MARCO Romano
Scultore attivo nella prima metà del 14° secolo.M. firmò alla data del 4 febbraio 1318 (1317 more veneto) il sepolcro di s. Simeone profeta in S. Simeone Grande a Venezia: "[...] + Celavit Marcus opus hoc insigne Romanus. Laudibus non parcus est sua digna manus". L'iscrizione - a tutt'oggi l'unico referto documentario sulla sua attività -, che celebra le qualità d'artista dello scultore, romano di origine, ricalca quella incisa nel monumento sepolcrale del vescovo Tommaso d'Andrea nella collegiata di Casole d'Elsa (prov. Siena), eseguito dallo scultore senese Gano da Siena, la cui vicenda critica si è per molto tempo intrecciata e confusa con quella di Marco.La ricostruzione della personalità di M., tra le più alte della scultura del primo Trecento italiano, è merito di Previtali (1983). Mettendo a frutto le intuizioni di Arslan (1944) e di Valentiner (1947), lo studioso ha convincentemente riunito intorno alla sua figura un nucleo di autentici capolavori, da tempo noti alla critica, sul filo di una spregiudicata verifica filologica attenta a rilevare il dato stilistico-formale al di fuori e persino contro fuorvianti condizionamenti ambientali: oltre alla ricordata figura giacente di s. Simeone, la Madonna con il Bambino tra i ss. Imerio e Omobono nella facciata del duomo di Cremona, il sepolcro di Beltramo degli Aringhieri, detto messer Porrina, nella collegiata di Casole d'Elsa, proprio di fronte al monumento funebre di Tommaso d'Andrea, e infine, nella controfacciata del duomo di Siena, quattro busti e due vivaci leoni ai lati dei portali, di recente in parte ricondotti, sebbene con scarso margine di attendibilità, agli esordi di Goro di Gregorio (Kreytenberg, 1991). A questo nucleo omogeneo di opere si è aggiunto successivamente un notevole crocifisso policromo intagliato, in S. Agostino a Colle di Val d'Elsa (prov. Siena), già nella chiesa di S. Maria a Radi di Montagna (Scultura dipinta, 1987).La dislocazione delle opere si spiega con lo speciale rapporto di committenza che legò M. alla famiglia degli Aringhieri, signori di Casole d'Elsa. Per ragioni interne di stile, le tracce più antiche della sua attività vanno riconosciute nelle sculture del duomo di Siena, databili intorno al 1290, nel momento in cui teneva le redini del cantiere Giovanni Pisano. Lo spostamento a Cremona, che segnò la seconda tappa del suo girovagare, dovette avvenire in coincidenza con l'elezione a vescovo di quella città nel 1296 di Ranieri degli Aringhieri. Prima del 1313, anno in cui la famiglia degli Aringhieri venne privata del suo potere e mandata in esilio, si collocano l'esecuzione del singolare monumento sepolcrale a Beltramo e il crocifisso ligneo di Colle di Val d'Elsa. La caduta in disgrazia degli Aringhieri determinò con ogni verosimiglianza la partenza di M. e il suo trasferimento a Venezia, città nella quale si perdono le sue tracce.Artista di prepotente originalità, M. rivela nelle sue opere una profonda assimilazione della grande scultura transalpina di metà Duecento, improntata a forme di 'classicismo gotico' rimeditato in chiave di pungente fisicità ritrattistica. Tale scelta di stile, maturata probabilmente nel clima di contatti internazionali attivati dalle vicende della corte papale, mentre apriva la strada alla svolta antigiovannea di cui si fecero interpreti in ambito senese Tino di Camaino, Goro di Gregorio e Agostino di Giovanni, è sembrata anticipare talune soluzioni formali anche di Simone Martini.
Bibl.: C. Baroni, Scultura gotica lombarda, Milano 1944 (rec.: E. Arslan, Archivio storico lombardo, n.s., 9, 1944, pp. 148-151); W.R. Valentiner, Notes on Giovanni Balducci and Trecento Sculpture in Northern Italy, ArtQ 10, 1947, pp. 40-61; Toesca, Trecento, 1951 (rec.: W.R. Valentiner, ArtQ 15, 1952, pp. 151-160); G. Previtali, Alcune opere ''fuori contesto''. Il caso di Marco Romano, BArte, s. VI, 68, 1983, 22, pp. 43-68 (con bibl.); Scultura dipinta. Maestri di legname e pittori a Siena 1250-1450, cat. (Siena 1987), Firenze 1987, pp. 30-33; G. Kreytenberg, Goro di Gregorio vor 1324, Städel Jahrbuch, n.s., 13, 1991, pp. 125-144; G. Romano, Giovanni Previtali e la storia dell'arte, Prospettiva, 1993, 70, pp. 87-91.F. Aceto