RUSTICI, Marco
– Nacque a Firenze da una modesta famiglia di lavoratori (il padre Bartolomeo era vinattiere) nel 1392, oppure – stando alla sua portata al Catasto del 1427 – l’anno successivo.
In tale testo egli dichiarò di avere all’epoca trentacinque anni, di essere sposato con monna Costanza e di gestire una bottega di orafo in società con tale Dino di Monte, impresa cui partecipava finanziariamente anche la sorella maggiore di Rustici, vedova e pinzochera di S. Spirito. Abitò in varie dimore del quartiere di S. Giovanni, gonfalone del Leon d’oro, ossia nell’area della città controllata dalla consorteria medicea. Alla morte del socio nel 1428, si trasferì in una bottega al Mercato Nuovo insieme con Giovanni di Casella. In seguito fu iscritto all’Arte degli albergatori, per la quale ricoprì più volte l’incarico di ufficiale al Tribunale della Mercanzia.
Le prime testimonianze relative alla sua attività manifatturiera risalgono al 1426 (20 ottobre), allorché sottoscrisse un contratto con i frati serviti della Ss. Annunziata per l’arredo di una cappella intitolata alla Pietà, sul cui altare doveva essere collocata una tavola da far dipingere a cura dello stesso Rustici. In quegli anni egli aveva intenzione di riservare a tale sito la propria sepoltura e quella della sua famiglia, come risulta da un atto datato 15 maggio 1442, con cui si mutava l’intitolazione del sacello e lo si dedicava alla Natività. Rustici lavorò per i religiosi di questo prestigioso santuario cittadino almeno fino ai primi anni Quaranta, realizzando e restaurando calici e turiboli in argento, nonché vendendo e comprando altri manufatti, dei quali, però, non si conservano esemplari a lui attribuibili.
Forse proprio il legame con il convento dei serviti, al quale era particolarmente devota la dinastia medicea, aprì a Rustici le porte di ulteriori e importanti committenze. Le opportunità di impiego si fecero, del resto, più frequenti a partire dal 1434, con il rientro dall’esilio di un munifico signore come Cosimo il Vecchio e per l’arrivo in città di papa Eugenio IV, il quale, in fuga da Roma, trasferì nel maggior centro toscano la curia pontificia. Sappiamo, in proposito, che nel 1436 il cardinale Lucido Conti conferì a Rustici l’incarico di realizzare «una figura d’argento della Madonna da donare alla SS. Annunziata», nei cui locali il porporato alloggiava. Nel 1451 Rustici esercitava la sua professione nella bottega di Giovanni di Guarente, con il quale realizzò una copertura in rame per l’orologio del Palazzo dei priori. Durante i primi anni Cinquanta cesellò per la chiesa di S. Felicita quattro candelabri in rame dorato ornati di smalti. Dopo il 1455 non si hanno più testimonianze relative alla sua attività di artigiano.
I lavori eseguiti su richiesta dei religiosi fiorentini e forestieri contribuirono certamente a motivare la stesura dell’opera per la quale Rustici è soprattutto noto, ossia il cosiddetto Codice Rustici (Dimostrazione dell’andata del Santo Sepolcro), ampio manoscritto di carattere narrativo conservato presso la biblioteca del Seminario arcivescovile maggiore di Firenze, che l’orafo dettò e arricchì, con la meticolosità propria del suo mestiere, di disegni a penna coloriti ad acquarello.
Un confronto tra la grafia dello scrittore e quella di colui che stilò la sopracitata dichiarazione catastale ha evidenziato come la mano integrante sul Codice l’esposizione principale e tracciante le cc. 271v-281v fosse quella di Rustici; mentre la gran parte del testo appare vergata da un amanuense, il quale trascrisse la Dimostrazione in una grafia mercantesca progressivamente sempre più corsiva. In seguito si aggiunsero altre mani con notazioni apposte anche dopo la morte di Rustici. La datazione dell’opera risulta pertanto controversa. La critica più recente ne colloca il nucleo principale negli anni 1447-55. Una versione del testo abbastanza risalente, prima delle numerose modifiche e aggiunte dell’autore, figura, in forma frammentaria, nel codice Magl. XV.71 della Biblioteca nazionale di Firenze. Werner Cohn attribuisce a Rustici anche una serie di disegni a penna presenti come corredo di un codice II.I.112 della medesima Biblioteca, datato 1433 e contenente un volgarizzamento del De civitate Dei di s. Agostino.
La narrazione tradita dal Codice Rustici è divisa in tre libri. Il primo costituisce una sorta di ‘guida sacra’ di Firenze, delle sue chiese e dei suoi uomini illustri (questi ultimi in larga misura desunti dalla serie proposta da Filippo Villani nel De origine civitatis Florentiae et de eiusdem famosis civibus). Il racconto si apre con un excursus sulla storia del mondo e della città a partire dalla creazione, che richiama con evidenza il modello offerto dai cronisti trecenteschi, segnatamente Giovanni Villani, e dai compendi di storia universale elaborati in ambiente mendicante. Questa prima parte presenta ai margini dello specchio di scrittura la descrizione grafica di trentasette chiese situate entro la cerchia muraria urbana. Il metaforico viaggio compiuto attraverso i luoghi sacri e i monumenti di Firenze fa da preludio al tragitto più ampio verso la Terrasanta, imitando e accompagnando con il supporto figurativo il consueto itinerario seguito dalle processioni e dalle cerimonie liturgiche cittadine. Il secondo libro racconta l’avvio del presunto pellegrinaggio compiuto da Rustici nel vicino Oriente, con la menzione del viaggio via mare da Firenze a Cipro, passando per la valle dell’Arno – percorsa a piedi ma forse anche navigando sul fiume –, il Porto Pisano, Genova (raggiunta direttamente via terra perché la compagnia aveva perduto la coincidenza con la galea proveniente dalla città ligure e diretta a Sud), e infine i centri costieri italiani (fra cui di nuovo Porto Pisano e Messina), la Grecia e l’Egeo. Il terzo libro è dedicato alle tappe più salienti del tragitto da Cipro ad Alessandria e poi, per via di terra, verso Santa Caterina del Sinai e Gerusalemme. Il testo si chiude con una retorica enunciazione del ritorno in patria e con un ulteriore elogio di Firenze e dei fiorentini.
Le prime trenta carte del lavoro sono quelle più dense di immagini. Esse costituiscono la principale testimonianza figurativa di molte chiese fiorentine, e talvolta di alcuni edifici circostanti, anteriormente alle ristrutturazioni del pieno Rinascimento; cui si affiancano altre emergenze urbanistiche, come a esempio il Mercato Vecchio. Il rilievo documentario dei disegni è notevole, anche se la critica ha sottolineato la natura non strettamente e minutamente realistica delle figurazioni offerte dal miniatore. Tali pagine lasciano emergere l’idea di religiosità cara all’orafo scrittore, il quale sottolineava come la devozione dei propri concittadini fosse particolarmente intensa nella misura in cui esprimeva investimenti e magnificenza offerti per la celebrazione della divinità e a onore dei ministri del culto. Le descrizioni e le rappresentazioni grafiche degli edifici sono spesso seguite da quelle dei santi titolari. Per questa parte del testo Rustici attinse alla propria conoscenza diretta dei prospetti urbani e alla sua abilità di artigiano. I modelli di riferimento sono da individuare in Lorenzo Monaco, Lorenzo Ghiberti e Beato Angelico.
Le sezioni successive (dalla c. 100v), decorate soprattutto con figure di animali, piante e cibi, ma senza alcuna rappresentazione visiva dei luoghi santi, devono molto alla cospicua tradizione tre-quattrocentesca delle peregrinationes in Oriente; tradizione che vedeva i toscani, e in particolare i fiorentini, tra gli autori più prolifici. Infatti, sebbene il testo contenga riferimenti ai mezzi di trasporto, alle giornate di navigazione, ai consigli sul comportamento da tenere verso gli infedeli e altre utili indicazioni per i viaggiatori, la critica più recente è dubbiosa in merito alla possibilità che Rustici abbia realmente effettuato un pellegrinaggio ultramarino. Il testo suggerisce una buona conoscenza della realtà italiana, certamente verificata di persona durante un plausibile itinerario fra Toscana e Liguria, ma lascia molte perplessità in merito al raggiungimento dell’Egitto e della Palestina, vista l’assenza di ogni data precisa della spedizione e di circostanziati richiami alla vita di bordo, a personaggi incontrati o alle necessarie contrattazioni per il nolo della galea. Del resto, la menzione di una malattia che durante la seconda sosta a Porto Pisano colpì un membro della comitiva lascia supporre che la missione, magari realmente intrapresa, forse si sia qui inaspettatamente conclusa.
L’opera di Rustici si presenta più come un trattato devozionale che come un diario di viaggio. I riferimenti ai luoghi della vita e passione di Cristo, così come quelli alle chiese fiorentine, fanno principalmente da spunti per riflessioni di natura morale, per citazioni bibliche, classiche e patristiche (gran parte delle quali di seconda mano), per questioni dottrinali, prescrizioni liturgiche e devozionali, nonché per digressioni storico-geografiche ed etnologiche. Il ‘memoriale’ di Rustici, che è stato addirittura definito un precursore dei cabrei cinquecenteschi, in relazione alla compresenza e complementarietà di testo e iconografia, segue, in realtà, alcuni modelli compositivi ben documentati, tanto a Firenze quanto in altre città toscane, durante la prima metà del Quattrocento. Per l’argomento e l’organizzazione del dettato possiamo, infatti, richiamare l’affinità con il Theotocon di Domenico di Giovanni da Corella, poema latino del 1464-65; mentre per un ciclo narrativo integrato fra testo e immagini, la cronaca intitolata La sconfitta di Monte Aperto (1443) del ‘pizzicaiuolo’ e artista senese Niccolò di Giovanni.
Rustici morì a Firenze il 6 ottobre 1457 e fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo.
Opere. Edizione moderna: Codice Rustici. Dimostrazione dell’andata o viaggio al Santo Sepolcro e al monte Sinai di Marco di Bartolomeo Rustici, a cura di K. Olive - N. Newbigin, Firenze 2015.
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