Polo, Marco
Viaggiatore veneziano (Venezia o Curzola 1254-Venezia 1324), figlio di Niccolò. Dopo il primo viaggio in Oriente (1261-69) Niccolò e Matteo Polo, accingendosi a ripartire per la Cina portando con sé Marco, all’incirca diciassettenne, ebbero dal neoeletto papa Gregorio X (che in precedenza avevano avuto modo di frequentare ad Acri e che si era mostrato molto interessato alla loro esperienza) una lettera per Qubilay Khan. Partiti nel 1271 da Laiazzo (Ayaş, oggi in Turchia), viaggiarono per via di terra, impiegando più di tre anni per una serie di contrattempi, fra i quali una malattia dello stesso Marco. Il loro percorso, attraversate la Mesopotamia e la Persia centromeridionale, si riallacciò poi a uno dei bracci della Via della seta nell’Asia centrale, risalendo il Pamir e attraversando il Turkestan orientale e la porzione meridionale del deserto del Gobi, fino a raggiungere Pechino (che P. chiama «Cambaluc», da Khanbaliq «città del sovrano»).
Su gran parte delle regioni attraversate durante il viaggio, le notizie divulgate in seguito da P. furono le prime a raggiungere l’Occidente. Alla corte di Qubilay giunse pressappoco ventenne, nel 1274 o nella primavera del 1275. L’imperatore ebbe immediata fiducia nel giovane e lo incaricò di ispezioni e missioni politico-amministrative all’interno dell’impero; la prima fu nello Yunnan, attraverso le regioni sudoccid., rimaste poi escluse dai percorsi seguiti dagli europei fino al 19° sec. inoltrato. È possibile ricostruire un’altra missione nella Cina sudorient.; un’altra probabile nel Turkestan e, di qui, in Mongolia; altre ancora nella Cina settentrionale. Le precise informazioni geografiche, etnografiche, linguistiche, religiose, economiche e politiche che P. riunisce riguardano però l’intero impero, furono ottenute anche tramite l’amministrazione e altri funzionari: è il caso delle notizie sul Giappone («Zipangu» o «Cipango»), le prime in assoluto a pervenire in Occidente. Dal racconto di P. emerge un rapporto fiduciario di tipo personale con il sovrano, in virtù del quale il giovane veneziano, che aveva una specifica propensione cosmopolita e impiegava largamente personale non mongolo, divenne egli stesso un altissimo funzionario pubblico. L’imperatore lo investì anche di missioni diplomatiche vere e proprie nei limitrofi Stati della penisola indocinese. È nell’occasione dell’ultima di queste missioni che nel 1292 P. lasciò definitivamente l’impero, con l’incarico di scortare via mare una principessa della famiglia imperiale destinata come sposa a un principe persiano, Argun Khan, nipote di Qubilay. Il lungo viaggio marittimo lo portò a visitare Sumatra, dove la spedizione sostò per sei mesi, le isole del Golfo del Bengala, Ceylon, la costa occid. dell’India, nonché ovviamente la Persia. Assolto l’incarico, proseguì per Venezia, dove giunse nel 1295. Poco dopo, forse in occasione della battaglia navale di Curzola (settembre 1298), fu catturato dai genovesi. Nel corso della prigionia ebbe modo di far redigere a Rustichello da Pisa, letterato noto per testi romanzeschi a carattere cavalleresco in francese, il racconto dei suoi viaggi (Divisament dou monde, noto come Milione), sebbene su questo testo esistano alcuni problemi. Dopo il rientro a Venezia, sembra che P. abbia continuato la sua attività mercantile, ma senza impegnarsi più in commerci a lungo raggio.