POLO, Marco
Viaggiatore veneziano, nato nella città lagunare o a Curzola, in Dalmazia, nel 1254 e morto a Venezia nel 1324.Tra quanti nel Medioevo, mercanti e missionari - affiorati alla storia per la presenza di documenti e testimonianze o rimasti oscuri -, tentarono la via dell'Oriente, Marco P. emerge per il contributo dato, attraverso il Milione, alla cultura occidentale e perché la sua impresa, per taluni aspetti straordinaria, rimane esemplare di quella breve ma fervida stagione di contatti commerciali, culturali e politici tra Oriente e Occidente trascorsa dall'ascesa al declino della potenza mongola, tra la seconda metà del sec. 13° e la prima metà del successivo. La presenza nelle repubbliche marinare, a Venezia e a Genova innanzitutto, di un'intraprendente classe mercantile in grado di finanziare avventure commerciali onerose e di distribuire il prodotto importato, la relativa sicurezza delle vie e la pacificazione delle genti d'Asia - assicurata dallo yasak, la legge imposta da Genghiz Khān e dai suoi successori, i quali, conquistata l'area iranico-mesopotamica, erano interessati a stringere un'alleanza con l'Occidente cristiano per annientare le potenze musulmane e assicurarsi l'accesso al Mediterraneo - furono le condizioni storiche che favorirono se non promossero i viaggi in Oriente.Il rischio e l'impegno richiesti, sul piano umano come su quello finanziario, da un viaggio in Estremo Oriente erano enormi, ma eccezionali erano le possibilità di guadagno per la concorrenza quasi inesistente incontrata dai mercanti in Cina e per la rarità delle merci importate - la seta cinese e, in misura minore, le perle dell'oceano Indiano -, materie prime che venivano scambiate con prodotti lavorati nelle manifatture occidentali, come fini tele di lino, lane tessute nelle Fiandre o a Firenze, ambra, corallo, gioielli e congegni meccanici.Il viaggio di Marco P. non fu un'esperienza isolata; del resto la sua famiglia, appartenente al patriziato veneziano, cioè all'aristocrazia mercantile di antica data, era da generazioni impegnata in attività commerciali ad ampio raggio. Nel 1261, con lungimirante decisione, i Polo trasferirono la loro sede operativa da Costantinopoli a Soldaja (od. Sudak), in Crimea: l'impero latino d'Oriente, costituito nel 1204, era ormai prossimo alla disfatta e il futuro imperatore Michele Paleologo, con il trattato di Ninfeo (13 marzo 1261) già accordava ai Genovesi i privilegi commerciali sino ad allora goduti dai Veneziani.Da Soldaja il padre di Marco, Niccolò, e lo zio Matteo condussero i loro traffici sino alla corte di Qubilay Khān, al seguito di un messo inviato dal sovrano mongolo di Persia. Tornati in Occidente nel 1269, sostarono lungamente ad Acri, in attesa dell'elezione del nuovo pontefice, al quale dovevano presentare una richiesta di Qubilay. Questi chiedeva l'invio in Oriente di un centinaio di uomini saggi e sapienti, in grado di confutare il sapere dei lama, il cui prestigio, divenuto enorme per le loro qualità medianiche e per i loro sortilegi, il sovrano mongolo intendeva contrastare. Poiché l'attesa era vana, i Polo si recarono anche a Venezia per tornare, con il giovane Marco, nel 1271 ad Acri, dove incontrarono l'arcidiacono di Liegi Tebaldo Visconti da Piacenza, eletto poco dopo al soglio pontificio con il nome di Gregorio X (1271-1276).I tre Polo ripartirono alla volta della Cina recando doni e lettere del papa per Qubilay, nonché l'ampolla dell'olio usato per la lampada del Santo Sepolcro, richiesta dal Gran Khān e dal clero nestoriano presente alla sua corte, sia per devozione sia per compiere riti da contrapporre alle pratiche magiche dei lama. I Polo raggiunsero Qubilay a Chang tu, capitale estiva dell'impero, dopo un viaggio di oltre tre anni e mezzo, attraverso il Medio Oriente e l'Asia centrale, in condizioni inimmaginabili, affrontando insidie legate non solo al diffondersi di epidemie ma anche ai conflitti in atto e alle aggressioni dei predoni, pericoli questi che incombevano sui viaggiatori veneziani, nonostante fossero protetti dai lasciapassare, le c.d. tavolette d'oro consegnate loro dal Gran Khān in occasione del precedente viaggio.Divenuto ben presto uomo di fiducia del sovrano, Marco fu inviato a ispezionare le impervie regioni situate tra il Tibet occidentale e lo Yünnan e fu poi, forse, governatore della provincia di Yangzhou o, più probabilmente, sovrintendente alle saline, carica che lo rendeva inviso ai cinesi ma secondo solo al governatore. Nel 1292, infine, i Polo, che da tempo meditavano di tornare in patria, salparono da Zaytun con l'incarico di scortare in Persia la principessa Kököchin, promessa sposa dell'ilkhanide Arghun; a tale missione diplomatica di prestigio si aggiunse quella di ambasciatori di Qubilay presso il Papa, i sovrani di Francia, di Spagna e, genericamente, d'Occidente. Sbarcati a Hurmūz dopo un lungo e periglioso viaggio per mare, i Polo si recarono via terra a Trebisonda, dove parte dei loro averi fu temporaneamente confiscata dal sovrano comneno, a dispetto delle proteste inoltrate da Venezia. Rientrati infine nella città natale, vi acquistarono, con i guadagni del viaggio, la casa di famiglia presso la chiesa di S. Giovanni Crisostomo.A Marco toccarono poi in sorte la prigionia e il provvidenziale incontro nelle carceri genovesi con Rustichello di Pisa, anche se non è accertato se egli sia stato catturato in seguito alla disfatta della flotta veneziana a Curzola l'8 settembre 1298 (Ramusio, Navigazioni e Viaggi) o nel 1296, nelle acque di Laiazzo (od. Ayos, nel golfo di Alessandretta) durante uno scontro tra le navi delle due repubbliche, come riporta Jacopo da Acqui nel Chronicon imaginis mundi (sec. 14°; Olschki, 1957, p. 101), o anche, ipotesi più plausibile, sempre a Laiazzo e in quello stesso anno, ma in occasione di un episodio di pirateria (Moule, Pelliot, 1938, I, p. 3). Di Marco tornato a Venezia dopo la prigionia si sa ben poco: alcune vicende patrimoniali legate al successo riscosso dal Milione e, unico punto fermo della sua biografia, la data della morte, l'8 gennaio 1324.La fama di Marco e della sua impresa, già ampiamente diffusa, si consolidò nei decenni successivi: nel 1366 i tre Polo vennero celebrati quali ambasciatori, missionari e mercanti nel ciclo di affreschi eseguiti da Andrea di Bonaiuto e dalla sua scuola nella sala capitolare del convento di S. Maria Novella a Firenze (Chiappori, 1983). Quanto al Milione, immediata e vasta fu l'eco suscitata in Europa mentre Marco era ancora in vita. Nel 1307 Thibaud de Cépoy ne ordinava una copia per il suo signore, Carlo di Valois; nel 1312 ne veniva approntata una splendida edizione per la contessa di Borgogna; infine, nel 1314 il domenicano Francesco Pipino ne concludeva la versione in latino.Come e più di altri celebri e di poco anteriori racconti di viaggio in Oriente, quali l'Historia Mongalorum del francescano Giovanni da Pian del Carpine (prima metà del sec. 13°) e l'Itinerarium di Guglielmo di Rubruck (metà del sec. 13°), e dei manuali a uso dei mercanti - come la Pratica della mercatura di Francesco Balducci Pegolotti -, il Milione è denso di osservazioni, di notizie di prima mano o raccolte da Marco stesso, che appare dunque informato anche sulle regioni che non poté visitare personalmente. Osservatore acutissimo, egli registrò situazioni politiche, eventi bellici, realtà geografiche, etnologiche ed economiche con estrema attenzione ai costumi, alla cultura, anche religiosa, delle genti incontrate o delle quali sentiva narrare. L'obiettività di Marco è fuori discussione, sebbene traspaiano con chiarezza sia la lealtà verso Qubilay Khān, che certo il veneziano stimò, sia una certa ostilità nei confronti della cultura islamica, frutto dell'opposizione ormai plurisecolare tra cristiani e musulmani. Resta da determinare in quale misura le concessioni alla fantasia - invero sporadiche - e i riferimenti a tópoi letterari siano da imputare all'autore o vadano intesi piuttosto come digressioni e interpolazioni operate da Rustichello di Pisa.Né l'interpretazione iconografica del testo fu esente da mistificazioni e fraintendimenti: nelle miniature di un manoscritto di Parigi (BN, fr. 2810; seconda metà del sec. 14°) il coccodrillo si trasforma in drago e gli yogi indiani, pure correttamente descritti dall'autore, vengono assimilati ai cinocefali di classica memoria. Il Milione, comunque, assicurò una conoscenza più precisa della variegata e multiforme realtà culturale dell'Oriente: basti pensare che ancora nel 1553 si tenne conto della testimonianza poliana per la mappa dell'Asia affrescata nella sala dello Scudo in Palazzo Ducale a Venezia, e che la conoscenza del libro costituì uno stimolo davvero formidabile per viaggiatori ed esploratori dei secoli successivi.
Bibl.:
Fonti. - Marco Polo, La description du monde, a cura di L. Hambis, Paris 1955; id., Milione, a cura di V. Bertolucci Pizzorusso, G.R. Cardona, Milano 1975; G.B. Ramusio, Secondo volume delle Navigazioni e Viaggi, Venezia 1559 (nuova ed., 1954, p. XXIIIss.).
Letteratura critica. - W. von Heyd, Histoire du commerce du Levant au Moyen Age, Leipzig 1886; A.C. Moule, P. Pelliot, Marco Polo, the Description of the World, 2 voll., London 1938; R. Gallo, Marco Polo, la sua famiglia e il suo libro, in Nel VII centenario di Marco Polo, Venezia 1955, p. 87ss.; L. Olschki, L'Asia di Marco Polo, Firenze 1957; R. Gallo, Nuovi documenti riguardanti Marco Polo, Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti 116, 1958, pp. 309-325: 313; A. Bausani, Marco Polo e l'Islam, in Sviluppi scientifici, prospettive religiose, movimenti rivoluzionari in Cina, a cura di L. Lanciotti, Firenze 1975, pp. 21-28; A. Zorzi, Marco Polo e la Venezia del suo tempo, in Marco Polo, Venezia e l'Oriente, Milano 1981, pp. 13-40; M. Bussagli, La grande Asia di Marco Polo, ivi, pp. 173-226; M.G. Chiappori, Riflessi figurativi dei contatti Oriente-Occidente e dell'opera poliana nell'arte medievale italiana, ivi, pp. 281-288; id., I tre Polo nella Ecclesia Militans di Andrea Bonaiuti in S. Maria Novella a Firenze, QMed, 1983, 15, pp. 27-52.M.G. Chiappori