono andati purtroppo perduti. Il paliotto dell’Assunta della cappella del castello di Spezzano di Fiorano Modenese, segnalato da Garuti, firmato e datato 1699, è stato anch’esso recentemente restaurato (Manni, 1997). Al 1700 risale il paliotto dell’altare di S. Francesco in S. Stefano a Reggio Emilia, che replica il precedente in quanto a schema compositivo.
Neumann, riferendosi a quest’opera, ne sottolinea la novità, già introdotta da Massa e da Pozzuoli, ma ripresa con altri esiti dal M.: il paliotto, infatti, viene ora concepito come un unico campo da decorare, e non come una superficie articolata e divisa in parti più piccole, secondo quanto era stato normalizzato da Gavignani. Oltre ai dossali dalle colorate cornucopie cariche di fiori e tralci, in cui si annidano uccelli e insetti, caratteristico del M. è il paliotto con motivi d’intreccio a finto marmo, a formare ovali e cornici racchiudenti varie raffigurazioni, come si vede negli esemplari della chiesa di Motta di Cavezzo e della parrocchiale di Camposanto, nonché nella chiesa del Voto e in S. Pietro a Modena (Cremaschi). Quest’ultimo gruppo ha una collocazione cronologica incerta, perché nessuno dei paliotti che presentano una tale decorazione è datato. Manni (1997) ne pubblica un buon numero di pezzi, distribuiti essenzialmente a Modena (oltre ai già citati, quelli delle chiese di S. Maria di Pomposa e di S. Vincenzo), a Sassuolo e nel Reggiano.
Il naturalismo di alcune soluzioni del M. viene avvicinato da Garuti a certe soluzioni di G.M. Barzelli; mentre una parte dei motivi decorativi e la vivacità cromatica ricordano l’opera dei Leoni, in particolare di Giovanni, attivo a Fontanellato in anni precedenti il soggiorno del Mazelli.
Cirillo e Godi segnalano come il paliotto della seconda cappella di destra della chiesa dei Ss. Vito e Modesto di Polesine Parmense fosse in origine firmato dal M. e datato 1701. Quest’opera è simile agli otto paliotti della chiesa della Madonna del Rosario di Fontanellato, tutti firmati e datati 1701.
Considerati dalla critica il capolavoro del M., furono elaborati insieme con altre opere, in un tempo decisamente breve: Manni ipotizza pertanto che lo scagliolista avesse a sua disposizione una bottega molto ben strutturata, con diversi aiuti su cui poter contare per far fronte alle commissioni. I paliotti si presentano organizzati per coppie, caratterizzati da una diversa impostazione della decorazione: se il paliotto con l’Angelo che regge il monogramma di Cristo e quello con il Crocifisso riprendono il dossale di Spezzano, la coppia con S. Domenico e S. Margherita offre degli interessanti riquadri con uccelli, mentre i due con al centro S. Tommaso d’Aquino e S. Giacinto sono stati messi in relazione con la produzione di Pozzuoli, quasi una sorta di omaggio al collega artista (Manni, 1997). Infine, la coppia di paliotti con S. Rosa da Lima e S. Raimondo è quella che presenta lo schema, i colori, la vivacità, che il M. adopererà nei paliotti romagnoli (ibid.). Le fonti (in particolare Cabassi) citano diverse sue opere, non tutte conservatesi, tra cui un tavolino di soggetto profano, firmato e datato anch’esso 1701, eseguito per i conti Gonzaga di Novellara (Guaitoli).
Secondo Cabassi, dopo il 1701 il M. si sarebbe trasferito definitivamente in Romagna, grazie alla testimonianza dei paliotti in S. Maria in Porto a Ravenna, firmati e datati 1709, molto meno vivaci ed elaborati del solito e più popolareschi (Manni, 1997); mentre A. Colombi Ferretti (1980) ricorda il paliotto dell’altar maggiore della chiesa di S. Paolo a Ferrara, firmato e datato 1713. Le opere romagnole del M. erano destinate a influenzare sensibilmente le generazioni successive di artisti attivi nella regione, com’è stato evidenziato dagli studiosi, che ne hanno rintracciato i modi in varie opere, sottolineando come la produzione dell’ultimo periodo del M. dovesse essere ben più cospicua di quella sopravvissuta.
Non si hanno notizie del M. dopo il 1713.
Fonti e Bibl.: E. Cabassi, Notizie degli artisti carpigiani con le aggiunte di tutto ciò che ritrovasi d’altri artisti dello Stato di Modena (1778-83), a cura di A. Garuti, Modena 1986, pp. 140 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, VI, Modena 1786, p. 467; A. Guaitoli, L’arte della scagliola a Carpi nel XVII e XVIII secolo, Carpi 1928, pp. 49 s.; E. Neumann, Materialien zur Geschichte der Scagliola, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, LV (1959), pp. 107 s.; La scagliola carpigiana (catal., Carpi), a cura di C. Contini, Modena 1967, pp. n.n.; G. Godi, Soragna: l’arte dal XIV al XIX secolo, Parma 1975, scheda n. 58; G. Morandi, Da Casalmaggiore a Villacampagna di Soncino. La decorazione a scagliola nella storia dell’arte, in Cremona, 1976, n. 4, pp. 71-74; R. Cremaschi, L’arte della scagliola carpigiana nei secoli XVII, XVIII e XIX, Carpi 1977, pp. 69-71; A. Colombi Ferretti, in L’arredo sacro e profano a Bologna e nelle Legazioni pontificie (catal.), a cura di J. Bentini, Bologna 1979 p. 175 e scheda n. 405; Id., I paliotti in scagliola, in Cultura popolare nell’Emilia Romagna. Vita di borgo e artigianato, Milano 1980, pp. 226, 232-234; G. Cirillo - G. Godi, Guida artistica del Parmense, I, Parma 1984, pp. 16, 79s., 143, 145, 148; R. Cremaschi, I paliotti in scagliola, in S. Pietro in Modena, mille anni di storia e arte, Modena 1984, pp. 159-164; Arte a Mirandola e nella Bassa Modenese, a cura di G. Manni, Modena 1988, pp. 100 s.; A. Garuti, La scagliola. Arte dell’artificio o della meraviglia, in La scagliola carpigiana e l’illusione barocca, Modena 1990, pp. 84-88; G. Manni, Mobili antichi in Emilia Romagna, Modena 1993, pp. 348, 366, 368; S. Urbini, S. Maria di Pomposa. Paliotti in scagliola, in C. Franzoni - L. Rivi, I luoghi sacri dell’arte. Itinerari nelle chiese modenesi di proprietà comunale, Modena 1994, p. 87; G. Manni, I maestri della scagliola in Emilia Romagna e Marche, Modena 1997, pp. 86-113; A.M. Massinelli, Scagliola. L’arte della pietra di luna, Roma 1997, pp. 105 s.; M. Mander, Origini e storia del procedimento d’intarsio della scagliola, in Un capolavoro del Settecento: le scagliole intarsiate nella Valle del Serchio, Bagni di Lucca 2002, p. 14; C. Cecchinelli - F. Dallasta, Il convento dei cappuccini di Fontevivo (Parma), Roma 2005, p. 106; M. Mander, Scagliole tra Emilia e Lombardia: una sintesi, in Scagliole intarsiate. Arte e tecnica nel territorio ticinese tra il XVII e il XVIII secolo (catal., Rancate), a cura di E. Rüsch, Cinisello Balsamo 2007, p. 22; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 307.