SORANZO, Marco
– Figlio di Giovanni Soranzo del ramo dei Santi Apostoli, nacque entro i primi due decenni del XIV secolo. Si ignora il nome della madre.
Di un ramo Soranzo da Santi Apostoli si ha traccia consolidata a partire dal tardo Trecento, con Marino Soranzo e il suo palazzo sito in quella parrocchia. Di Soranzo è nota una sorella, Caterina, che restò vedova di Nicolò Ghisi e generò da lui Pietro e Raffaellotto Ghisi; un nipote omonimo, figlio di Nicola Soranzo da San Tomà e marito di Beruzza Morosini; un cugino, Marino Soranzo da San Samuele.
Non va confuso con Marco di Giannotto Soranzo da Santa Marina, che fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo fu più volte patrono di galee (e multato, nel 1338, dall’Officium de navigantibus per aver superato la soglia limite di investimenti). A differenza di costui, il nostro si disinteressò sempre dell’attività mercantile (cfr. infra) e per giunta morì senza eredi.
Come per la maggior parte dei nobili veneziani di questi anni, risulta difficile proporre un profilo degli anni giovanili di Soranzo, quelli che ogni rampollo di buona famiglia passava a far pratica di commercio e politica. È tuttavia verosimile presumere un insolito disinteresse nei confronti dell’attività mercantile tout court; Soranzo è assente nella documentazione di gestione delle linee marittime (incanti, noli, patronati ecc.).
Dal 1349 Soranzo è facilmente individuabile grazie all’attributo di miles e la sua carriera assume minori margini di incertezza. In quell’anno venne inviato come ambasciatore assieme a Nicolò Lion, Pietro Badoer e Nicolò Querini, per andare incontro al legato pontificio Guy de Boulogne, giunto di passaggio nel Trevigiano per recarsi in Ungheria al fine di conciliare il re Luigi I con Giovanna, regina di Napoli. Nel settembre del 1350 fu eletto a far parte del Senato per un anno, anticipando la sua elezione a sopracomito d’armata nel 1351, carica cui probabilmente rinunciò.
L’11 ottobre 1354 la Quarantia lo autorizzò a esportare una schiava, unica traccia di una probabile partecipazione di Soranzo al fruttuoso commercio schiavistico. Analoga iniziativa avrebbe preso qualche anno dopo (4 febbraio 1368), tuttavia questa volta per conto di Federico Gonzaga, figlio minore del signore di Mantova.
Negli anni Cinquanta lo scenario internazionale si era fatto rovente, in specie ai margini della laguna. Il Regno d’Ungheria, ora guidato da Luigi I d’Angiò, aveva esteso le proprie mire sulla Dalmazia, e per far ciò non esitò a invadere direttamente il Trevigiano nel 1356, trovando l’appoggio – oltre che di una parte del ceto dirigente trevigiano – dei duchi d’Austria, del patriarca d’Aquileia e soprattutto del signore di Padova, Francesco il Vecchio da Carrara.
Il pericolo corso dalla Repubblica fu grave; nel giugno del 1358 il doge perse il titolo d’onore di «Dalmatie atque Chroatie dux» e il controllo su tutto il fronte costiero balcanico.
In questa delicata congiuntura, il 5 marzo 1358 il Senato ordinò a Soranzo di recarsi come provveditore a Capodistria e in Istria, con lo scopo di risollevare economicamente e socialmente quei territori gravati dalla guerra contro i vicini ungheresi, ma egli si sottrasse all’onere, facendosi sostituire da Giovanni Bondulmier poco più di una settimana dopo. Qualche mese più tardi, sotto la probabile minaccia di onerose pene pecuniarie, Soranzo dovette cedere alla pressione – lo Stato veneziano, del resto, mal tollerava i reiterati tentativi di imboscamento – e dall’ottobre del 1358 fu inviato a reggere Capodistria, in qualità di podestà e capitano. Durante il suo rettorato, Soranzo recepì appieno le istruzioni ricevute a proposito della messa in sicurezza della piazzaforte: fece porre due cancelli e una catena all’ingresso della città, per ostruire le vie di accesso; dispose l’aumento e il disciplinamento dei reparti armati, la ricostruzione del palazzo podestarile e l’emissione di una taglia contro due pericolosi latitanti, il condottiere Colenzio da Lubiana e Marco Bellegno.
Nondimeno, l’attività di Soranzo a Capodistria procurò qualche malumore fra gli abitanti, al punto che Giovanni figlio di Almerico del fu Papone di Capodistria dovette ricorrere al Senato, nel luglio del 1359, per vedersi riconosciuto il diritto a sedere nel locale consiglio cittadino. Il podestà glielo negò, denotando una rigidità che mal si accordava con il pragmatismo tipico del ceto dirigente veneziano. Poco dopo, il Senato riequilibrò la situazione e in ragione del suo inappropriato comportamento durante il mandato a Capodistria, condannò Soranzo a non ricoprire più la carica presso la città istriana e a risarcire il Comune veneziano con l’ingente somma di 300 ducati (23 luglio 1359).
Forse il ruolo che più si confaceva a Soranzo era quello di consigliere ducale, incarico che ricoprì ben due volte nel giro di poco meno di tre anni. Senza apparenti conseguenze della recente disavventura, fu accanto al doge già nell’ottobre del 1359, intento a dare disposizioni al capitano di Treviso sulle banderie equestri del luogo; nella primavera del 1360, raccolse consensi per la nomina a provveditore del Trevigiano (allora a rischio di una nuova invasione ungherese, e sempre sotto il tiro del dinamismo militare carrarese e friulano). Soranzo rifiutò di nuovo, ma ciononostante fu rieletto consigliere ducale a partire dal 2 febbraio 1363, sotto garanzia (pleçium) di Pietro Ghisi. Nel 1365 non partecipò all’ambasceria organizzata per le condoglianze al duca d’Austria (15 novembre 1365).
Negli anni fra il 1363 e il 1367 si vide rinnovata per tre volte di seguito l’elezione al Senato. In un decennio difficile per la politica di Venezia – sulla difensiva in Adriatico; messa in crisi dalla violenta rivolta di Creta che si risolse in una feroce repressione; impegnata nella sfida dell’assedio di Trieste ove ebbe contro i duchi d’Austria e il patriarca – Soranzo non svolse in realtà un ruolo particolarmente incisivo. Nel 1368 partecipò all’elezione del doge Andrea Contarini e concluse poco dopo una carriera dignitosa ma tutto sommato incolore; per certi versi esemplare di un rapporto con lo Stato che la storiografia odierna non interpreta più nei termini del disinteressato servizio alla cosa pubblica che il mito di Venezia sino a qualche decennio fa proponeva.
Nel dettare le ultime volontà al notaio Guglielmo Claruti, il 14 ottobre 1370, Marco Soranzo nominò la moglie Maddalena Contarini (sposata almeno dal 1348; molto più giovane di lui, e destinata a sopravvivergli a lungo, visto che testò per l’ultima volta nel 1391) principale beneficiaria del suo cospicuo patrimonio, prevedendo la possibilità – poi non concretizzatasi – che si risposasse e avesse figli. Oltre a lei nominò garanti di quanto predisposto la sorella Caterina, il nipote Marco e i procuratori di S. Marco de qua da canal.
Degno di rilievo l’aspetto per cui su gran parte dei lasciti, pagamenti e legati testamentari Soranzo impose il loro investimento in titoli di prestito pubblico a favore del Comune. Di trascurabile quantità risulta la sussistenza di spezie e mercanzie in genere, a favore, invece, di un più coinvolgente interesse verso beni di tipo immobiliare: qualche appezzamento fondiario, un palazzo in comproprietà con la sorella Caterina, affitti prodotti dai locali siti presso il palazzo a Santi Apostoli dove risiedeva. La minaccia rivolta alla sorella e al cugino Marino Soranzo di escluderli dall’eredità qualora avessero messo in discussione il testamento, lascia trapelare possibili malumori e disaccordi fra i membri di questo ramo familiare dei Soranzo, che forse non videro di buon occhio l’eccessivo favore riservato alla giovane moglie del defunto patrizio, e persino alla figlia femmina che questa avrebbe potuto generare con un altro uomo.
Soranzo morì probabilmente poco dopo nel 1370 in data imprecisata.
Fonti e Bibl.: Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, It. VII, 18 (8307), c. 94v (unico Marco Soranzo vissuto negli anni del nostro); Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea codici, Storia veneta, Genealogie Barbaro, b. 23, ff. 23, 37, 59, 63-65 (rami dei Soranzo coevi a quello di Marco Soranzo); testamento di Marco Soranzo: Notarile. Testamenti, b. 1023 (Atti di Guglielmo Claruti), n. 57; della moglie Maddalena Soranzo: Notarile. Testamenti, b. 722, n. 42 (28 maggio 1348) e Cancelleria inferiore. Notai, b. 36, n. 151 (13 giugno 1391); Segretario alle voci, Misti, reg. 1, cc. 20v, 38r; reg. 2, cc. 2r, 31r, 38r, 41r, 44v; Collegio, Notatorio, reg. 1, cc. 52v-53r; Commemoriali, reg. 6, cc. 25v-26r, 47v; Senato, Misti, reg. 31, c. 126v; Le deliberazioni del consiglio dei XL della Repubblica di Venezia, III, a cura di A. Lombardo, Venezia 1967, reg. 29, nn. 281, 401; Venezia – Senato. Deliberazioni miste. Registro XXV (1349-1350), vol. 12, a cura di F. Girardi, Venezia 2006, n. 434; Registro XXVIII (1357-1359), vol. 15, a cura di E. Orlando, Venezia 2009, n. 253; Registro XXIX (1359-1361), vol. 16, a cura di L. Levantino, nn. 136, 142-143, 261-267, 269, 274, 279, 291-293, 332, 346, 348, 353, 360, 365-367, 373-376, 378-384, 389, 390, 392-395, 396, 404, 405, 409, 411, 412, 416, 422, 427, 445, 452, 486.
G. Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, t. XIV, Venezia 1789, pp. 3-16; G. Kier, Illustrazione del palazzo Valmarana-Mangilli a SS. Apostoli, Venezia 1845, p. 7; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1973, pp. 144-151, 155-167; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Firenze 1981, pp. 318-326; S. McKee, The revolt of St Tito in fourteenth-century Venetian Crete: a reassessment, in Mediterranean historical review, IX (1994), 2, pp. 173-204; G.M. Varanini, Venezia e l’entroterra (1300 circa-1420), in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, III, a cura di G. Arnaldi - G. Cracco - A. Tenenti, Roma 1997, pp.196-199.