NOVATI, Marco
– Figlio di Cesare e di Sofia Barazzoni, nacque a Venezia il 20 maggio 1895.
Frequentò il ginnasio Marco Foscarini, ma la naturale irrequietudine, che lo rendeva poco incline alla disciplina scolastica, convinse il padre, che gestiva in piazza S. Marco l’albergo del Cappello Nero, a trovargli un posto di cameriere presso il Bayerischer Hof di Monaco dove nei momenti liberi – come avrebbe ricordato più tardi Novati stesso – copiava le copertine di Simplicissimus (Rizzi, 1962). Da qui iniziarono i primi viaggi, che lo portarono a Losanna, Sankt Moritz, Dresda, Parigi, sempre praticando il disegno come libera attività, finché lo scoppio della prima guerra mondiale lo indusse a fare ritorno in Italia, dove si arruolò volontario.
Dopo aver seguito per alcuni mesi i corsi di illustrazione del libro all’Istituto d’arte dei Carmini di Venezia, dal 1919 iniziò a frequentare lo studio del pittore Emilio Paggiaro, al quale tuttavia si sottrasse presto, considerandosi di fatto un autodidatta. Attorno a quell’epoca disegnò con l’amico Eugenio Da Venezia studi anatomici presso l’Ospedale civile veneziano. La morte della madre e l’improvviso dissesto finanziario subito da padre costituirono una svolta fondamentale nella sua vita. Si vide obbligato a guadagnarsi da vivere, affrontando grandi difficoltà, che acuirono la sua sensibilità verso gli aspetti più duri della realtà e l’interesse per soggetti sgradevoli, traducendoli in dipinti amari, cupi, come L’idiota, Nònsolo, La gleba(Venezia, Ca’ Pesaro), eseguiti attorno al 1924-25, distanti tanto dall’Accademia dei tradizionalisti (per esempio Ettore Tito) quanto dal delicato impressionismo della scuola di Burano e anche dal classicismo formalista di Novecento e di Valori Plastici.
Nel 1929 fu prese parte a Milano alla II Mostra del Novecento italiano. Salvo per alcuni richiami a Gino Rossi (per esempio in Pescatore del 1925), che conosceva bene, si presentava come un pittore difficilmente classificabile, soprattutto nel contesto lagunare che all’indomani della prima guerra mondiale, esauritasi la stagione capesarina, affrontava un’autentica restaurazione estetica. Opere di rilievo dei primi anni Venti, quando iniziò a esporre alle mostre dell’Opera Bevilacqua La Masa, sono Palingenesi (1921), Le confidenze di Clotilde (1923), Il bene e il male (1924), I pelapatate, La cugina, acquistato dal Comune di Venezia (Venezia, Ca’ Pesaro). A partire da quelle date, inoltre, opere dell’artista iniziarono a entrare nelle raccolte reali: Scaricatore, acquistato alla Mostra del Sindacato di scultori e pittori veneziani nel 1926, e Vecchia popolana comprato all’Esposizione permanente d’arte e industrie veneziane nel 1928 (Roma, Patrimonio artistico del Quirinale).
Nonostante l’adesione ai temi popolari, Novati vantava un’ampia cultura figurativa, prediligendo la grande scuola realista europea che da Franz Hals, Rembrandt, dalla pittura tedesca, fiamminga e olandese del Seicento, attraverso la scuola ottocentesca di Lovis Corinth, risaliva idealmente fino all’espressionismo di un Constant Permeke (Rizzi, 1971). Un pittore appartato, lontano dalla programmaticità delle avanguardie e tuttavia ben conscio delle questioni chiave dell’uomo e della società moderni.
Le due opere presentate alla XVI Biennale veneziana del 1928 – dove Novati espose per la prima volta – acquistate dalla Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, lo imposero all’attenzione del pubblico, mostrando una pittura orientata verso un realismo a tinte forti, con immagini crude e cariche d’angoscia: Macello, dove l’enfasi è posta sul gesto dell’uomo che si appresta a sferrare al bove il colpo mortale, e Tragedia, scena di disperato, opprimente compianto funebre.
Fu lo stesso Novati (Coraggio e fede nell’arte, in Le tre Venezie, giugno 1941) a identificare nel periodo attorno al 1929-33 il momento di maturità artistica: «Pochi colori, plastica mossa ma sintetica, disegno nervoso e frequente. […] Brevemente: non verismo puro, ma espressività nel verismo. […] Disprezzo la pittura piccolo-borghese, ma ho ugualmente disprezzo per certa pittura che vorrebbe essere di classicità e stile, ed è un ignobile trucco, un volgare schema. L’umanità, il senso di fatica, di cruccio, di dolore vero e proprio, la sciente incoscienza dei credenti, questo io apprezzo e mi commuove. Perché so che nel dolore gli uomini si riconoscono».
A quell’epoca risalgono alcuni paesaggi del Mar Nero eseguiti durante un viaggio in Russia, tra cui Il porto Tuapse (Circassia), del 1931, acquistato dalla Casa reale alla Biennale di Venezia del 1932 (Roma, Patrimonio artistico del Quirinale).
Frequentò palazzo Carminati dove erano gli studi dell’Opera Bevilacqua La Masa e alla fine degli anni Trenta abbandonò lo studio situato al piano terra di S. Giacomo dall’Orio, trovando rifugio a S. Vio (Dorsoduro), suo punto d’osservazione privilegiato della vita popolare veneziana. Iniziò a ritrarre soprattutto figure di anziani, uomini e donne consunti dalla fatica e dal dolore, rivelando egli stesso la propria predilezione per i vecchi, la cui «tragica carne è un misto di sangue, di ferro, di muffa, di polvere…Di polvere, soprattutto, e di infermità e di dolore, ciò che vuol dire esperienza e saggezza» (Facco De Lagarda, 1947). Alla fine degli anni Venti aveva avviato il così detto ‘ciclo delle vecchie nude’, con dipinti come Vecchie al sole (1926), Vecchia nuda (1932), fino all’allucinato e grottesco La piscina delle vecchie, 1950 circa, dalle atmosfere echeggianti l’espressionismo tedesco.
Produsse anche dipinti di soggetto sacro, in particolare Flagellazione, che figurò alla Mostra di arte sacra di Padova del 1932, e Deposizione, parte della serie per la stazione della via Crucis alla mostra dell’UCAI (Unione cattolica artisti italiani) veneziano a S. Vidal nel 1950. Negli anni Trenta, in particolare, si dedicò anche ai ritratti di artisti, attori, letterati, personaggi della diplomazia internazionale (da Gildo Meneghetti, primo attore comico della Compagnia Vergani, a Luigi Pirandello, Marta Abba, la sorella Cele Abba, Luigi Cimara, Paola Borboni, Kiki Palmer, incontrata al caffè dell’Angelo, ritrovo veneziano d’artisti, Alessandro Moissi, conosciuto al Cappello Nero quando Novati era ancora bambino, il poeta Diego Valeri e lo scrittore Ugo Facco De Lagarda), esposti alla Biennale di Venezia nel 1934 e nel 1936 (Querèl, 1937). Nel 1951 ritrasse Emilio Vedova.
Pittore per eccellenza della figura umana, nonostante avesse praticato anche la natura morta e il paesaggio, Novati trovava i soggetti prediletti nei solitari bevitori delle osterie veneziane più appartate, nei braccianti, nei gondolieri, nei pescatori, facchini, straccivendoli, scaricatori di porto, mendicanti e vecchie prostitute, a comporre un tragico e sublime repertorio umano di travaglio e sofferenza, lontano da intenzioni polemiche o di denuncia, motivato da un costante desiderio di conoscenza e profonda comprensione. Basti ricordare l’intenso Uomo stanco del 1928, una delle sue opere più importanti, Scaricatore e Cacciatore di frodo del 1930, L’idiota dell’anno successivo, Bevitore e L’uomo del popolo del 1944 (Branzi, 1957).
Nel 1930 espose numerose opere alla XXI Esposizione Bevilacqua La Masa-I Regionale veneta del Sindacato belle arti, a Venezia (Il cacciatore, Natura morta, La vecchia nuda e il contadino, Coniglio e guantiera, L’uomo stanco) e ben sette dipinti alla Biennale di Venezia (Macello, Figura, Signora in nero, Bambina di schiena, Bambina, Natura morta-selvaggina con bicchiere, Natura morta-selvaggina).
Aderì al gruppo dei Tredici artisti veneziani, con i quali espose a Roma alla Galleria d’arte moderna tra il novembre e il dicembre 1931 e a Firenze nel gennaio 1932. La sua presenza alle mostre dell’Opera Bevilacqua La Masa a Venezia, tenute in concomitanza con quella del Sindacato fascista belle arti, fu costante: nel 1931 espose Canal Grande, Donne curiose, Mattino di primavera, Vecchie al sole; nel 1932 due ritratti; nel 1936 due Testa di vecchio e Traghetto; nel 1937 Suonatore di chitarra e l’anno successivo Ritratto e Paesaggio. Ancora nel 1939, questa volta a Padova, alla Mostra sindacale artisti veneti espose S. Trovaso, Testa d’uomo, Le corporazioni fasciste, Movimento di gondole, Orientale. Figura, presentato all’esposizione dell’Opera Bevilacqua La Masa del 1940, venne acquistato dalla Casa reale (Roma, Patrimonio artistico del Quirinale). Nel 1941 espose Il duce e Pescatore alla X Mostra d’arte del Sindacato interprovinciale fascista belle arti della Venezia Tridentina di Trento. Il suo nome divenne inoltre familiare alle esposizioni della Quadriennale romana sin dalla prima edizione del 1931, fino all’ottava. Nel 1935 espose alla II Quadriennale Gli elementi, e partecipò con sette dipinti alla Mostra dei quarant’anni della Biennale. 1895-1935.
Tra le opere esposte alla Biennale di Venezia del 1952 la tavola Bue squartato era palesemente ispirata all’omologo soggetto di Rembrandt, artista per il quale Novati aveva da sempre professato profonda ammirazione. In quello stesso anno gli venne conferito il Premio Favretto e nel 1954 il premio del Rotary Club alla Biennale veneziana e il premio Disegno italiano a Savona. Alla Biennale del 1954, oltre a Il maestroTagliapietra e le tavole Suonatore, Opera n. 5, Grande concerto, presentò Fatto di cronaca (coll. privata), proponendo gli scenari tetri e tragici degli esordi con uno stravolto linguaggio espressionista. Da quel momento in poi non prese più parte all’eposizione lagunare, lavorando sempre più appartato mentre il suo stile evolveva, introducendo colori più tenui e accentuando la presenza del segno in una superfice pittorica scarna, che procede per accenni e si fa quasi ‘grafica’.
Nel 1964 si tenne presso l’Opera Bevilacqua La Masa un’importante mostra antologica: Novati, ormai settantenne, iniziava a incontrare un certo successo commerciale e di pubblico, avendo ormai smorzato l’impatto violento della sua pittura, che si faceva piuttosto ripetitiva nei soggetti.
Sebbene avesse dovuto in taluni casi venire a compromessi con i gusti del pubblico per ovvie ragioni di necessità economica, mantenne sostanzialmente immutate le proprie posizioni artistiche, affermando: «Io sono in fondo un espressionista, ma a base classica, non gotica. Cerco di approfondire non soltanto lo studio della forma e del colore, ma anche, e direi soprattutto, lo studio dell’uomo, con i suoi smarrimenti, con le sue tragedie quotidiane, con la sua disperazione» (Ortolani, 1964).
Nel 1967 partecipò alla mostra Arte moderna in Italia 1915-1935 nel fiorentino palazzo Strozzi, presentata da Carlo Ludovico Ragghianti. Tra le ultime iniziative, nel dicembre 1971, con il patrocinio della Croce Rossa italiana, tenne a Roma presso Palazzo delle Esposizioni la mostra Marco Novati.Per Venezia. Nel 1975, due mesi prima di morire, presso il Centro San Vidal di Venezia venne organizzata una mostra di ritratti, dove ricevette la medaglia d’oro della città.
Morì a Venezia il 24 luglio 1975.
Fonti e Bibl.: V. Querèl, Dieci minuti rubati M. N. Ritrattista degli artisti, in Il Popolo, 4 agosto 1937; U. Facco De Lagarda, I poveri di N., in Gazzettino (Venezia), 17 aprile 1947; G. Cucchetti, Incontri con pittori. Suonate molto forte alla porta di M. N., in L’Avvenire d’Italia, 14 dicembre 1952; N., catal., presentazione di G. Marchiori, Bolzano 1961; M. N., a cura di S. Branzi, Venezia 1961; P. Rizzi, M. N. trascorre la sua vita in trincea, in Gazzettino (Venezia), 19 settembre 1962; Mostra antologica di M. N. (catal. Galleria Bevilacqua La Masa), a cura di G. Perocco - G. Trentin, Venezia 1964; D. Valeri, L’opera di M. N. (catal. galleria del Sagittario), Venezia 1964; D. Ortolani, M. N. e la tradizione, in Giornale d’Italia, 14 giugno 1964; Arte moderna in Italia 1915-1935, catal., presentazione di C.L. Ragghianti, Firenze 1967, p. 134; M. N., Venezia 1971; Momenti del realismo: prima indagine critica nelle Tre Venezie (catal. Lido di Jesolo), a cura di M. De Micheli, Milano 1971; M. N. Per Venezia. Opere del periodo 1920-1970 (catal., Roma), Venezia 1971 (testo di P. Rizzi); Il piccolo binario di M. N., a cura di P. Rizzi, Feltre 1976; M. N. (catal. Venezia), Cittadella 1985; Il patrimonio artistico del Quirinale. La quadreria e le sculture, a cura di A.M. Damigella - B. Mantura - M. Quesada, Milano 1991, p. 1203, n. 341; Donazione Eugenio Da Venezia, Venezia 1994, pp. 16-19; M. N. (1895-1975). Dipinti della collezione della Cassa di risparmio di Venezia, a cura di E. Di Martino, Venezia 1995; P. Rizzi, M. N.. Mostra di dipinti a cent’anni dalla nascita (catal., Centro d’arte San Vidal), Venezia 1995; Arte e Stato. Le esposizioni sindacali nelle Tre Venezie 1927-1944, a cura di E. Crispolti - M. Masau Dan - D. De Angelis, Milano 1997, pp. 170 s., 261, 271 e passim; N. Stringa, Venezia, in La pittura in Veneto. Il Novecento, I, Milano 2006, p. 63; L. Poletto, M. N., in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizio-nario degli artisti, a cura di N. Stringa, Milano 2009, pp. 316 s.; I. Prandin, in Settepittori, settemondi: la «bohème» di palazzo Carminati (catal. Venezia), a cura di R. Dal Canton, Treviso 2010, pp. 34-51; P. Rizzi, ibid., pp.134-151.