TIRRENO, MARE (A. T., 22-23)
MARE Nome e confini. - Con questo nome si designa sino dall'antichità quel bacino del Mediterraneo occidentale, bene individuato fra la penisola italiana e le tre isole maggiori; i Romani lo chiamarono Mare Tuscum, o anche Inferum, in opposizione a Superum, che è l'Adriatico. Il nome Tirreno non fu esteso quasi mai a comprendere anche il Mar Ligure, che ne è del resto nettamente separato; invece si trova qualche volta nella letteratura antica il nome speciale Mare Sardoum per designare il mare intorno (e specialmente ad est) alla Sardegna. I limiti del Tirreno sono assai nettamente segnati. A N. lo separa dal Mar Ligure una soglia larga circa 90 km., tra il promontorio di Piombino e il C. Corso, interrotta dall'Arcipelago Toscano: in essa si avvalla fin sotto i 300 m. un canale assai stretto fra la Capraia e la Corsica. L'estesa e ampia piattaforma subacquea che sostiene la Corsica e la Sardegna, separa il Tirreno dal Mare Esperico: tra le due isole si ha solo l'angusta apertura delle Bocche di Bonifacio (km. 6,5) con bassi fondali. La più ampia comunicazione col bacino del Mediterraneo si apre a sud-ovest fra il Capo Carbonara in Sardegna e le isole Egadi ed è larga circa 300 km.; come confine del Tirreno è preferibile tuttavia assumere la linea isole Egadi-Banco Skerki-Capo Bianco (Tunisia), poi quella dal C. Bianco al C. Carbonara; nella parte centrale di questo passaggio si hanno profondità superiori a 1200 m. Infine lo Stretto di Messina, per il quale il Tirreno comunica con lo Ionio, è largo poco più di 3 km. nel punto più angusto. Nell'insieme il Tirreno presenta una forma tipicamente triangolare allargandosi progressivamente da nord a sud.
Degli 8000 km. circa che rappresentano lo sviluppo costiero dell'Italia e isole, circa un terzo appartiene al Tirreno. Le coste tirreniche, alternandosi ora basse ed ora alte a seconda della presenza lungo la spiaggia di montagne isolate o di propaggini delle catene interne, presentano, specialmente lungo la penisola italiana, falcature più o meno ampie e caratteristiche, intramezzate e interrotte o da promontorî più o meno sporgenti ed elevati (Piombino, Argentario, Circeo, ecc.) o più a sud aprentisi in golfi, sempre però di ampia e poco difesa apertura verso il mare. Tipici tra questi l'ampio Golfo di Gaeta, quelli di Napoli, di Salerno, di Policastro, di S. Eufemia per non ricordare che i maggiori. Aspetto diverso hanno le coste delle isole. Alta e unita è quella della Sicilia orientale mentre nella sezione occidentale assume di nuovo un aspetto che ricorda quello della parte meridionale della penisola. La costa della Sardegna poi, se si escludono il Golfo di Cagliari e la sezione più settentrionale tra Terranova e le Bocche di Bonifacio, uno degli esempî più caratteristici di coste a rias, presenta una linea costiera piuttosto unita e che si prolunga anche lungo tutta la parte della Corsica che prospetta questo bacino. L'insulosità è piccola; se si escludono le tre maggiori isole bagnate solo in parte dalle sue acque, non esistono grandi gruppi insulari. Il più ampio è l'Arcipelago Toscano (Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri) al limite settentrionale; seguono il gruppo delle isole Ponziane o Pontine (Palmarola, Ponza, Zannone, Ventotene, S. Stefano) di fronte all'ampio Golfo di Gaeta e quello assai sparso delle isole che fanno corona al Golfo di Napoli (Ischia, Procida, Vivara, Nisida, Capri). Un gruppo ben individuato e caratteristico è quello delle isole Eolie o Lipari, della costa settentrionale siciliana (Lipari, Salina, Vulcano, Filicudi, Alicudi, Panaria, Basiluzzo, Stromboli), mentre lungo la costa tirrenica della Sicilia si incontrano ancora Ustica e l'isola delle Femmine prima di arrivare all'estremità occidentale della Sicilia, dove affiora il gruppo delle Egadi (Favignana, Levanzo; Isola Grande, isolotti Maraone, Formica), poste al limite estremo di questo bacino. Anche tra la Sardegna e la Corsica si trova un gruppo di isole, l'Arcipelago della Maddalena (Maddalena, Caprera, S. Stefano, Spargi, Budelli, Razzoli, S. Maria), e qualche altra di minima importanza, mentre lungo la costa della Corsica, per la sua natura morfologica, non si hanno isole di qualche entità. Uno sviluppo insulare quindi assai limitato e in gran parte collegato con la storia geologica del continente.
Geologia. - La storia geologica del bacino è intimamente legata a quella di tutto il Mediterraneo, la cui origine va ricercata nell'ampia Tethis, delle più antiche età del Paleozoico. Le caratteristiche forme di questo antico bacino sono state esposte nelle linee generali (v. mediterraneo); conviene notare la presenza, nell'area tirrenica, di un antico massiccio ercinico del quale oggi rimangono solo scarsi avanzi (Arcipelago Toscano, Sardegna, Calabria, Peloritani). Tale conformazione si mantiene quasi intatta fino al periodo del movimento alpino, manifestando notevoli e alterne vicende che interessano però più la zona periferica della Tethis e poco riguardano la zona mediterranea e in particolar modo la tirrenica, per la quale tuttavia secondo alcuni si hanno mutamenti notevoli che riguardano l'area siciliana, raggiunta dal mare. Nel Trias si notano le prime variazioni valevoli di questo mare che dànno luogo, nelle età successive, a trasformazioni più radicali per effetto di trasgressioni e regressioni successive, che portano alla scomparsa quasi totale delle zolle più antiche. In seguito al movimento orogenetico alpino si ha una nuova fisionomia del Mediterraneo, interessante più propriamente anche il bacino tirrenico che però non subisce, per la parte attualmente occupata da questo mare, modificazioni importanti, all'infuori di una più precisa delimitazione che va, nei successivi periodi, sempre più avvicinandosi a quella attuale, raggiunta nel Quaternario, durante il quale si manifestano poderosi fenomeni di sollevamento, specie sulle coste calabre (terrazzi fino a 1200 m.). Anche il clima del bacino ha subito variazioni notevoli, come lasciano supporre i numerosi e frequenti (Sicilia) resti di grossi mammiferi della fauna africana, che fanno pensare a ponti peninsulari sommersi in epoca a noi assai vicina, ma che non interessano il vero e proprio Tirreno. Recenti e di carattere del tutto locale sono invece i fenomeni vulcanici, di cui però si trovano imponenti e frequenti manifestazioni.
Le conoscenze sulle condizioni batimetriche del Tirreno non possono dirsi soddisfacenti nonostante le ripetute campagne oceanografiche italiane e straniere. Tra le prime sono particolarmente degne di ricordo quelle della R. Nave Washington al comando dell'ammiraglio Magnaghi (1881-91), accompagnate talora da ricerche talassografiche ricche di risultati, poi varie altre campagne dell'Istituto idrografico della R. Marina nel 1898-99, e nel 1901-03; tra le straniere la spedizione, magnificamente organizzata, della nave danese Thor.
Ciò nondimeno gli scandagli a grandi profondità sono assai scarsi: 27 soltanto superiori a 3000 m. e 16 superiori a 3500. Risulta in ogni modo che il Tirreno è uno dei bacini più profondi di tutto il Mediterraneo.
L'area racchiusa dall'isobata di 3500 m. ha l'aspetto di una fossa molto irregolare, con l'asse da NO. a SE., compresa fra 38° 56′ e 40° 39′ lat. N. e 11° 35′ e 14° 29′ long. E.; verso l'estremo nord di essa si hanno le massime profondità finora misurate, di 3730 m. L'area racchiusa dall'isobata di 3000 m. ha la stessa forma, ma abbraccia un'area molto più vasta.
Lo zoccolo continentale che sostiene la piattaforma sulla quale poggiano la penisola italiana e la Sicilia da un lato e quella, assai più antica, su cui. si allineano Sardegna e Corsica presenta fianchi ripidissimi, che se non raggiungono i valori delle forti pendenze della costa marocchina del M. Esperico, sono tuttavia da ritenersi tra i massimi valori che si riscontrano nel Mediterraneo. Ne consegue uno sviluppo assai ristretto e angusto della fascia litorale di piccola e media profondità, interessante lo sfruttamento peschereccio; essa infatti si riduce assai fortemente, soprattutto là dove le coste sono alte e scoscese. Abbastanza ampia risulta verso N., dove affiorano le isole dell'Arcipelago Toscano. Il resto del Tirreno, cioè la zona centrale, è limitato da una ripida scarpata che porta rapidamente alla zona di massima profondità, solo interrotta dalle piattaforme di sostegno delle isole Pontine ed Eolie; mentre le Lipari sorgono su quella zona poco profonda che collega la Sicilia con l'Africa settentrionale.
I sedimenti che occupano questa parte del Mediterraneo sono stati studiati soprattutto per opera della spedizione danese. I caratteri generali si differenziano alquanto da quelli dei tipici sedimenti oceanici; presentano colore bruno chiaro, consistenza argillo-sabbiosa con circa il 50% di limo per i sedimenti lontani dalla terraferma; gli elementi inorganici sono in sovrabbondanza specialmente nelle sabbie, mentre scarsi e assai localizzati sono gli elementi vulcanici. La differenziazione per grandezza è legata, come in tutti i mari, alla distanza dalle coste e nei depositi di gran fondo vi è una preponderanza fortissima degli elementi con meno di 0,05 mm. di diametro. Carattere peculiare dei depositi mediterranei e soprattutto tirrenici, oltre alla presenza di elementi d'origine vulcanica, è l'alto tenore in CaCO3 e la presenza in una certa abbondanza di alcuni minerali caratteristici; il primo presenta delle variazioni locali, ma la percentuale è sempre molto forte e raggiunge una media che sta intorno al 50%, con oscillazioni più o meno grandi intorno a questo valore; i minerali più comuni sono calcite, gluconite, dolomite, pirite e gesso. La presenza di organismi è naturalmente evidente, benché non si raggiungano le alte percentuali degli oceani; vi sono notevolmente abbondanti i Foraminiferi e Pteropodi e anche abbastanza frequenti nelle zone di minor profondità sono le formazioni coralline, sia di C. rubrum, sia di altri generi: Desmophyllum, Dendrophyllia, Amphifellia, ecc.
Le proprietà fisico-chimiche del Tirreno sono legate a due fattori principali: da un lato l'intima e stretta relazione con il restante bacino mediterraneo e con le sue peculiari caratteristiche e dall'altro con le sue condizioni idrografiche. La mancanza di corsi d'acqua d'importanza e di entità tale da influire sul complesso di queste proprietà risulta evidente; anche i maggiori tributarî del Tirreno (Arno, Tevere, Volturno, ecc.) esercitano solo un influsso locale. Alcune proprietà fisiche, quali la trasparenza e il colore, cui è collegata intimamente anche la penetrazione delle radiazioni calorifiche e luminose, sono influenzate sia dall'assenza di forti apporti di acque dolci, sia dalla povertà della vita planctonica. Per la trasparenza sono state fatte misure già da tempo per opera sopra tutto di Secchi e Cialdi, dalle cui osservazioni risulta che il valore massimo per il Tirreno è di m. 42,5.
La zona di Capri è naturalmente tra le più trasparenti di tutto il Mediterraneo, superata solo dalla trasparenza del mare di Rodi. Il colore, misurato con la scala Forel, è paragonabile ai primi gradi, essendo nettamente azzurro (2-3 Forel), alquanto meno intenso di quello del bacino orientale (Creta e Cipro).
Strettamente legata alla trasparenza e al colore è la penetrazione delle radiazioni nelle acque, i cui studî sono stati ripresi per il mare di Capri recentemente dal Vercelli, il quale ha potuto dimostrare che, sia per la penetrazione totale sia per quella a varie lunghezze d'onda, si debbono modificare in parte i dati acquisiti. Secondo il Vercelli il limite massimo per la penetrazione della radiazione solare totale è di 500-600 metri; per la penetrazione selettiva le sue ricerche avrebbero stabilito che le radiazioni più penetranti non sono le violette, bensì quelle della zona del verde.
In diretta relazione con i due fattori su menzionati, oltre che con le condizioni climatiche del bacino mediterraneo, sono le condizioni di temperatura, che nelle linee generali sono comuni a quelle del Mediterraneo. Per quanto riguarda la temperatura di superficie si osserva che essa nell'inverno è alquanto superiore nelle medie a quella dell'aria sovrastante, mentre nella stagione estiva avviene il contrario. È questa una delle nozioni risultanti dalle abbastanza numerose osservazioni fatte dall'epoca di Marsigli fino ad oggi. Per il Tirreno si osserva che tali valori possono toccare 2°-3° di eccedenza nell'estate (marzo-settembre) in favore della temperatura dell'aria, mentre nell'inverno (ottobre-aprile) avviene il contrario con valori anche di 5°-6 (Napoli: superficie 13°,2, aria 5°,8). Ancor più caratteristico è il comportamento della temperatura in profondità, riconosciuto già da Aimé per tutto il Mediterraneo e così enunciato: "la temperatura minima degli strati profondi del Mediterraneo è uguale alla media delle temperature invernali in superficie". E ciò è comprensibile quando si tien conto che alla massima profondità dello stretto di Gibilterra corrisponde nell'Atlantico un livello termico con valori non inferiori a quelli invernali di superficie del Mediterraneo. L'andamento quindi della curva delle temperature in profondità, salvo variazioni locali e temporanee, si abbassa gradualmente da un massimo di superficie, influenzato dalle variazioni stagionali, fino a un minimo che oscilla intorno a 13°,2-13°,7.
Tali peculiari condizioni termiche, insieme con quelle idrografiche più volte ricordate, influiscono fortemente anche sulle proprietà chimiche, specialmente la salinità. I valori di salinità del Tirreno, se non toccano i massimi del Mediterraneo, raggiungono tuttavia valori notevoli, soprattutto in alcune zone. È noto che la salinità del Mediterraneo, escluso il M. Nero, aumenta da occidente verso oriente; il Tirreno, appartenendo al bacino occidentale e in ampia comunicazione con esso, ha valori intorno al 38‰, che aumentano lievemente in profondità (38,5‰) e che manifestano variazioni locali, soprattutto in presenza di fattori adatti, come apporti di acque dolci, comunicazioni con gli altri bacini, ecc. Le altre caratteristiche chimiche oceanografiche, come il contenuto in O2, equilibrio dei carbonati, nitrati, fosfati, e chimico-fisiche (pH) presentano un quadro che è stato studiato abbastanza a fondo nelle spedizioni danesi (1908-1910) e in ricerche successive. Mentre il comportamento dell'O2 si è dimostrato del tutto regolare e legato strettamente a fattori ambientali, che ne determinano la capacità di disciogliersi in seno alle acque, l'equilibrio dei carbonati presenta un quadro assai complesso e collegato da un lato alle condizioni dell'atmosfera sovrastante e alla relativa ricchezza di carbonati dei sedimenti marini e dall'altro alle particolari condizioni biologiche di questo mare. Più stretto legame ancora con i fenomeni vitali presenta la caratteristica povertà di questo mare, come di tutto il Mediterraneo, in nitrati e fosfati, già riconosciuta per le ricerche eseguite sia dai Danesi, sia da altri studiosi. Tuttavia essendo tali questioni ancora, almeno per quanto riguarda le ricerche, oscure, il Conseil permanent pour l'exploration de la Mer Méditerranée, per interesse soprattutto di uno studioso italiano, il Brunelli, ha posto tali ricerche all'ordine del giorno.
Movimenti. - Per quanto riguarda la dinamica marina le condizioni del Tirreno vanno messe in rapporto con quelle di tutto il Mediterraneo. Sull'ampiezza e altezza delle onde esistono osservazioni sporadiche, le prime riportate dal Marsigli, già ricordato. Le onde non raggiungono, per ragioni diverse, i valori degli oceani; tuttavia si hanno esempî di onde assai notevoli, registrati in periodi di forti tempeste. Maggiori e più sistematiche osservazioni si hanno per le maree, delle quali si sono occupati varî autori (v. mediterraneo). Se il quadro complessivo del Mediterraneo è quindi abbastanza chiaro, mancano osservazioni panticolareggiate per le coste del Tirreno. Dagli studî teorici e dai dati esistenti risulta che le oscillazioni di alta e bassa marea sono ridottissime per le coste tirreniche (Civitavecchia, cm. 21; Ischia, cm. 16; Gaeta, cm. 15; Napoli, cm. 21; Pizzo, cm. 15; Tropea, Lipari, Capo Peloro, Milazzo, cm. 20; Palermo, cm. 15; Messina, cm. 12); i massimi valori si raggiungono presso Porto S. Stefano e Piombino.
Alcuni cenni più diffusi merita l'illustrazione del sistema circolatorio del Tirreno. Ricerche abbastanza numerose, benché molto localizzate, sono state fatte da varî studiosi, tra i quali Marinelli, Platania, Vercelli. Secondo gli accertamenti eseguiti rimane assodata l'esistenza di una corrente, influenzata, come il Vercelli ha dimostrato, dai moti peculiari dello Stretto di Messina, che corre lungo le coste della penisola italiana da SE. verso NO., e che subisce spostamenti locali dovuti allo sbocco dei fiumi con formazione di correnti secondarie in senso opposto; essa si fa maggiormente sentire con i venti del IV quadrante nel canale di Piombino, dove raggiunge velocità da 1,5-2,5 miglia orarie. Secondo G. Dainelli, O. Marinelli e G. Stefanini esisterebbero moti di deriva, dovuti a venti predominanti, più che vere e proprie correnti, che, dove sono state accertate, hanno valori piuttosto bassi. Tuttavia a completare la conoscenza del ciclo delle correnti del Tirreno mancano quasi totalmente le osservazioni lungo le coste della Corsica e della Sardegna, dove tale problema dovrebbe vieppiù complicarsi, dato lo scambio di acque attraverso le Bocche di Bonifacio. Come si è già avvertito, il sistema circolatorio innestato su quello generale del bacino, ma abbastanza autonomo, data l'individualità del Tirreno, risente l'influenza dei venti stagionali predominanti. Mancano i forti venti occidentali; nel periodo estivo predominano quelli deboli di SE., NE. e E., alternati con periodi di calma, mentre le spiagge sono soggette al meccanismo delle brezze. Nell'inverno forti venti di SE. imperversano tra Piombino e Civitavecchia accompagnati da basse pressioni. Lungo le coste della Campania meridionale e della Calabria forti venti di terra nella stagione invernale possono recare danni alla navigazione costiera.
Distribuzione della popolazione e sedi. - Gli stati che si affacciano al Tirreno sono politicamente due (Italia e Francia), ma esso si può senz'altro definire un mare prettamente italiano, per ragioni sia fisiche sia etnografiche e politiche; infatti l'importanza della costa della Corsica, prospicente questo bacino, è del tutto secondaria. Assai diversa è tuttavia anche la fisionomia dei varî tratti della costa italiana. Si può notare che quasi in tutta la sua lunghezza la costa è abbastanza fortemente popolata, se si escludono alcuni tratti, che con le attuali bonifiche vanno sempre più riducendosi (costa maremmana, laziale, sarda, ecc.). Delle 22 città italiane con più di 100.000 ab., 6, contando Reggio di Calabria, Messina e Cagliari, poste agli orli, e Roma, sono bagnate dal Tirreno e da esso traggono in tutto o in parte elementi della loro economia. Se alcuni tratti costieri per le loro cattive condizioni di abitabilità hanno una scarsa popolazione, ve ne sono alcuni che vanno annoverati tra le aree più densamente abitate dell'Italia (Campania, Sicilia). La distribuzione e il carattere dei centri va ricercato in fattori tra i più varî che possono influire su questo fatto. La loro localizzazione è di solito collegata alla maggiore o minore abitabilità della costa, all'esistenza di rifugi e di possibilità naturali di approdo e di difesa contro il mare, all'esistenza di acqua dolce. Ciò si nota specialmente per i numerosissimi e piccoli centri pescherecci. Lo sviluppo dei varî grandi centri, oltre che all'esistenza di un retroterra più o meno vasto, è legato anche alle ragioni storiche e politiche delle vicende precedenti all'unificazione della Penisola.
Il tipo delle sedi e delle costruzioni si adegua sia alla natura del suolo e della costa, sia alla presenza di materiali da costruzione. Gli elementi architettonici e la forma delle costruzioni sono generalmente legati strettamente alle condizioni d'ambiente. Da notarsi l'esistenza di costruzioni tipiche quali chiese e santuarî, situati sopra i più alti promontorî.
Pesca e navigazione. - La pesca nel Tirreno, specialmente con l'attuale sviluppo della pesca meccanica o di altura, è alquanto aumentata rispetto a qualche anno addietro. Tuttavia è sempre limitata per la piccola estensione della piattaforma continentale sfruttabile - tra 0 e 250 m. in media di profondità - e ancor diminuita dalle zone non dragabili. Pur essendo il Tirreno un mare povero da questo punto di vista, la pesca per l'operosità solerte degli abitanti costieri è oggetto di un'attività multiforme, per strappare al mare i suoi tesori. Tipica del Tirreno è la lampara, mestiere che i pescatori napoletani e pozzolani nelle loro stagionali peregrinazioni hanno ampiamente diffuso. Le coste verso cui tale migrazione si dirige sono soprattutto le limitrofe coste laziali, toscane e calabre. Alcuni centri come Porto S. Stefano, Port'Ercole, Civitavecchia, Napoli, Palermo, ecc., sono tra i più importanti mercati e centri pescherecci del Tirreno; in nessun piccolo centro mancano però abitanti che dalla pesca non traggano almeno parte del loro necessario.
Le vie di navigazione e di traffico del Mediterraneo passano in parte per il Tirreno, in parte invece sfuggono da esso per toccare i porti degli altri bacini. Dalla poderosa corrente di traffico che entra per Gibilterra un'aliquota notevole fa capo a Napoli, secondo porto di movimento della Penisola. Non estraneo a tale movimento rimane Palermo, mentre gli altri porti sono di esclusiva e quasi assoluta importanza regionale. Regolari servizî giornalieri o settimanali solcano questo mare per collegare le grandi e piccole isole col continente; esistono pure alcune regolari linee aeree e alcune isole sono collegate al continente da cavi sottomarini. Per la posizione politica, v. mediterraneo.
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