Minghetti, Marco
Uomo politico (Bologna 1818 - Roma 1886). Proveniente da un’agiata famiglia della borghesia agraria, dal 1832 soggiornò con la madre, rimasta vedova, a Parigi presso lo zio Pio Sarti, dove ebbe modo di frequentare gli esuli italiani, tra i quali Francesco Orioli, Terenzio Mamiani, Pietro Maroncelli. Tornato a Bologna, si dedicò agli studi scientifici e letterari e nel 1839 intervenne al primo congresso degli scienziati svoltosi a Pisa. Negli anni seguenti i numerosi viaggi compiuti in Italia e all’estero allargarono i suoi orizzonti culturali e lo misero ancor più in contatto con gli ambienti liberali. Tra il 1842 e il 1847 partecipò attivamente alle iniziative della Società agraria bolognese, espressione dei gruppi intellettuali e liberali, e collaborò con la rivista da questa pubblicata, «Il Felsineo». Condivise inizialmente le speranze giobertiane di un possibile rinnovamento della politica pontificia e nel giugno 1846 fu tra i firmatari del memoriale inviato al conclave riunito a Roma al fine di ottenere alcune riforme amministrative e politiche. Dopo l’elezione di Pio IX partecipò attivamente alla vita pubblica e ai tentativi di imprimere al governo pontificio un indirizzo liberal-moderato. Nel 1847 fece parte della Consulta di Stato; fu poi ministro dei Lavori pubblici nel primo ministero aperto alla partecipazione dei laici formatosi il 10 marzo 1848. Dopo le dimissioni del governo, seguite all’allocuzione papale del 29 aprile che imponeva il ritiro dalla prima guerra di indipendenza del contingente pontificio, Minghetti lasciò Roma e, arruolatosi nell’esercito piemontese, combatté a Goito, a Mantova e a Custoza. Congedatosi, tornò a Bologna e, poiché era stato nel frattempo eletto al Consiglio dei deputati, si recò a Roma per l’inaugurazione del Parlamento; dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi si dimise e si ritirò dalla scena politica. Durante gli anni della seconda restaurazione visse a Bologna occupandosi prevalentemente di studi letterari ed economici. Fece frequenti viaggi a Torino, dove nel 1852 ebbe modo di conoscere Cavour, e si recò anche in Francia, Inghilterra e Germania. In questo periodo cominciò a maturare una progressiva distanza dal programma neoguelfo. Nel 1856, su richiesta di Cavour, redasse un memoriale sullo stato delle provincie dell’Italia centrale soggette al governo pontificio, presentato poi dallo statista piemontese al Congresso di Parigi. Contribuì, sempre in quel periodo, a dar vita in Romagna alla Società nazionale. Nel 1859, mentre era in viaggio per l’Egitto, fu richiamato in Italia da Cavour che, in vista della guerra contro l’Austria, lo nominò segretario generale al ministero degli Esteri. In seguito alla sollevazione della Toscana, delle Romagne e dei ducati, Minghetti assunse la «direzione degli affari d’Italia». Lasciati gli incarichi dopo Villafranca e le dimissioni di Cavour, fu acclamato presidente dell’Assemblea delle Romagne. Nel 1860 fu eletto deputato al Parlamento subalpino, e, nel nuovo gabinetto Cavour, fu nominato ministro dell’Interno. Mantenne tale carica anche nel gabinetto Ricasoli dal quale però si dimise per l’opposizione che incontrò il suo progetto di cauto decentramento amministrativo. Ministro delle Finanze dal 1862 al 1864, elaborò un piano di risanamento finanziario che prevedeva tagli alla spesa e inasprimento del carico fiscale. Nel marzo del 1863 fu nominato presidente del Consiglio, mantenendo anche il dicastero delle Finanze, e riprese le trattative con la Francia, già avviate dai suoi predecessori Ricasoli e Rattazzi, che portarono alla stipula della Convenzione di settembre. L’accordo, che prevedeva il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e il ritiro graduale delle truppe francesi da Roma, riprendeva le linee guida del progetto cavouriano teso a trovare una soluzione della questione romana in accordo con la Francia. Quando il testo della Convenzione fu reso notò suscitò violente reazioni negative nell’opinione pubblica e Minghetti fu costretto a dimettersi (1864). Tornò al governo nel 1869 come ministro dell’Agricoltura nel terzo governo Menabrea. In tale veste potenziò le attività del dicastero facendone un punto di incontro tra gli interessi delle varie categorie economiche e la politica governativa. Per sua iniziativa vennero istituiti i Consigli superiori per l’industria e il commercio, per l’agricoltura e per la previdenza. Inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Vienna nel 1870, ritornò alla presidenza del Consiglio nel luglio 1873 conservando per sé il portafoglio delle Finanze. La politica di rigore finanziario permise di raggiungere il pareggio del bilancio ma l’indirizzo economico dell’esecutivo generò critiche crescenti. Nel marzo del 1876 il governo fu messo in minoranza sul progetto di legge per il passaggio alla gestione statale delle ferrovie e Minghetti fu così costretto a dimettersi. Il suo fu l’ultimo governo della Destra. Tornato al suo posto di deputato, divenne il capo dell’opposizione parlamentare. Nel 1883 fu tra quanti si mostrarono disponibili a quella convergenza con le forze della Sinistra che era stata promossa da Depretis e che avrebbe preso il nome di trasformismo. Socio nazionale dei Lincei dal 1875, ha lasciato numerosi scritti tra cui: Dell’economia pubblica e delle sue attinenze con la morale e col diritto, 1858; Della libertà religiosa, 1871; Stato e Chiesa, 1878; I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione, 1881; La Convenzione di settembre, pubblicato postumo a Bologna nel 1899.