PANTANI, Marco
– Nacque a Cesena il 13 gennaio 1970 da Paolo e da Tonina Belletti.
Poco attratto dagli studi, si dedicò prima al calcio poi al ciclismo, iniziando a correre nella ‘Fausto Coppi’ di Cesenatico. Mostrò subito grandi doti di scalatore, arrivando terzo, nel 1990, al Giro d’Italia dilettanti, che vinse due anni dopo.
Divenuto professionista nel 1993, partecipò al Giro d’Italia con la maglia della Carrera, ma fu costretto a ritirarsi per una tendinite in seguito a una caduta. L’anno seguente si rivelò al Giro vincendo le tappe di Merano e dell’Aprica e finendo secondo in classifica generale. Partecipò pure al Tour de France, arrivando terzo in classifica generale e aggiudicandosi la maglia bianca di miglior giovane.
Avviato a una carriera che già sembrava densa di successi, nel 1995 subì un grave infortunio: mentre si preparava per il Giro fu investito da un’automobile e rimase per diversi mesi fuori dalle gare. Non era il primo incidente della sua carriera: da dilettante, nel 1986, sempre investito da un’auto, aveva subito un grave trauma alla milza; nel 1988 si era fratturato la clavicola in seguito a una caduta; nel 1990 si era procurato la lussazione della clavicola. Nel corso del 1995 riuscì comunque a riprendersi e a partecipare al Tour, dove trionfò nella tappa dell’Alpe d’Huez e in quella pirenaica di Guzet Neige. Arrivò poi terzo al Campionato del mondo disputatosi in Colombia.
Era ormai entrato nel gotha del ciclismo internazionale, quando il 18 ottobre di quello stesso anno riportò un nuovo grave infortunio: durante la Milano-Torino fu ancora una volta investito da un’automobile che, in piena gara, viaggiava contro mano, riportando la frattura della tibia e del perone. Persa tutta l’annata 1996, l’anno successivo passò alla Mercatone-Uno, ma un altro infortunio lo colpì al Giro d’Italia: nella discesa del valico di Chiunzi l’attraversamento della strada da parte di un gatto lo fece cadere rovinosamente. Recuperò comunque in tempo per partecipare al Tour, dove lottò a lungo per la vittoria finale, avendo la meglio in due importanti tappe: ancora all’Alpe d’Huez e a Morzine. Particolare clamore fece la sua vittoria all’Alpe d’Huez, mitica cima della corsa francese, che percorse, come mai nessuno prima di allora, in 37 minuti e 35 secondi. Finì terzo in classifica generale, dietro Jan Ullrich e Richard Virenque.
Fu in quel Tour che prese a indossare la bandana e divenne per tutti ‘il Pirata’. Ormai Pantani era entrato nel cuore dei tifosi, non solo italiani. Il suo ciclismo, fatto di scatti repentini e di pedalate nervose nelle salite assolate, esaltava le masse, che vedevano in lui un campione di altri tempi, votato alla fatica e al sacrificio.
Il 1998 fu l’anno della sua definitiva consacrazione, in quanto riuscì a vincere sia il Giro d’Italia sia il Tour de France, accoppiata che lo accomunava ai più grandi campioni, come Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Miguel Indurain. Al Giro trionfò grazie al successo nella frazione di Plan di Montecampione, dove staccò tutti gli uomini a lui più vicini in classifica.
«Questa maglia rosa» – affermò – «è una gioia immensa. Va oltre l’aspetto sportivo. È come se la vita mi stesse restituendo qualcosa che mi aveva negato» (Bergonzi, Cassani, Zazzaroni, 2006, p. 48).
Più difficile fu il successo al Tour, dove dovette recuperare oltre cinque minuti di svantaggio accusati nelle prime dieci tappe. Costruì la sua vittoria nella quindicesima tappa, allorché sul colle del Galibier inflisse nove minuti al suo rivale Ullrich. «Con tutto quello che mi è capitato ho imparato a convivere con la sofferenza. Perché vado così forte in montagna? Per abbreviare l’agonia» (p. 51).
L’anno seguente stava dominando il Giro d’Italia quando, il 5 giugno a Madonna di Campiglio prima della partenza della penultima tappa, fu fermato dagli organizzatori della corsa perché dalle analisi risultava una concentrazione di globuli rossi superiore al livello consentito. Fu immediatamente sospeso per quindici giorni. Disorientato, in preda a una forte depressione, dichiarò che non voleva più saperne del ciclismo e della bicicletta. Si sentiva tradito da tutti, dai compagni e dai responsabili della Federazione ciclistica italiana e del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Passava molte ore in solitudine, facendo uso di cocaina.
La stagione successiva partecipò tuttavia al Giro, anche se in una condizione fisica tutt’altro che soddisfacente. Si distinse solo nella scalata dell’Izoard, dove fece da gregario a Stefano Garzelli, suo compagno di squadra vincitore del Giro. Puntò molto sul Tour, dove ebbe la soddisfazione di battere il nuovo astro nascente Lance Armstrong (cui poi sarebbero state tolte le sette vittorie conseguite nella corsa francese per uso di sostanze dopanti) nella prestigiosa tappa che portava al Mont Ventoux. Pochi giorni dopo ripeté l’impresa nella tappa di Courchevel, dove vinse in solitaria. Ma anche quella vittoria, che pur gli ridiede un’amplissima notorietà, non riuscì a sollevarlo.
Sempre più prostrato nel morale, anche a causa di un processo in corso contro di lui per frode sportiva, nel 2001 e nel 2002 partecipò ancora al Giro d’Italia, correndo tuttavia in modo piuttosto anonimo. L’anno successivo partecipò al Giro con migliori risultati, finendo tredicesimo, ma senza vittorie di tappa. Per lottare contro la depressione, nel luglio di quell’anno entrò nella clinica Parco dei Tigli di Teolo (Padova), dove rimase una decina di giorni.
Il 14 febbraio 2004 Pantani fu trovato morto in una stanza del residence Le Rose di Rimini, in seguito a un edema polmonare e cerebrale dovuto a eccesso di cocaina.
Fu sepolto nel cimitero di Cesenatico. Complessivamente aveva ottenuto da professionista trentaquattro vittorie. Si spegneva, con lui, uno dei più amati campioni della storia del ciclismo. Per ricordarlo l’organizzazione del Giro d’Italia stabilì che, dal 2004, alla montagna più rappresentativa della corsa venga assegnato il nome di Montagna Pantani, onore concesso fino ad allora solo a Fausto Coppi, a cui viene dedicata ogni anno la cima più alta del Giro. Anche il Tour ha voluto ricordarlo con una stele sul Col du Galibier, in memoria dello scatto che gli procurò la vittoria di tappa nel 1998. Sulle circostanze e le cause della morte si sono aperte inchieste giornalistiche e sono stati avviati procedimenti giudiziari.
Fonti e Bibl.: B. Conti, M. P.: una vita da Pirata, Milano 2004; M. Ronchi - G. Josti, Un uomo in fuga: la vera storia di M. P., Milano 2004; F. Marmaglia, Appena sotto il cielo, Torino 2005; P. Bergonzi - D. Cassani - I. Zazzaroni, P.: un eroe tragico, Milano 2005; J. Wilcockson, M. P.: the legend of a tragic champion, Boulder (CO), 2005; S. Barzanti, M. P.: mito e tragedia, Faenza 2006; P. Bergonzi - D. Cassani - I. Zazzaroni, Vai, P.!, Milano 2006; F. Brunel, Gli ultimi giorni di M. P., Milano 2008; T. Pantani - E. Vicennati, Era mio figlio, Milano 2008; G. Alessandri, M. P. ultimo eroe romantico, Firenze 2009; A. Fornari - D. Monti, Io Marco: la storia di M. P. raccontata in prima persona, Castrocaro Terme 2009; C. Cito, Il fantasma del Galibier: il Tour di M. P., Arezzo 2010; A. Donati, Lo sport del doping, Torino 2012; G. Mura, La fiamma rossa, a cura di S. Bacillari, Roma 2012, pp. 173-254.