Traiano, Marco Ulpio
Imperatore romano. Nato nel 53 d.C. a Italica, nella Spagna Betica, percorse negli anni giovanili una brillante carriera militare e il cursus honorum, segnalandosi per qualità di energia, di dirittura e di disinteresse che indussero l'imperatore Nerva a designarlo, con l'adozione e l'associazione al potere, come proprio successore.
Asceso al principato nel 98, T. intraprese all'interno un vasto programma di riforme sociali e amministrative, delle quali era presupposto il risoluto rafforzamento in senso assolutistico del potere personale (pur nel rispetto puramente formale dell'autorità senatoria) e la creazione di un ceto di funzionari avviati a fornire le strutture tecnico-burocratiche del dominatus di tipo monarchico che si affermerà a partire dal sec. III. In campo militare T. mirò a ristabilire il prestigio e il potere di Roma ai confini dell'impero, rovesciando la politica prudente di Domiziano con una serie di campagne che vennero via via assumendo il carattere di vere e proprie guerre di conquista, non tutte opportune né fortunate. Se infatti le campagne in Dacia del 101-106 procurarono la stabile acquisizione di una nuova provincia, l'occupazione dell'immenso territorio oltre l'Eufrate intrapresa con la spedizione partica del 114 si rivelò insostenibile: e proprio allora T., ammalato e postosi sulla via del ritorno, moriva nel 117 a Selinunte. Il successore Adriano ordinava la ritirata.
L'ascesa di T. affermò il principio che la successione nel potere imperiale dovesse conferirsi al più degno, per una libera scelta del legittimo detentore formalmente perfezionata con l'adozione. L'avveduta applicazione di questo criterio nel corso del Il secolo favorì un periodo di eccezionale splendore per l'impero, dissimulando o ritardando i fattori delle crisi future. La pubblicistica e la storiografia antiche si mostrano consapevoli della svolta che il principato di T. rappresentava e riservarono al personaggio apprezzamenti in genere molto positivi i cui echi si dilatarono ampiamente nella tradizione più tarda e si conservarono anche quando le fonti primarie andarono perdute o divennero inaccessibili alla cultura medievale. Così se il Panegiricus Traiano dictus di Plinio il Giovane (donde proviene la fortunata definizione " optimus princeps ") fu riscoperto solo nel 1433 e se la corrispondenza fra lo stesso Plinio e T. donde emerge l'equanimità dell'imperatore e la sua moderazione nel perseguitare i cristiani, ricomparve solo nel tardo Quattrocento, rimanevano pur sempre le testimonianze abbastanza efficaci di compilazioni tarde e vulgate, quali ad esempio il Liber de Caesaribus di Aurelio Vittore che lo celebra " aequus clemens patientissimus " (XIII 8) o l'anonima Epitome de Caesaribus dove egli è detto " iustitiae... ac iuris humani divinique tam repertor novi quam inveterati custos " (XIII 9). E anzi proprio da questi e simili spunti è da credere muovesse la leggenda medievale di T., alla quale si connettono anche i riferimenti di D., mentre risonanza assai minore avranno le testimonianze - come quella di Agostino Civ. XVIII 52 - relative alla persecuzione dei cristiani.
La leggenda, nella sua forma tipica e più fortunata, consta di due parti, elaborate in ambienti ed età diverse. Nella prima si narra uno straordinario atto di giustizia reso da T. a una vedova; nella seconda l'anima dell'imperatore pagano passa miracolosamente dall'Inferno al Paradiso per intercessione di s. Gregorio Magno. In un passo quasi certamente interpolato della Vita S. Gregorii Magni di Paolo Diacono, che sembra il documento più antico della leggenda pervenuto sino a noi, si afferma che s. Gregorio, " cum quadam die per forum Traiani, quod opere mirifico constat esse instructum, procederet, et insignia misericordiae eius conspiceret ", trovò " mirabile illud ": cioè appunto l'episodio della vedova che reclama giustizia per il figlio ucciso e l'ottiene dopo un rapido scambio di battute con l'imperatore cui si è fatta incontro mentre egli si avvia con l'esercito alla guerra. La pazienza di T. e il senso di giustizia che gli fecero ritardare la spedizione militare finché non fu ristabilito il diritto conculcato di un'umile donnetta commossero s. Gregorio e l'indussero a pregare Iddio perché usasse misericordia all'anima di quell'uomo piissimo (" huius devotissimi viri "): e in ciò fu esaudito.
Nel racconto della Vita non si precisa in che modo s. Gregorio conobbe le parole dette dai protagonisti: stando al testo, egli seppe dell'episodio osservando nel foro le raffigurazioni, verosimilmente scultoree, dei fatti dell'imperatore (si potrebbe pensare appunto alla colonna Traiana, dove una nazione sconfitta è rappresentata come una donna supplice che avrebbe dato luogo a un'interpretazione leggendaria), e non vi è accenno a testimonianze d'altra sorta (letterarie, orali, ecc.). Ciò introduce un curioso elemento d'inverosimiglianza che qualche scrittore più tardo s'ingegnò di eliminare o dissimulare: nel sec. IX Giovanni Diacono, in un'altra vita di s. Gregorio che per questo punto appare autonoma rispetto al passo interpolato in Paolo Diacono, dice semplicemente che il santo, passando nel foro di T., " recordatus atque miratus sit " l'aneddoto, che è riferito " sicut a prioribus traditur ". Giovanni di Salisbury tace affatto il modo in cui il racconto della giustizia di T. giunse a s. Gregorio, e dà della leggenda una versione indipendente, a quanto sembra, dalle altre due fin qui ricordate, più agile e meglio articolata nel dialogo fra l'imperatore e la vedova (Policraticus V 8). Attraverso Elinando la versione di Giovanni di Salisbury giunse allo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (XI 46 e XXIII 22) donde fu rielaborata in volgare nel Fiore di filosafi (XXVI) cui a sua volta rissale il Novellino (LXIX).
La salvazione di T., morto senza battesimo, poneva d'altra parte un grosso problema teologico, della cui gravità si mostra consapevole lo pseudo-Paolo quando aggiunge che s. Gregorio fu punito, " ne ulterius iam talis de quoquam sine Baptismate sancto defuncto praesumeret petere ". La questione rientrava nell'ampio e intricato contesto del dibattito circa la salvazione degli infedeli, ma sembrò meritare una considerazione privilegiata e una soluzione specifica cui s. Tommaso diede forma definitiva affermando " quod [Traianus] precibus beati Gregorii ad vitam fuerit revocatus et ita gratiam consecutus sit, per quam remissionem peccatorum habuit et per consequens immunitatem a poena " (Sum. theol. III suppl. 71 5).
I due momenti della leggenda di T. sono ricordati in due passi distinti della Commedia (ma ogni volta con riferimento alla struttura complessiva della vicenda). In Pg X 73-96, tra gli esempi di umiltà proposti in bassorilievi marmorei ai superbi della prima balza, ha il terzo luogo l'alta gloria / del roman principato, il cui valore / mosse Gregorio a la sua gran vittoria: si tratta appunto dell'episodio della vedovella, narrato, e quasi si direbbe sceneggiato, con icastica rapidità, tutto risolto com'è nell'incalzante successione degli atteggiamenti e delle battute dialogiche. A conclusione D. sottolinea il carattere miracoloso del visibile parlare (v. 95) onde nella scultura marmorea sono espresse, e per di più nella dimensione della durata, le parole che i personaggi raffigurati hanno pronunziato.
Quanto alla materia per sé stessa, sebbene non possa dirsi con certezza donde D. la derivasse, sembra evidente che essa si ricollega alla versione risalente a Giovanni di Salisbury, versione che, come si è detto, attraverso Vincenzo di Beauvais aveva già raggiunto la nostra narrativa delle origini sì che la conformità fra la scena dantesca e quella narrata nel Fiore di filosofi e nel Novellino è assai stretta (senza che ciò, ovviamente, basti a indicare un rapporto diretto). Tuttavia val la pena di osservare che nel visibile parlare del bassorilievo sembra inverarsi miracolosamente il paradosso già notato nello pseudo-Paolo: e si sarebbe tentati di pensare che nella straordinaria invenzione dantesca si transvaluti e si sublimi appunto la goffa narrativa di questo o di altro simile agiografo, piuttosto che il corretto narrare di un Giovanni di Salisbury.
Nell'esempio del Purgatorio appare esaltata quale virtù essenziale di T. non tanto la giustizia quanto la " facilitas " e l'umiltà che la sostanziano, perché, come nota assai finemente Benvenuto, " certe maxima humiliatio fuit quod altissimus princeps ita inclinaret imperatoriam maiestatem ad audiendam mulierculam plorantem, sub superbis signis, in campo martio superbo, inter equites superbos ".
Quale principe giustissimo T. è invece esplicitamente celebrato in Pd XX. Nel cielo di Giove egli è infatti uno dei cinque spiriti che formano il ciglio dell'aquila (vv. 43-48) e questa, nel nominarlo a D., lo designa come colui che la vedovella consolò del figlio (v. 45) aggiungendo che T. ebbe esperïenza / di questa dolce vita e de l'opposta (vv. 47-48). Quest'ultimo accenno sarà sviluppato più innanzi, quando l'aquila, sciogliendo un dubbio di D. circa la salvazione di T. e di Rifeo (v.), chiarirà che l'imperatore morì cristiano perché la sua anima, tratta dall'Inferno per le preghiere rese efficaci dalla viva speranza con cui furono levate a Dio, tornò per poco a soggiornare nel corpo e credette allora con tanto ardore di fede da meritare dopo la seconda morte il Paradiso (vv. 106-117). In quest'esposizione, anch'essa conforme alla tradizione suaccennata e, per quanto riguarda la sostanza dottrinale, al discorso di s. Tommaso, D. non fa il nome di s. Gregorio e non precisa la motivazione delle sue preghiere, ma l'uno e l'altra si evincono facilmente da quanto era anticipato in Pg X 74-75.
In ogni modo, pur ripetendo senza innovazioni materiali un fortunato racconto medievale, D. ne ripropone una lettura inconfondibilmente nuova, priva di qualsiasi inflessione mirabilistica e leggendaria e caratterizzata dalla rigorosa nettezza del tracciato storico e dottrinale. Non vi è nulla infatti di medievale nell'atmosfera di classicità rivissuta umanisticamente che pervade l'esempio del Purgatorio, mentre il miracolo rievocato nel Paradiso è spunto e sostanza per un'altissima meditazione religiosa.
Bibl. - G. Paris, La légende de Trajan, Parigi 1878; A. D'Ancona, Studj di critica e storia letteraria, Bologna 1880, 330-331; A. Graf, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, Torino 1923, 374 ss.; E. Paratore, Il c. XX del Paradiso, in Lect. Scaligera III 720 ss.; F. Gabrieli, in Nuove Lett. VI 270 ss.