RAMPERTI, Marco
RAMPERTI, Marco (Carlo Marco). – Secondo di cinque figli, nacque a Novara il 24 dicembre 1886 da Edoardo e Irene Merati.
Ebbe quattro sorelle: Evelina (Novara 1882 - Milano 1967), Lucilla (Novara 1887-1973), Maria (Novara 1889-1974) e Corinna (Novara 1891-1978).
Il padre (Milano 1846 - Novara 1926), formatosi presso il conservatorio di Milano, fu «modesto quanto valente» violinista (Schmidl, 1888, p. 339) che dette inizio alla sua attività suonando nell’orchestra della Scala e assolvendo a pieni voti gli studi nell’agosto del 1865. Primo violino ad Alessandria d’Egitto (1866-80), insegnò quindi a Pavia per passare, nel 1874, a Novara dove fondò la Società filarmonica assumendone la presidenza. Trascrisse ed elaborò per violino e pianoforte pezzi operistici e pubblicò un manuale di nozioni e consigli per gli allievi (Il violino e i violinisti, Novara 1891).
Dopo la formazione classica, conseguita nella città natale, Ramperti si trasferì giovanissimo a Milano dove, attratto dalle esperienze letterarie del tempo, fra cui il Futurismo, si dette con successo alla carriera giornalistica, disseminando i suoi scritti nelle terze pagine dei quotidiani e divenendo in breve, già nell’opinione di Camillo Pellizzi (1929, p. 27), in un arco che va dal 1920 al 1935, fra i «giornalisti più interessanti del tempo nostro».
Socialista iscritto al partito, come Benito Mussolini di cui divenne critico sostenitore, e antifascista della prima ora, Ramperti aveva cominciato la sua carriera presso la redazione dell’Avanti! precedentemente all’entrata in guerra nel 1915.
Collaborò a L’Illustrazione italiana con critiche teatrali, cinematografiche, letterarie, musicali, reportage, e con La Fiera letteraria; con La Stampa e il Corriere della sera per un quindicennio (dei quali fu inviato speciale), con l’Ambrosiano di cui fu critico teatrale e cinematografico, La Gazzetta del popolo di Torino, Il Tempo, La Notte, Il Giornale di Sicilia, il Roma di Napoli. In veste di critico teatrale Ramperti assisteva quasi ogni sera a una prima rappresentazione e aveva da scrivere un articolo ogni notte, senza contare le collaborazioni regolari o saltuarie con altri giornali, tanto da avere sempre con sé la sua «stilografica, un pacchetto di minuscole cartelline in ogni tasca, la sua immensa cultura e la sua memoria infallibile», per scrivere ovunque: nel suo letto e al caffè, in trattoria e al teatro (D’Ambra, 1929, p. 189).
Eclettico sognatore e romantico deluso, in perpetua altalena di sentimenti e di idee, «padrone di uno stile brillante e terso, caustico e guizzante» (Busoni, 1932, p. 86), Ramperti coltivò l’arte della scrittura e le doti del pamphlettista e del polemista, generosamente soccorso da una fantasia barocca, estrosa, qualche volta epidermica, «come quella che accendeva gli spiriti di certa “scapigliatura” lombarda, generosa e provinciale, moschettiera e assetata di giustizia fin quasi al ridicolo» (Il Tempo, 11 aprile 1964, p. 3).
Giornalista affermato, esordì quarantenne come narratore con il romanzo La corona di cristallo (Milano 1926) in cui – tra sospiro e sorriso – affiorano i temi che furono cari alla sua scrittura: la finzione e un sentimentalismo sognante contrapposti all’arido vero e a una civiltà cinica e inumana, l’autenticità di contro alla menzogna dell’ipocrisia, l’allegoria che fa da contraltare al paradosso.
La «corona di cristallo» è, infatti, quella invisibile di un re che, confusosi fra i sudditi per apprenderne i sentimenti, si ritrova tradito da tutti tranne che dalla poesia, facendosi persuaso che conta assai più l’amore della giovane Rosalba per il ragazzo qualsiasi che impersona, che non il falso miraggio e le lusinghe della regalità.
Seguì la raccolta di novelle Suor Evelina dalle belle mani ed altre storie d’amore (Milano 1930), in cui un fine lettore come Enrico Emanuelli (1930, p. 451) poté rinvenire il segreto dell’arte sua: «una finezza di gusto ed una sobria leggerezza di tinte che dà calore alla vicenda, oppure colorisce la favola, facendone trasparire i reconditi fini» e quel «senso vigile di misura e di dignità che sorregge sempre la pagina, la frase, la battuta d’un dialogo senza mai cadere nello scipito e nel letterario».
Come inviato della Stampa, dopo aver seguito le Olimpiadi di Los Angeles del 1932, Ramperti sbarcò a Hollywood (v. Tre giornate con Jean Harlow, in Ombre del passato prossimo, Milano 1964, pp. 9-18, con la celebre immagine che lo ritrae a braccetto con la diva); presero forma, in questo modo, i profili delle attrici cinematografiche poi riuniti in Nuovo alfabeto delle stelle (Milano 1936; rist. con il titolo L’alfabeto delle stelle, con una nota di L. Sciascia, Palermo 1981). Un campionario di cinquanta stelle femminili in cui l’incontro-scontro fra l’immaginario decadente e la moderna cultura di massa, scontornato in un’atmosfera morbida e artificialmente nostalgica, meglio non si potrebbe cogliere. Medaglioni affatto particolari che, usufruendo di una gamma cromatica ridotta pur senza rinunciare a delle pose a effetto, fanno pensare – quale equivalente pittorico – all’opera di un ritrattista pressoché coevo come Arturo Noci (1874-1953).
Vi compaiono Lyda Borelli («precorritrice e regina») ed Elsa Merlini («un’invenzione della bora»), Carole Lombard («come le nuvole delle bufere») e Myrna Loy («belva che ha l’aspetto di fiore»), Greta Garbo («l’Arcimaga!») e Katharine Hepburn («occhi di marinaio, miti ed impavidi»), Isa Miranda («Stella vespertina»), Gloria Swanson («trionfo dell’intelligenza, sorretta però […] da una cabala ignota», e Annabella, «suscettibile come uno specchio ovale in una cornice di rose»: l’attrice francese protagonista di Anne-Marie (1936, di Raymond Bernard), unico soggetto cinematografico composto da Antoine de Saint-Exupéry. Ramperti – pur rimanendo confinato nell’alveo del dannunzianesimo e dando al suo lavoro un tono sempre più marginale e superficialmente brillante – coglie tuttavia il divismo cinematografico in auge quale manifestazione di costume con finezza di stile e con quel vezzo romantico, che identico si rinviene nelle sue novelle, di voler apparire «uomo d’oggi nelle vesti d’un secolo fa, con maschera, pugnale e scala di seta. Non menestrello, ma laudatore di madonne, dolente e appassionato» (Ravegnani, 1936, pp. 231 s.).
Già nel 1934 Gabriele D’Annunzio gli aveva riconosciuto un primato su tutti gli altri della sua leva per aver dimostrato «discernimento in tanta confusione e coraggio in tanta pusillanimità». Sempre per amor di lealtà e in dispregio al conformismo utilitaristico di tanti letterati, qualità che gli valsero poi l’amicizia e l’ammirazione di Ezra Pound, negli anni di guerra i bersagli polemici di Ramperti si concentrarono sul re, sugli anglo-americani e su coloro che considerava «voltagabbana» e intellettuali traditori.
La vera svolta avvenne in seguito all’8 settembre 1943 quando – in direzione ostinata e contraria al percorso compiuto dai più – Ramperti, sospinto da un’estrema coerenza e da personalissima etica dell’onore, insorse con senso di forte idealità e appassionata protesta contro l’Italia ufficiale, schierandosi dalla parte della Repubblica sociale italiana e divenendo sostenitore del regime al tramonto. Accusato di collaborazionismo, il 1° dicembre 1945 fu giudicato colpevole e condannato a 16 anni di reclusione, di cui scontò, tuttavia, soltanto 15 mesi, prima di essere rimesso in libertà in seguito ad amnistia ed epurato.
Da tale esperienza – poi narrata in Quindici mesi al fresco (Milano 1960) – nacque l’opera sua forse più celebrata e destinata idealmente a lasciar traccia: Benito I imperatore (Roma 1950; 2ª ed., con prefazione di Anna K. Valerio, Padova 2011).
Nel romanzo, con toni sarcastici e lungo una deriva fantapolitica, Ramperti immagina che, grazie all’impiego della bomba atomica, il duce abbia vinto la guerra. Pretesto che gli dà modo di scagliarsi con veemenza contro tutti coloro che, a suo giudizio, si macchiarono di un opportunistico cambio di bandiera: in particolare quegli intellettuali italiani che «gradiscono più le botte che le carezze» e che sono «come quei cani avvezzati a portare in bocca la frusta al padrone. Però se il padrone dà loro troppo da mangiare, diventano disobbedienti e ringhiosi. E non corrono più» (ibid., 2ª ed., p. 35).
Il 23 dicembre 1939, presso la parrocchia di S. Maria della Passione di Milano, si era unito in matrimonio con Michelangela (Mimì) Borsotti (Novara 1911 - Grottaferrata 1999), anch’essa giornalista e da cui non ebbe figli. Nel 1947 si trasferì definitivamente a Roma.
Già prima della guerra e del carcere, comunque, il tono polemico degli interventi di Ramperti – in particolare contro la letteratura contemporanea – si era venuto progressivamente esasperando, «fino a raggiungere il parossismo, anche per l’intrusione sempre più violenta di malintesi elementi politico-nazionalistici» (Falqui, 1948, p. 300), trovando in sé stessa, prim’ancora che nella riprovazione o nel disinteresse degli interessati, le ragioni della sua condanna. Fu questa intransigenza, spinta fino all’autolesionismo, a isolarlo sempre più negli ultimi anni della sua vita, al punto da rinunciare all’aiuto di amici ed estimatori: fra questi l’editore Angelo Rizzoli che si vide opporre un rifiuto all’offerta di un lavoro accompagnata da un assegno in bianco.
Nonostante lo stato di crescente indigenza in cui versava, pubblicò ancora Storie strane e terribili (Milano 1955), Ho ucciso una donna! (Milano 1956), le pagine affettuosamente nostalgiche di Vecchia Milano. Cinquanta capitoli di ricordi (Milano 1959), Quindici mesi al fresco (cit.), Casanova riabilitato (Milano 1963), Ombre del passato prossimo (cit.).
Ormai dimenticato, il critico teatrale dagli occhi «mobili e tristi» e l’appassionato bohémien strenuo difensore dei perdenti, che aveva attraversato la Mecca del cinematografo e frequentato i più eleganti ritrovi di Milano con guanti alle mani e fiore all’occhiello, finì la sua esistenza smerciando sigarette di contrabbando alla stazione Termini.
Morì a Roma, dopo breve malattia, il 10 aprile 1964.
Opere (non citate nel testo). Luoghi di danza, Torino 1930; Donato Frisia, pittore, Milano 1938; L’appuntamento e altre, ultime storie d’amore (con una prefazione polemica in forma di lettera), Milano 1939; Il teatro, in Romanità e Germanesimo. Letture tenute per il Lyceum di Firenze, a cura di J. De Blasi, Firenze 1941, pp. 274-285; Il crepuscolo dei Savoia, Venezia 1945; Il giardino segreto e altre immagini, Torino 1946; Manzoni redivivo, Torino 1946; Gli usignoli vendicati e altri racconti, Torino 1946.
Fonti e Bibl.: Necrologi, rispett. in Il Tempo, Il Messaggero, Il Secolo d’Italia (G. De Leo), 11 aprile 1964.
G. Titta Rosa, “La corona di cristallo”, in La Fiera letteraria, 25 aprile 1926, p. 2; L. D’Ambra, Il conversatore notturno (M. R.), in Id., Trent’anni di vita letteraria, III, Il ritorno a fil d’acqua, Milano 1929, pp. 183-197; C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929, p. 27; Almanacco letterario Bompiani 1930, Milano 1929: contiene caricatura di Ramperti di Bruno Munari; E. Emanuelli, rec. a Suora Evelina dalle belle mani ed altre storie d’amore, in Leonardo, I (1930), luglio, pp. 450 s.; J. Busoni, M. R. scettico blu, in Id., Interpretazioni, Firenze 1932, pp. 83-101; C. Weidlich, Nella repubblica delle lettere, Palermo 1933, pp. 168 s.; G. Ravegnani, Ramperti il romantico, in Id., I contemporanei (seconda serie), Modena 1936, pp. 227-235; C. Weidlich, Sagome e profili…, Palermo 1938, pp. 131-144; E. Falqui, in La letteratura del Ventennio nero, Roma 1948, pp. 295-300; A. Luzzani, In difesa di M. R., in Id., Giudicateli voi: 5 arringhe di corte d’assise ed un’appendice, prefazione di G.B. Angioletti, Napoli 1949, pp. 64-88; R., M., in Enciclopedia italiana, III Appendice, Roma 1961, s. v.; Dizionario universale della letteratura contemporanea, IV, Milano 1962, p. 15; A. Petacco, Il comunista in camicia nera, Milano 1996, p. 100; M. R. ovvero Buzzati, in S. Berni, A caccia di libri proibiti…, Macerata 2005, pp. 43 s.; I. Montanelli, Ricordi sott’odio. Ritratti taglienti per cadaveri eccellenti, Milano 2011, s. v.; E. Marra, Il caso della letteratura ucronica italiana…, in Between, IV (2014), n. 7, pp. 4 s. Si vedano, infine, per il padre Edoardo: C. Schmidl, Dizionario universale dei musicisti, II, 1888, p. 339; Dizionario universale della musica e dei musicisti. Le biografie, VI, 1988, p. 228.