Mare
L'habitat prevalente del genere umano è la terraferma; eppure nel corso della sua formazione il nostro pianeta ha riservato solo il 30% della sua superficie alle terre emerse, lasciando alle acque marine la parte restante. La concezione del mare quale generatore di vita, derivata da una credenza mitologica degli antichi, è divenuta verità scientifica grazie alle ricerche di astrofisica, biofisica, biologia, paleontologia, paleoantropologia. Lo sfruttamento delle risorse marine - biologiche, energetiche, minerarie - in alcuni settori dura da lungo tempo, in altri è iniziato di recente, in altri ancora è allo stadio sperimentale o a quello di progettazione. Il mare è anche sinonimo di salute, di benessere psicofisico, con riferimento all'azione positiva che il clima marino può esercitare sull'organismo umano, qualora si tengano nella dovuta considerazione i vari fattori che contribuiscono a determinarlo.
Il mare e l'uomo
di Ernesto Mazzetti
l. La formazione della massa oceanica e la sua configurazione attuale
La vastità dell'azzurro marino come connotato dominante del paesaggio terrestre è divenuta un'immagine consueta da quando il progresso tecnologico ha consentito all'uomo di raggiungere la Luna e di porre in orbita strumenti di rilevazione e controllo. In precedenza, la percezione visiva dell'esiguità della terraferma rispetto all'estensione dello spazio d'acqua era affidata soltanto al simbolismo cromatico dei planisferi e dei globi geografici.
Le immagini del pianeta che ci vengono oggi restituite dalla ricognizione satellitare fotografano una condizione della superficie terrestre che è attuale soltanto da circa 10.000 anni: un tempo assai modesto rispetto al calendario geologico e astronomico. Nella genesi del sistema solare, la Terra restò a lungo uno sferoide di materiali fluidi e gassosi in combustione ininterrotta. Aleggiavano sul magma incandescente anidride carbonica, ammoniaca, composti aerei dello zolfo, un insieme di gas che vennero spazzati via dal vento solare. Con l'inizio del raffreddamento della crosta, mentre le emissioni di ossigeno e azoto andavano a formare l'atmosfera che avrebbe poi reso possibile sulla Terra, unico tra i pianeti gravitanti intorno al Sole, la nascita e l'evoluzione di organismi viventi, enormi masse di vapore si trasformavano in acqua. Per milioni di anni, nel corso della tumultuosa fase iniziale di formazione della Terra, piogge ininterrotte e torrenziali, alimentate di continuo dai vapori derivanti dalle eruzioni vulcaniche, dalle emissioni di anidride carbonica, idrogeno, azoto e loro composti solforati e ossidati, diedero luogo alla formazione oceanica: acqua contenente sali, in prevalenza di sodio e di cloro, in una proporzione tra i 34 e i 35 g/l, la quale inondò gran parte della superficie appena consolidata.
È opinione prevalente nel mondo scientifico che circa 300 milioni di anni fa, sul finire del Paleozoico, la superficie del pianeta apparisse suddivisa in un unico grande blocco continentale, la Pangea, circondato da un'unica massa oceanica, la Pantalassa (Oceano Pacifico primordiale).
L'attuale morfologia planetaria, secondo tale ipotesi, è frutto di un fenomeno cui è stato dato il nome di 'deriva dei continenti' e il cui inizio viene collocato nel Giurassico, circa 190 milioni di anni fa. Nella fase iniziale della frammentazione, Pangea si suddivise nel blocco australe, Gondwana, e in quello boreale, Laurasia. A questa prima spaccatura, ad andamento orizzontale, seguirono quelle con andamento verticale: Gondwana si frammentò in quattro blocchi dai quali sarebbero derivati, da ovest verso est, America Meridionale, Africa, India e Australia; Laurasia si frammentò nei blocchi dai quali sarebbero derivati America Settentrionale, Groenlandia ed Eurasia. Fasi ulteriori del processo hanno visto, nel corso degli ultimi 100 milioni di anni, i continenti assumere la configurazione attuale, attraverso la più netta separazione dell'Europa dall'Africa e dall'Asia Minore per l'ampliamento dell'antica Tetide nell'attuale Mar Mediterraneo; la congiunzione della penisola indiana all'Asia; l'accrescimento della distanza tra blocco euroafricano e Americhe grazie all'allargamento dell'Atlantico; la frammentazione insulare nella vasta estensione dell'Oceano Pacifico. La deriva dei continenti è un processo tuttora in atto: la misurazione degli spostamenti, lenti ma costanti, induce a ritenere che gli eventi geologici più rilevanti, in una prospettiva misurabile in circa 50 milioni di anni, saranno la riduzione della superficie del Mediterraneo, provocata dalla spinta della massa continentale africana in direzione nord; lo spostamento verso nord dell'Australia; il verificarsi di fratture ai bordi dell'Africa sudorientale e dell'America nordoccidentale. I sommovimenti tellurici susseguitisi nel corso delle ere geologiche hanno causato ora emersione di nuove terre, ora sommersione di terre esistenti, com'è dimostrato dalla presenza di vasti giacimenti di conchiglie fossili in aree interne dei continenti, anche in terreni di notevole altitudine rispetto al livello del mare. Nel Miocene, epoca intermedia del periodo Terziario, buona parte dell'attuale Europa centro-orientale era coperta dal mare, mentre larghe estensioni di terraferma emergevano in quelli che oggi sono gli spazi del Mare del Nord e del Mar Mediterraneo. I grandi mutamenti climatici che hanno investito la Terra nel Terziario e che, a partire da circa 3 milioni di anni fa, nel Pleistocene, hanno visto susseguirsi numerose glaciazioni, intervallate da fasi interglaciali a temperatura mite, determinavano espansioni della terraferma, quando il congelamento di grandi volumi di acque oceaniche ne provocava la contrazione, e affondamento di terre nelle fasi di scioglimento dei ghiacciai.
Oggi la Terra vive un periodo interglaciale: ma solo 12.000 anni fa la coltre gelata raggiungeva l'odierna posizione di Parigi, in Europa, e di Chicago in America Settentrionale. Lo scioglimento delle coperture glaciali delle regioni polari, ipotesi paventata da alcuni scienziati in rapporto al riscaldamento dell'atmosfera, comporterebbe l'innalzamento di 60 m dell'attuale livello marino medio. Se, alla scala planetaria, il movimento delle masse continentali connesso con la dinamica di forze attive nelle profondità della Terra e le grandi variazioni climatiche appaiono destinati ad alterare in tempi lunghi la configurazione degli spazi oceanici nel loro rapporto con le terre emerse, alla scala regionale fenomeni legati prevalentemente all'interagire di forze di superficie determinano variazioni nei profili costieri, onde, nel volgere di un numero di anni talvolta anche di entità modesta, le fasce litoranee guadagnano nuovi spazi ora al mare, ora alla terraferma. Nell'ambito della variazione continua della superficie terrestre dovuta a fattori climatici e regimi idrografici, per quanto riguarda il rapporto mare-terra le osservazioni scientifiche concordano nell'attribuire caratteri costanti a due fenomeni: l'espansione del mare a fronte di coste rocciose e il suo arretramento in corrispondenza delle foci fluviali. Nel primo caso, l'ininterrotto martellare delle onde corrode lentamente ma inesorabilmente basalti, graniti, calcari. Il moto ondoso modella i litorali a seconda della resistenza opposta all'erosione dalle rocce costiere, così che promontori s'alternano a baie o insenature laddove a rocce dure se ne affiancavano di più tenere. Nel secondo caso, i materiali trasportati dai fiumi, in quantità tanto più elevate quanto più estesa è la portata d'acqua e maggiore la pendenza di essi, rialzano il fondo del mare e lo fanno arretrare. Si formano pianure alluvionali che modificano nel tempo i profili costieri; insediamenti che una volta erano a bordo di mare oggi si ritrovano nell'entroterra. Derivante da cause diverse dalle tensioni all'interno del pianeta e dalle forze - clima, venti, moti ondosi - che agiscono sulla superficie è il fenomeno delle maree. Esso è generato dall'attrazione della massa lunare sulla Terra: innalzamento e abbassamento del livello marino si manifestano con andamento quotidiano e caratteri costanti, salvo perturbazioni determinate da onde oceaniche. Particolari caratteristiche dei bacini e disposizione dei litorali possono più o meno enfatizzare l'effetto delle maree; di scarsa o nulla rilevanza nello spazio oceanico, esse risultano di particolare importanza per la vita marittima di alcune regioni, consentendo l'accesso del naviglio entro bacini posti all'interno di estuari fluviali che altrimenti sarebbero preclusi al traffico mercantile. Variazioni del livello medio della superficie marina sono, inoltre, determinate dal fatto che, non essendo perfettamente sferica la forma della Terra, il suo campo gravitazionale non è isotropo. Solo nel 20°secolo, con l'esplorazione delle regioni polari, l'uomo può affermare di aver completato la conoscenza degli oceani e dei mari che ricoprono oltre i due terzi del pianeta. Sui criteri per la più corretta ripartizione dell'estensione marina, si può dire che il dibattito tra gli scienziati abbia avuto inizio non appena conosciuti i contorni generali degli spazi oceanici. È diffusa la delimitazione cosiddetta tripartita in oceani: Atlantico (circa 82,5 milioni di km2), Indiano (circa 73,5 milioni di km2) e Pacifico (oltre 165 milioni di km2). Tali misure sono destinate a crescere attribuendo ai tre oceani gli spazi dei mari considerati da essi dipendenti. Questi ultimi vengono suddivisi in mari mediterranei principali (Artico, Americano, Asiatico, Europeo); in mari mediterranei secondari (Baltico e Kattegat, Baia di Hudson, Mar Rosso, Golfo Persico); in mari adiacenti (Mari del Nord, d'Irlanda, delle Andamane, di Ochotsk, del Giappone, Cinese Orientale, di Bass, Stretto della Manica, Golfi di San Lorenzo e di California). Al di là di questa suddivisione, è frequente, nell'ambito di singoli mari dipendenti, l'ulteriore ripartizione dello spazio marino in mari regionali. Le acque del Mediterraneo che bagnano l'Italia, acquistano le denominazioni di Mar Ligure, Tirreno, di Sardegna, di Sicilia, Ionio e Adriatico; andando verso oriente, le stesse acque prendono il nome di Mar Egeo e poi Mar di Marmara e Mar Nero. L'Artico prende, da ovest verso est, le denominazioni di Mar di Groenlandia, di Barents e di Kara. Intraprese già dal 18° secolo, le esplorazioni scientifiche dei fondali marini e le analisi dei dati da esse ricavati hanno ampliato sempre più le conoscenze, man mano che tecnologie avanzate venivano poste a disposizione dei ricercatori: dall'ecoscandaglio fino ai batiscafi abissali dotati di telecamere. Gli studi sui venti, le correnti calde e fredde, la batimetria, la morfologia dei fondali hanno consentito, anche in uno scambio di informazioni a livello internazionale, l'acquisizione di elementi sufficienti a delineare la geografia fisica degli oceani. Essenziali per la navigazione e la pesca, per posa di cavi e condotte sottomarine, gli studi di biologia e geologia marina hanno posto in risalto la possibilità che dal mare l'umanità possa trarre nuove risorse alimentari e minerarie. Negli ultimi anni del 20° secolo le rilevazioni satellitari hanno offerto ulteriori elementi di conoscenza sugli oceani; i dati radar-altimetrici hanno mostrato come l'elevazione media della superficie degli oceani rifletta la topografia del fondo oceanico: poiché la forza gravitazionale delle masse costituite dalle montagne sottomarine tende ad attirare l'acqua verso le loro cime, ne deriva che la superficie oceanica non è piatta ma, in rapporto alla morfologia dei fondali, ricca di avvallamenti e sollevamenti.
2.
Allo stato attuale della ricerca scientifica, esiste un diffuso consenso riguardo alla tesi che l'origine della vita sia riconducibile all'aggregazione di molecole e a fotosintesi avvenute in ambiente acqueo all'incirca 4 miliardi di anni fa. In un lento processo evolutivo durato oltre un miliardo di anni, da un primitivo nucleo monocellulare vennero formandosi alghe primordiali e microrganismi. Comunità cellulari generatrici di ossigeno presero il posto di cellule anaerobiche. A un miliardo di anni fa si ritiene sia possibile datare la nascita di organismi pluricellulari, assimilabili alle attuali spugne e meduse: le forme di vita primordiali erano ancora tutte in ambiente marino. Nel Cambriano, circa 500 milioni di anni fa, si spostarono sulla terraferma forme elementari di vita vegetale, le Crittogame; prevalevano nella fauna marina i Molluschi trilobiti e ancora milioni di anni furono necessari perché si sviluppassero animali che, come gli anfiossi, avrebbero costituito una tappa di passaggio verso i Vertebrati. I primi animali sulla Terra furono invertebrati Anellidi: millepiedi e scorpioni. Le loro tracce fossili vengono fatte risalire a circa 400 milioni di anni fa. Nello stesso periodo, nelle profondità marine l'evoluzione generava i primi Pesci dotati di colonna vertebrale; gli organismi viventi cominciarono a dotarsi di organi sensoriali: vedevano, ascoltavano, annusavano. Probabilmente l'esigenza di ricercare nuove risorse alimentari e di liberarsi da predatori, spinse alcuni Pesci, come i Dipnoi e l'eusthenopteron, ad affrontare per primi la vita di terraferma, all'inizio in una dimensione anfibia, successivamente adattando all'atmosfera i loro organi respiratori. L'Era Secondaria (ovvero il Mesozoico) vide sulla Terra la dominanza dei grandi Rettili; successivamente, nel Terziario - in un arco temporale che va da 70 a 3 milioni circa di anni fa - la dominanza sarà invece detenuta dai Mammiferi. Mondo marino e mondo terrestre vivevano ciascuno la propria vita. I grandi quadrumani destinati a evolvere verso il portamento eretto abitavano la foresta e la savana. Sul finire dell'epoca del Pleistocene - ormai gli anni non vanno più calcolati in milioni ma in decine di migliaia - si può considerare iniziato il popolamento della Terra da parte di Ominidi ai quali sono stati dati, a seconda delle caratteristiche evolutive, i nomi di Homo erectus e Homo habilis; la loro sostituzione, poi, avverrà a opera del nostro progenitore che, per la capacità della scatola cranica, meriterà prima la qualifica di Homo sapiens e, infine, quando darà vita alle prime forme organizzative di gruppi umani, quella di Homo sapiens sapiens. Sarà proprio l'Homo sapiens sapiens a riavvicinarsi all'acqua, inizialmente collocando sulla sponda di grandi fiumi le sue prime città in quanto consapevole del ruolo dell'acqua nell'agricoltura e delle vie fluviali per la messa in valore di nuove terre e per i contatti con altre regioni, e successivamente cominciando ad affrontare le grandi distese marine.
3.
Le acque marine sono l'ambiente di vita per milioni di organismi vegetali e animali. Sin dalla preistoria l'uomo ha tratto da questo ambiente parte del cibo necessario; per alcune comunità umane ancor oggi, com'è il caso, per es., degli inuit che vivono nelle regioni glaciali dell'emisfero boreale, il mare rappresenta la fonte pressoché unica di sostentamento. Solo nel 20° secolo le ricerche oceanografiche hanno permesso di giungere a una conoscenza sufficientemente approfondita della complessità della catena biologica che si articola sotto la superficie marina, e di distinguere tra la vita che si sviluppa sul fondo o in corrispondenza di esso (zona bentonica) e gli strati superiori (zona nectonica), anche in rapporto alle diverse temperature, correnti, profondità, morfologia del fondo. Il primo anello della catena è costituito dalla fotosintesi che determina la fissazione dei fosfati e nitrati disciolti nelle acque marine. Entro gli strati superficiali illuminati (zona eufotica) viene sintetizzata la parte preponderante delle sostanze necessarie alla formazione delle cellule organiche su cui è basato il ciclo alimentare del mare: il fitoplancton. Questa varietà di microscopici organismi vegetali in sospensione nella massa acquea costituisce l'alimento di piccoli animali erbivori (lo zooplancton). La maggiore ricchezza di vita marina si riscontra nelle fasce entro le quali vi è contatto tra mare e continente e afflusso di sostanze minerali grazie all'apporto di acque fluviali. In tali fasce, nella zona bentonica, si radica e prospera la vita vegetale e animale e si accumulano detriti minerali e organici sottoposti a trasformazioni da parte della fauna batterica. L'ambiente di contatto tra mare e continente è suddiviso: in una fascia mediolitoranea che è sommersa dal mare in fase di maree ascendenti e che dà vita a Molluschi e alghe; in una infralitoranea, con profondità sino a 20 m, ove è particolarmente favorita la vegetazione di alghe che abbisognano di luce solare; in quella perilitoranea dove vi è concentrazione di una fauna assai diversificata e diffusa fino al limite delle zone epipelagica (profondità fino a 120 m) e mesopelagica (fino a 300 m). La vita organica diminuisce al decrescere dell'influenza continentale e al rarefarsi dello zooplancton. Numerose specie ittiche popolano ancora la zona infrapelagica (fino a 600 m), così come i Cefalopodi trovano il loro ambiente anche nella zona batipelagica (fino a 2500 m). Rare specie animali resistenti alle enormi pressioni e all'oscurità sono state identificate anche a profondità abissali.
Tra i vari strati si attiva una costante migrazione verticale di organismi viventi, destinati a essere, in rapporto alle specie e alle dimensioni, prede o predatori. La pratica della pesca ha acquisito dimensioni sempre più vaste e risultati sempre più efficaci in rapporto a due fattori: le conoscenze scientifiche, che hanno consentito l'individuazione delle aree più pescose e delle stagioni più propizie per la cattura delle varie specie; l'evoluzione tecnologica, che ha trasformato il moderno battello da pesca in un meccanismo in grado di procedere alla rilevazione sottomarina delle prede, alla loro cattura e selezione, alla prima lavorazione e conservazione attraverso congelamento. La pesca industriale assicura oltre l'80% del pescato mondiale. I principali mercati di consumo sono nell'area dei paesi sviluppati, Europa, America Settentrionale, Giappone, nei quali operano industrie per la lavorazione e conservazione del pesce e per la trasformazione in fertilizzanti dei residui di tali produzioni. Nell'ultimo decennio del Novecento, la Cina ha superato il Giappone, il Perù e Cile hanno superato gli Stati Uniti e la Russia, per quantità di pescato; paesi in via di sviluppo, come India, Indonesia, Thailandia, hanno accresciuto in modo significativo la loro presenza nel settore della pesca divenendo fornitori dei paesi sviluppati, ma anche aumentando i consumi interni. Nel 1993, per la prima volta il pescato mondiale ha superato i 100 milioni di tonnellate. L'Oceano Pacifico è tra gli spazi oceanici il maggior fornitore: a quest'area compete almeno la metà del pescato mondiale, mentre l'Atlantico assicura circa il 40% e la quota residua è ripartita tra Mar Mediterraneo e Oceano Indiano. Dal mare l'uomo ha tratto, già agli albori della civiltà, anche una delle sostanze minerali più importanti per la sua vita: il sale. Con questo nome venne designato sin dall'antichità il cloruro di sodio. Alla proprietà di insaporire i cibi, il cloruro di sodio associa quella di conservarli, in quanto ostacola la vita organica. Un suo giusto apporto è ritenuto essenziale nell'alimentazione umana; di contro, mentre se carente provoca pellagra, se eccessivo produce ipertensione arteriosa. Il sale può essere estratto da giacimenti naturali; i maggiori quantitativi, però, sono sempre stati ricavati dalle acque marine attraverso un processo di evaporazione che i cinesi praticavano già alcune migliaia di anni fa. Le regioni a clima caldo e ventilato che presentano pianure costiere sono favorite per l'impianto di saline marittime. Il raccolto annuo di una salina mediterranea è di circa 100 kg per ogni m2 della cosiddetta superficie salante; esso cresce nelle saline operanti in climi tropicali. Nelle regioni fredde l'estrazione è praticata con il metodo del congelamento. La salinità dei mari è variabile in rapporto a molti fattori, ma principalmente in ragione degli apporti fluviali, dell'andamento delle precipitazioni e dell'evaporazione. La percentuale di cloruro di sodio presente nei mari comunicanti oscilla tra 28 e 31 kg/m3. La salinità è attribuita all'infiltrazione nelle acque marine (così come in quelle di laghi presenti in vari continenti) di immense quantità di cloruro di sodio nella fase di raffreddamento della Terra. Oltre che per l'alimentazione, che ne assorbe i quantitativi maggiori, il sale è largamente utilizzato dall'industria, da quella chimica a quelle della concia delle pelli, della metallurgia, della ceramica, e inoltre da impianti di depurazione delle acque e di refrigerazione. La sempre più vasta conoscenza dello spazio marino ha consentito all'uomo di individuare nuovi modi per trarre da esso quantità crescenti di risorse. Le ricerche geologiche sottomarine portarono già negli anni Venti del Novecento a individuare giacimenti di idrocarburi al di sotto dei fondali della Laguna di Maracaibo, in Venezuela, e delle acque costiere della California. I primi impianti per l'estrazione del petrolio sottomarino operavano su fondali di poche decine di metri. Ma le prospezioni, a partire dagli anni Sessanta, si sono spinte nelle fasce più profonde delle scarpate continentali, toccando i 1500 m al largo di Terranova. L'evoluzione della tecnica di costruzione, trasporto via mare e ancoraggio ai fondali delle piattaforme offshore, ha consentito di avviare lo sfruttamento continuativo di più di duecento giacimenti nel Mare del Nord, lungo le coste americane e dell'Africa settentrionale e occidentale, nel Golfo Persico e nel Mar Mediterraneo.
Se lo sfruttamento del petrolio e dei gas racchiusi sotto i fondali marini è già una realtà, la ricerca oceanografica degli ultimi decenni del 20° secolo ha rivelato che dai fondali oceanici l'uomo può ricavare enormi quantitativi di minerali metallici. Miliardi di tonnellate di manganese, insieme a milioni di tonnellate di nichel, rame, cobalto e molibdeno giacciono sui fondali sotto forma di noduli di diametro variabile da pochi millimetri a un decimetro. La loro presenza e composizione viene attribuita a fenomeni di vulcanismo sottomarino: la concentrazione è massima nell'Oceano Pacifico, a nord dell'Equatore, specie in corrispondenza di una fascia compresa tra l'America Centrale e le Isole Marshall, estesa su 7 milioni di km2, denominata Clarion-Clipperton Area, come le omonime fratture sottomarine. Le difficoltà tecniche da superare per la raccolta dei noduli a profondità che si spingono fino a 6000 m, il loro trasporto e la successiva raffinazione, implicano investimenti notevolmente ingenti, che si reputa dunque non conveniente affrontare almeno fino a quando non si sarà esaurita in terraferma la disponibilità dei metalli che compongono siffatti giacimenti suboceanici. Al mare, ancora, la ricerca scientifica guarda come sorgente di energia. Le maree, le correnti e le variazioni termiche sono altrettanti fenomeni marini dei quali, in via teorica, si individua la possibile utilizzazione per la produzione di elettricità. Impianti sperimentali per la conversione del moto delle maree in energia elettrica sono stati realizzati in Francia, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Alcune correnti marine ad andamento costante e a elevata velocità - come la corrente della Florida che scorre tra Miami e le Bahamas con un flusso di oltre un milione di m3 al secondo e che raggiunge in superficie la velocità di 50 km/h - possono fornire un'immensa quantità di energia cinetica e si studia come trasformarla in elettricità. Il programma Ocean thermal energy conversion, avviato negli anni Ottanta del 20° secolo, affronta, infine, il problema della conversione delle rilevanti variazioni di calore che, nelle acque tropicali, si manifestano tra superficie e fondali.
4.
Per millenni l'uomo ha vissuto il rapporto con il mare come una sfida, una costrizione, un rischio. L'esigenza di navigarlo lo esponeva a pericoli e lo spingeva verso un mondo sconosciuto; sfruttarne le risorse ittiche gli imponeva disagio e fatica; vivere vicino alle sue rive lo rendeva vulnerabile alle incursioni di naviglio nemico. I marinai, privati di cibi freschi durante le lunghe navigazioni a vela, soffrivano di avitaminosi che degeneravano nel temibile scorbuto; dopo l'avvento della propulsione meccanica, essi si sono trovati esposti a sofferenze articolari croniche a causa delle continue vibrazioni impresse dai motori agli scafi. A patologie congenite di carattere ematologico si diede il nome di talassemie, perché frequenti nelle popolazioni mediterranee. La minore speranza di vita e la forte incidenza di malattie reumatoidi tra i pescatori erano e sono considerate la conseguenza dell'esposizione all'umidità marina durante le veglie notturne. Che il mare potesse divenire anche elemento salutare e dispensatore di piacere, letizia e svago lo si è compreso solamente in tempi recenti. Prime, caute esperienze di talassoterapia si ebbero in Gran Bretagna nel Settecento: alcuni clinici prescrivevano inalazioni di acqua marina, suggerivano inoltre di berne moderate quantità, più raramente di immergere il corpo in vasche riempite d'acqua di mare intiepidita. Si utilizzava l'acqua marina per il contenuto minerale che la rende un'acqua cloruro-sodica. Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento si è cominciato a intendere la talassoterapia come utilizzazione a scopo salutare dei fattori climatoterapici e balneoterapici propri del soggiorno in siti costieri. La medicina riconosce una relazione tra il clima marino e alcuni fenomeni fisiologici, generalmente benefici, come la riattivazione dei processi digestivi, una migliore funzionalità respiratoria e, collegato a questa, un aumento dei globuli rossi e del tasso emoglobinico, l'incremento della secrezione renale e della traspirazione, la miglior utilizzazione del fosforo alimentare e l'elevazione della pressione arteriosa (v. oltre).
La pratica delle cure marine, almeno fino ai primi decenni del Novecento, è consistita nella frequentazione e, ove possibile, nel prolungato soggiorno in siti costieri durante i mesi invernali. Il turismo marino, come oggi comunemente vissuto, è legato alla diffusione progressiva della pratica balneare. È fenomeno che ha acquisito caratteri di massa soprattutto nella seconda metà del Novecento: ha investito anzitutto le località mediterranee di già consolidata rinomanza, ma via via ha determinato la valorizzazione di siti marini lungo tutte le coste marittime. Successivamente, grazie anche allo sviluppo dei collegamenti aerei, ha interessato coste e arcipelaghi in zone subtropicali e tropicali, così da sottrarsi alla limitatezza delle stagioni estive nelle regioni a clima temperato. Il generalizzato innalzamento del livello di vita, soprattutto nei paesi industrializzati, ha fatto sì che anche i ceti medi accedessero a quello che fino agli anni precedenti la Seconda guerra mondiale era lusso di pochi privilegiati, ossia il possesso di imbarcazioni private da diporto. L'interesse verso queste pratiche nautiche è fortemente incentivato dalle imprese, sempre più frequenti, di esperti velisti che affrontano in solitario lunghe traversate oceaniche, e dalle regate, nel caso dei battelli a vela, o dalle gare di velocità, nel caso degli scafi a motore, che costituiscono altrettanti attesi appuntamenti per tutti gli amanti degli sport del mare. Settori specializzati della cantieristica navale, accanto a yacht a motore e a vela di gran pregio adatti a lunghe navigazioni, ha posto in commercio natanti di ridotte dimensioni, che consentono la pratica del turismo nautico costiero con costi di acquisto e manutenzione contenuti. In numerose località marine europee e nordamericane, anche per assicurare un'affluenza di visitatori durante i mesi invernali, si è dato vita a iniziative che legano al soggiorno alberghiero pratiche salutari, estetiche e ginniche, venendo incontro al desiderio diffuso di bellezza ed efficienza. Quiberon, Biarritz, sulla costa atlantica francese, Borkum nel Mar del Nord, Ischia e Capri nel Mar Mediterraneo sono alcune tra le località dove, in chiave edonistica, si è di recente cercato di recuperare la nozione del soggiorno marino come pratica di talassoterapia.
5.
I contrapposti interessi strategici ed economici degli Stati, connessi alla navigazione e allo sfruttamento delle risorse marine, hanno trovato il loro componimento prima in trattati firmati tra più paesi, infine, nel 20° secolo, in un corpus di norme cui si è faticosamente pervenuti attraverso conferenze internazionali, tra cui quella conclusa nel 1982 a Montego Bay, nell'isola di Giamaica, ha portato all'approvazione della Convenzione internazionale sul Diritto del mare, entrata in vigore nel 1984. In tali assise non era più in discussione il principio della libertà dei mari; ai conflitti d'interessi in materia di navigazione sono infatti subentrati quelli relativi ai criteri di sfruttamento delle risorse marine nelle acque internazionali. Al riguardo emergevano contrasti tra i paesi maggiormente sviluppati, che avrebbero voluto che il mare internazionale fosse considerato res nullius, e il resto dei paesi marittimi, che richiedevano per le acque internazionali il riconoscimento di res communis. Nel primo caso, chiunque ne avesse avuto i mezzi avrebbe potuto sfruttare senza vincoli le risorse marine; nel secondo, la considerazione delle acque internazionali come patrimonio comune dell'umanità avrebbe implicato il riferimento a un'autorità internazionale e la compartecipazione anche di paesi meno dotati economicamente e tecnologicamente a progetti di sfruttamento. Sebbene non ancora ratificata da tutti gli Stati partecipanti, la Convenzione di Montego Bay ha portato all'introduzione di un nuovo confine marino, quello della zona economica esclusiva, che è andato ad aggiungersi ai tre tipi di zone marittime riservate alla giurisdizione degli Stati costieri e arcipelagici. Il mare territoriale è la fascia di mare costiero sul quale lo Stato esercita giurisdizione piena, come un'estensione del proprio territorio, consentendovi solo il passaggio inoffensivo delle navi straniere; la Convenzione del 1982 lo ha portato a 12 miglia nautiche dalla linea di costa. Più oltre, si riconosce la zona contigua, estesa per altre 12 miglia dal limite esterno del mare territoriale: lo Stato vi esercita sorveglianza di polizia e doganale.
Un'ulteriore zona di giurisdizione era stata introdotta nel 1958 dalla prima Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del mare: la piattaforma continentale, intesa come il prolungamento sottomarino della porzione di spazio continentale che costituisce il territorio dello Stato costiero. Convenzionalmente venne riconosciuta corrispondente alla isobata di 200 m: sul fondo marino fino a questa profondità, e sul relativo sottofondo, lo Stato costiero ha prerogative di sfruttamento esclusivo. La Convenzione del 1982 ha modificato il criterio di delimitazione, basandolo non più sulla profondità quanto sull'estensione del margine continentale, inteso come prolungamento naturale delle terre emerse. Poiché questo criterio può, almeno in via teorica, dilatare enormemente per alcuni Stati costieri la prerogativa di sfruttare risorse sottomarine, venne fissato il limite di 200 miglia dalla linea di costa della zona economica entro la quale è riconosciuta allo Stato costiero esclusività nello sfruttamento delle risorse, dalla superficie al sottofondo marino, e nell'applicazione di misure di salvaguardia ecologica, come il divieto di scarichi inquinanti. La delimitazione delle zone economiche esclusive porta, nel caso di Stati che si affacciano su sponde opposte di un mare chiuso o di aree arcipelagiche, a sovrapporre più confini marittimi; analogamente, l'interpretazione dell'esclusività di sfruttamento ingenera conflitti in ordine alle attività di pesca. Ne sono derivati numerosi contenziosi sottoposti a corti di giustizia internazionali. Le linee evolutive del dibattito internazionale sulla gestione del mare si vanno sempre più orientando verso criteri di governo integrato dell'ecosistema marino, al fine di trovare modalità per lo sfruttamento delle risorse che siano rispettose del principio della salvaguardia dell'ambiente e dell'equità nell'accesso alle risorse oceaniche anche per i paesi in via di sviluppo. La Conferenza di Rio su Ambiente e sviluppo ha approvato, nel 1992, un documento, denominato Agenda 21, che fissa misure per evitare il deterioramento del mare, il depauperamento delle sue risorse biologiche e minerarie, e per preservare il patrimonio culturale delle comunità costiere.
di Umberto Solimene
l. Il clima marino
Prima di descrivere i vari tipi di clima marino, è opportuno accennare ai fattori che contribuiscono a determinarlo ai fini di una corretta valutazione della loro utilizzazione, soprattutto in campo terapeutico. I più interessanti di questi fattori sono: la radiazione solare, cui è legata la luminosità del cielo, le brezze di mare e di terra, l'aerosol marino e la composizione dell'acqua di mare. Meno importanti, ma pur sempre significativi, sono: la temperatura, l'umidità relativa, la pressione atmosferica, la composizione della sabbia, il campo elettrico e magnetico, la ionizzazione dell'aria, la presenza di vegetazione vicino alla spiaggia e, infine, la quantità delle precipitazioni estive. Abbiamo menzionato al primo posto la radiazione solare perché più essa è intensa e duratura nell'arco della giornata, più la spiaggia è da considerarsi salubre. Infatti, in presenza di forte radiazione solare e di grande luminosità, la temperatura si mantiene sempre abbastanza elevata e costante, le brezze si presentano piuttosto forti, l'umidità relativa alquanto bassa, la ionizzazione dell'aria negativa, le precipitazioni del tutto assenti, l'aerosol marino ricco di sali, in modo particolare quelli di sodio, di cloro e di iodio, la pressione atmosferica costante nel tempo e a livelli al di sopra della media annuale. Tutti questi fattori atmosferici contribuiscono a restituire nuova forza ed energia all'organismo, offrendo una notevole sensazione di benessere, soprattutto se si attuano certi principi di prevenzione dei rischi, i maggiori dei quali riguardano l'epidermide. Il clima di mare varia molto a seconda della località, della conformazione delle coste - di sabbia o di scoglio, pianeggianti o collinari o montuose -, della latitudine, dei venti dominanti, del grado termico, delle stagioni, dell'intensità e frequenza delle precipitazioni, del grado di ionizzazione dell'aria ecc. Esso può essere distinto in tre grandi tipi, tenendo presente che per ogni località costiera, specialmente per quanto riguarda le coste del Mediterraneo, può variare sensibilmente anche a distanza di pochi chilometri.
a) Clima di mare oceanico. È un clima prevalentemente eccitante a causa del livello di temperatura relativamente bassa anche in periodo estivo, venti piuttosto forti, umidità relativa abbastanza elevata, precipitazioni abbondanti, radiazione solare intensa e, sulle isole, grande luminosità del cielo, che si presenta di colore azzurro intenso.
b) Clima di mare interno con spiagge di scoglio (come in alcune località del versante tirrenico e delle isole maggiori). È un clima prevalentemente stimolante, in modo particolare durante l'estate e gran parte dell'autunno, con temperatura piuttosto elevata, venti relativamente forti, umidità relativa bassa, precipitazioni quasi assenti, radiazione solare intensa, ionizzazione dell'aria in prevalenza positiva, grande luminosità del cielo per assenza di polveri e di smog.
c) Clima di mare interno con spiagge sabbiose e degradanti lentamente nel mare (come in molte località del versante adriatico). Si tratta di un clima relativamente sedativo, anche durante il periodo estivo, grazie alla presenza di brezze regolari, temperatura costante anche se frequentemente piuttosto elevata, umidità relativa nei limiti fisiologici, precipitazioni pressoché nulle, radiazione solare intensa ma ancora favorevole all'organismo umano, ionizzazione meno positiva, grande luminosità del cielo ecc. Dal punto di vista medico, il più indicato è il clima di mare sedativo, che si presenta molto utile, specialmente se si pratica spesso la balneoterapia, in molte affezioni morbose, quali cardiopatie in compenso, malattia ipertensiva lieve con valori pressori di 150-160 massima, 90-100 minima, allergopatie, anemie ipocromiche e iposideremiche, ipotiroidismo, vasculopatie specie agli arti inferiori, esiti di fratture, lussazioni, distorsioni, convalescenze da malattie infettive o debilitanti, esiti di interventi chirurgici, artropatie degenerative con osteoporosi, stress ambientali ecc.
2.
L'esposizione al sole, in ambiente marino, in modo particolare durante i mesi estivi al Sud e sulle isole, va opportunamente dosata. Per la grande luminosità del cielo, la maggiore trasparenza dell'aria e la costante presenza di brezze, anche piuttosto forti, nelle località costiere, e soprattutto in mare aperto, la radiazione solare diventa molto più forte del normale, anche se meno avvertita dalla pelle rispetto a quanto avviene nelle località più interne. I rischi derivanti da prolungata esposizione a elevata radiazione solare, in modo prevalente la radiazione ultravioletta a corta lunghezza d'onda, sono soprattutto a carico della cute e degli occhi, che si potrebbero definire veri e propri 'organi bersaglio'. Per la cute vanno presi in considerazione sia i melanomi sia i carcinomi, mentre per gli occhi si possono spesso presentare la fotocongiuntivite, la fotocheratite, l'eritema locale e anche, seppure più raramente, la fotocarcinogenesi. Studi recenti hanno dimostrato un aumento costante, negli ultimi decenni del 20° secolo, dei carcinomi e dei melanomi della pelle, soprattutto a carico di persone appartenenti a livelli socioeconomici medio-alti, con pelle chiara e di solito praticanti un lavoro sedentario. Ciò sembra dimostrare che l'incidenza aumenta quando l'esposizione alla luce solare è praticata in modo intenso ma soprattutto discontinuo, mentre, al contrario, categorie di persone esposte alla radiazione solare in modo pressoché continuo, come i marinai, gli alpinisti oppure chi lavora all'aperto, sembrano essere molto meno colpite da queste forme tumorali. I danni acuti e cronici si verificano quando si supera un fattore di esposizione che varia per ogni lunghezza d'onda. Gli effetti maggiori si hanno comunque per lunghezze d'onda al di sotto dei 315 nm. È necessario ricordare che un'ora di esposizione al sole, con cielo sereno, assenza di vento, atmosfera limpida e grande luminosità del cielo, in riva al mare, dà lo stesso stimolo alla pelle, sia che venga praticata alle ore 7 del mattino nel mese di luglio oppure alle ore 13 nel mese di gennaio. In linea generale, durante i mesi estivi, in modo particolare sulle isole, sulle coste o sulle spiagge, è preferibile esporsi al sole nelle prime ore del mattino oppure verso sera, quando la radiazione solare non è molto intensa, proprio per evitare rischi, soprattutto nei portatori di calcolosi epatica o renale, nei soggetti neuroeretistici, ipertiroidei, debilitati, stressati, ansiosi o nelle persone di pelle molto chiara.
3.
a) Fotodermatosi. Le reazioni fototossiche consistono nella marcata accentuazione delle reazioni che si manifestano quando si espone al sole la cute, in modo particolare se molto chiara: si presentano a volte assai rapidamente, con grande arrossamento delle cute esposta, che può diventare edematosa. Le reazioni di tipo fotoallergico, invece, si presentano in individui che in casi simili hanno già manifestato reazioni di questo tipo e possono colpire anche zone cutanee non precedentemente esposte al sole; reazioni di tipo prevalentemente eczematoso sono dovute all'assunzione di farmaci come la cloropromazina, i sulfamidici, la prometazina e un antimicotico (la griseofulvina), oppure all'uso di profumi, specie quelli contenenti bergaptene, un derivato dell'olio di bergamotto.
b) Colpo di sole. Tale disturbo può verificarsi sulle nostre spiagge soprattutto per imprudente esposizione alla radiazione solare, protratta anche per molte ore di seguito, in modo particolare nelle giornate molto calde, con calma di vento e umidità relativa elevata. Nei casi più lievi si manifesta con malessere generale, obnubilamento del sensorio, astenia, difficoltà nel respiro. Se la permanenza al sole persiste, per es. nel caso di gite in barca in mare aperto senza la necessaria protezione, si hanno cefalea gravativa, vertigini, abbagliamento della vista e aumento delle temperatura corporea. In queste evenienze sono indispensabili interventi di urgenza, come il ricovero immediato, per evitare che la febbre continui ad aumentare o anche l'insorgenza, specie nel bambino, di situazioni confusionali con delirio e convulsioni, pelle molto calda, madida di sudore, polso sempre più frequente e gravi ripercussioni per l'intero organismo.
c) Collasso da calore. Avviene in situazioni atmosferiche completamente diverse da quelle che possono provocare il colpo di sole. Si presenta in giornate molto afose, quando non c'è vento, con cielo parzialmente o del tutto coperto, temperatura a volte non eccessivamente elevata, ma di solito sopra i 33° all'ombra e con umidità relativa al di sopra almeno del 50%. Quando la temperatura esterna supera i 33° all'ombra, la produzione di sudore rappresenta l'unico modo efficace per disperdere il calore in eccesso. Ma l'evaporazione del sudore, con il progressivo aumento dell'umidità relativa, risulta sempre più lenta e di conseguenza sempre meno efficace; l'aumento dell'umidità relativa contrasta così, in misura sempre più accentuata, il processo di evaporazione e, quindi, il raffreddamento dell'organismo. È stato infatti dimostrato che con temperatura di 36,5°-37° e con umidità relativa vicina al 100% l'evaporazione del sudore cessa, con conseguenti gravi danni dell'organismo, che possono portare anche alla morte. Alle nostre latitudini, questo è comunque un caso altamente improbabile, se non eccezionale, perché, anche se in determinate situazioni atmosferiche si possono superare i 40°, di norma l'umidità relativa si mantiene sufficientemente bassa da favorire ancora una buona evaporazione. È invece abbastanza comune la sensazione di disagio dovuta al caldo umido afoso, in modo particolare in alcune zone della Val Padana o delle valli interne del Centro e del Sud, nei mesi di luglio e agosto, quando una zona di alta pressione a tutte le quote determina grande e prolungata insolazione, calma di vento, densa foschia con conseguente umidità relativa piuttosto elevata (intorno ai 60-70%). In questa situazione si calcola l'indice di disagio climatico (ID) secondo la formula:
ID = 0,4 (t + tw ) + 4,8
dove t rappresenta la temperatura del termometro asciutto e tw la temperatura del termometro bagnato di uno strumento, chiamato psicrometro, che serve per misurare correttamente, con apposite tabelle, la percentuale di umidità relativa dell'aria, in base alla differenza tra la temperatura segnata dal termometro asciutto e quello bagnato. La soglia di disagio comincia con ID = 24 (prima soglia di attenzione), crescendo progressivamente con l'aumento del valore. Con valori tra 28 e 30 (seconda soglia di attenzione) si nota un progressivo deterioramento delle condizioni psicofisiche. In questi casi la sintomatologia, a volte anche abbastanza grave, inizia con sudorazione profusa, ansia ingravescente, facile stancabilità, debolezza muscolare, polso piccolo e filiforme, caduta della pressione arteriosa, pelle fredda, umida e molto pallida, specie al viso, in modo particolare nei cardiovasculopatici, nei diabetici, negli obesi, negli alcolisti, nei tossicodipendenti, nei bambini e negli anziani, cioè in tutti quei soggetti in cui i poteri immunitari e termoregolatori sono deficitari. Tale sintomatologia è dovuta alla grande perdita di liquidi non sufficientemente reintegrati. La cura si pratica facendo sdraiare il paziente e somministrando, a piccoli sorsi continui, preparati minerali con abbondante acqua. Si rivelano assai utili anche bevande a base di tè o di caffè molto allungate.
d) Colpo di calore. Si presenta di norma in forma acuta con forte cefalea, debolezza generale e molto spesso improvvisa perdita di coscienza. Ciò accade perché l'organismo, specie se indebolito o stressato, reagisce in modo anomalo agli stimoli atmosferici avversi e invece di combatterli con i normali processi fisiologici della termoregolazione e della termodispersione, come la sudorazione, la vasodilatazione cutanea e l'iperventilazione, perde molto in fretta le difese ed entra in uno stato di collasso, caratterizzato da pelle calda, arrossata e molto secca; infatti l'organismo, per sopperire alla perdita eccessiva di liquidi e di sali minerali blocca la sudorazione, indispensabile per mantenere la temperatura a livelli normali. La temperatura sale molto, anche fino a valori di 40°-41°, con pressione sanguigna quasi normale, ma con polso e frequenza del respiro molto accelerati. I soggetti maggiormente a rischio sono i bambini, gli anziani, gli obesi e gli alcolisti. Il soccorso deve essere immediato, soprattutto se la temperatura corporea sale oltre i 40°, praticando un bagno relativamente freddo oppure massaggiando la cute con panni bagnati in acqua fredda. È necessario il ricovero ospedaliero per una terapia più adeguata.
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