MARESCOTTI DE' CALVI, Galeazzo
MARESCOTTI DE’ CALVI, Galeazzo. – Nacque a Bologna nel 1406 da Ludovico, dottore in legge e uomo politico, e da Costanza da Cuzzano, di antica e nobile famiglia del contado. Ebbe tre fratelli, Tideo, Antenore e Gianluigi, che rimasero uccisi nel 1445 durante il complotto ordito dalla fazione dei Canetoli contro Annibale Bentivoglio; il M. ne vendicò la morte negli anni successivi.
Poco è noto della sua formazione; alcuni dati autobiografici estrapolabili dalla sua cronaca cittadina informano su un lungo tirocinio militare al servizio di Francesco Sforza, che mise poi a profitto al servizio dei Bentivoglio. Nel 1440 sposò Caterina Degli Anzi Formagliari (morta poco prima del M., nel 1503), che gli portò in dote 350 lire e un vasto possedimento terriero presso Manzolino.
Il M. ebbe numerosa prole, parte legittima parte naturale. Dei maschi – Agamennone, Ercole, Agesilao, Scipione, Tideo, Teseo, Antenore, Achille, Giasone – Ercole fu l’unico a sopravvivere, per tre lustri, al padre, mentre gli altri rimasero vittime, insieme con numerosi nipoti, delle violente lotte intestine che insanguinarono Bologna nel primo decennio del Cinquecento. Due figlie, Veronica e Agostina, sposarono membri di influenti famiglie cittadine: la prima nel 1460 Giacomo da Saliceto, la seconda nel 1475 Agostino Marsigli. Pare che il M. si sia dedicato con cura all’educazione dei figli, come testimonia il contratto con il maestro modenese Antonio di Giovanni di Riccio, cui affidò la loro educazione.
Durante il quinto decennio del XV secolo la partecipazione a eventi decisivi nelle vicende cittadine consentì al M. non solo di affermarsi nel partito bentivogliesco, ma pose le premesse per la sua ascesa agli organi di governo più importanti della città, ben oltre il ruolo di capitano d’armi. Fu protagonista dell’avventurosa liberazione, dal castello di Varano, di Annibale Bentivoglio, lì rinchiuso da Niccolò Piccinino nell’ottobre 1442; comandò le truppe bolognesi che sconfissero sul campo l’esercito visconteo determinando la cacciata di Piccinino; condusse la resistenza armata al complotto organizzato contro Annibale Bentivoglio da Ludovico e Bettozzo Canetoli nel giugno 1445; partecipò alla repressione della rivolta di alcune roccaforti del contado promossa da Romeo Pepoli e Giovanni Fantuzzi, divenuti nel 1449 avversari dei Bentivoglio. Alla morte di Annibale Bentivoglio, caduto sotto i colpi dei congiurati il 24 giugno 1445, fu tra gli esponenti della fazione bentivogliesca che si rivolsero a Cosimo de’ Medici a Firenze perché spingesse Sante Bentivoglio a venire a Bologna ad assumere il governo della città. L’ascesa di Sante a capo della fazione bentivogliesca e la sua permanenza al governo di Bologna per i tre lustri successivi, sino alla morte, nel 1463, segnarono l’apice della condivisione politica tra il M. e i Bentivoglio, cementata anche dalla personale amicizia e stima che legarono il M. al nuovo signore di Bologna.
Ricoprì numerose volte incarichi diplomatici presso la S. Sede dal biennio 1447-49, allorché fu per tre volte a Roma, dove difese la linea politica di Sante di fronte a Niccolò V, indispettito dalla disinvolta condotta politica del Bentivoglio. Il 9 dic. 1447 ottenne in feudo dal papa la Torre dell’Uccellino, castello e terreni confinanti con il Marchesato di Ferrara. Il 4 aprile successivo fu creato cavaliere dal pontefice, mentre già nell’agosto 1446 aveva ottenuto il perdono per le vendette prese contro i Canetoli e i loro alleati. L’investitura pontificia del feudo fu ratificata dal Consiglio dei riformatori dello Stato di libertà a favore dei suoi discendenti il 16 ott. 1474. Nel 1448 fu inviato come ambasciatore a Nestore Manfredi, signore di Faenza, che si trovava a San Giovanni in Persiceto. Dopo essere stato eletto con il padre nel Consiglio degli otto di guerra nel 1446, nel 1453 entrò a far parte del Consiglio dei riformatori, l’organo consiliare più importante della città. Dal 1447 frequenti furono le presenze nel Consiglio degli anziani; nel 1456, e per ben altre cinque volte, nel 1474, 1478, 1480, 1484 e 1488, ricoprì la carica di gonfaloniere di Giustizia. Nel 1456 fu ambasciatore a Milano, nel 1463 a Roma, nel 1465 a Modena e a Mantova. Fu nominato senatore a vita nel Consiglio dei ventuno creato da Paolo II, allorché si applicarono nel giugno del 1466 gli accordi intervenuti a Roma tra gli emissari di Giovanni (II) Bentivoglio e il pontefice, poi sanciti a Bologna dal cardinale legato Angelo Capranica e da Paolo Della Volta, uno degli ambasciatori bolognesi che aveva accompagnato il legato del papa. Quando morì Paolo II, nel 1471, fu il M. ad accompagnare a Roma il cardinal legato. Nell’occasione ottenne dal nuovo pontefice, Sisto IV, l’ufficio di camerlengo perpetuo della Fabbriceria di S. Petronio, per il quale l’anno seguente fu affiancato dal notaio Zaccaria Enrichetti, autore dei versi composti in occasione della morte del padre del M., Ludovico, ad agosto del 1459.
Al sesto decennio del secolo risale probabilmente la medaglia, opera dell’incisore Antonio Marescotti, che ritrae sul recto il busto del M. con la legenda «Galeaz. Marescottus vir patricius insignis equestris ordinis», mentre sul verso si vede una colonna spezzata da un fulmine entro una treccia di capelli femminili disposta a guisa di corona, corredata dalla leggenda: «Loialment sens douter». L’immagine e la legenda potrebbero fare riferimento tanto all’impresa militare del M. a Varano nel 1443, quanto all’esperienza amorosa con Camilla Malvezzi, di cui resta traccia nella esigua produzione letteraria del Marescotti.
La stabilità politica interna consentì al M. di conseguire risultati vantaggiosi per gli interessi della famiglia.
Costante fu l’incremento del patrimonio fondiario, secondo una strategia comune alle famiglie del patriziato alleate della signoria bentivogliesca, che mirava a una politica di distribuzione delle risorse economiche oltre i confini della città: i terreni posseduti dal M. provenivano non solo da acquisti, ma anche da doni di partigiani e amici, da concessioni feudali e dalle devoluzioni di possedimenti confiscati ai membri delle famiglie condannate al bando. Tali castelli, casolari e mulini erano distribuiti nel contado di Bologna, Ferrara e Modena e costituivano talora nodi nevralgici di controllo del territorio e dei confini. Le residenze extraurbane dei Marescotti furono anche teatro di feste e incontri, come accadde nel 1465 nella villa di Confortino, dove il M. ospitò Ippolita Sforza che si recava a Napoli per sposare il figlio di Ferdinando I d’Aragona, Alfonso duca di Calabria. Nel 1464 ottenne dal legato pontifico, il cardinale Giovanni Venturelli, un decreto di esonero dal pagamento dei dazi e delle gabelle in ragione della numerosa prole.
Succeduto a Sante Giovanni (II) Bentivoglio nel 1463, il M. proseguì la sua politica di associazione agli interessi della famiglia dominante. Nel 1471 fu incaricato, con Cristoforo Caccianemici e Virgilio Malvezzi, di dirimere le controversie insorte all’interno dello Studio; nel 1474 sostituì Giovanni Guidotti tra gli Ufficiali dell’abbondanza; nel 1484 fu nominato capitano della Montagna.
Agli anni della maturità risale una seconda medaglia, coniata da Sperandio da Mantova, che ritrae il Marescotti. La fonte iconografica trova riscontro nella descrizione fisica che offre L. Alberti e nella rappresentazione letteraria fornita da Giovanni Sabadino degli Arienti nella novella LX delle Porretane, ambientata nell’estate del 1475. Nel novelliere il M. è inoltre autore di un discorso filosofico sull’anima in cui Arienti pone in rilievo le qualità morali e le capacità intellettuali del M. «cavaliero splendidissimo e famoso» (p. 583). Si tratta di un ritratto che si adatta pienamente all’immagine di uomo maturo, saggio, giusto e austero restituita dalla vasta produzione cronachistica cittadina di fine Quattrocento, che contrasta con la facies guerresca e amatoria restituita dalle fonti risalenti alla prima metà del secolo e dalla medaglia di A. Marescotti.
Il rapporto di fiducia che aveva contraddistinto le relazioni tra il M. e Giovanni Bentivoglio si infranse nel 1488, quando il primogenito del M., Agamennone, fu coinvolto nella fallita congiura dei Malvezzi. Negli ultimi anni di vita il M., da una posizione emarginata, assistette al tragico tramonto della signoria di Giovanni, che si verificò nei primi anni del Cinquecento e che vide come fatto culminante l’assassinio dei figli e dei nipoti del M. per mano di Ermes Bentivoglio tra il 1501 e il 1502.
Il M. non sopravvisse a lungo all’eccidio dei propri familiari, venendo a morte a Bologna il 16 sett. 1503. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Domenico senza onorificenze pubbliche.
Questo epilogo era stato preceduto nel 1502 da un incontro con Bentivoglio in cui il M., in nome degli antichi servigi, aveva ottenuto rassicurazioni per la propria discendenza. Ma alla sua morte, Giovanni condannò al bando l’intero casato, procedendo alla confisca dei beni e consegnando il palazzo di famiglia a Giacomo Maria Dal Lino. Durante questi drammatici accadimenti cominciò probabilmente la dispersione della biblioteca del M., la cui consistenza è oggi assai difficile da ricostruire. Tra i pochi manoscritti attribuibili con sicurezza sono un messale membranaceo ora alla New York Public Library (Spencer Collection, Mss., 64); il De rebus Bononiensibus di G. Garzoni (Modena, Biblioteca Estense universitaria, Mss., 634 [Alfa P.7.21]); il codice membranaceo contenente, tra l’altro, il Liber insularum Archipelaghi di C. Bondelmonti (Madrid, Biblioteca nacional, Mss., 18246).
La Cronica come Annibal Bentivogli fu preso et menato de pregione et poi morto et vendicato per messer Galeazzo Marscotto di Calvi narra gli eventi della storia cittadina tra il 1442 e il 1446, direttamente riguardanti il M. e Annibale Bentivoglio, la loro opposizione al governo visconteo di N. Piccinino, la cattura di Bentivoglio, la sua prigionia nel castello di Varano, la liberazione progettata da Ludovico Marescotti e realizzata dal M. insieme con familiari e alleati, il loro ingresso trionfale in città, l’assassinio di Annibale e dei fratelli del M. attuato dai Canetoli. Si tratta di una fase decisiva delle vicende cittadine, tra la fine delle signorie forestiere e l’affermazione, nonostante l’assassinio di Annibale, del casato bentivogliesco. La cronaca fu scritta probabilmente subito dopo i fatti, anche se è stata ipotizzata una composizione tarda intorno al 1461, ma rimase occultata nello studio del M., sino a quando egli non decise di divulgarla, a scopo apologetico in occasione della fallita congiura dei Malvezzi del 1488. Oltre che in due testimoni quattrocenteschi e diverse copie tarde, è conservata nell’esemplare di dedica ad Annibale Bentivoglio (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.1176), arricchito dalla versione dell’opera in esametri latini di Tommaso Seneca da Camerino e da alcune epistole metriche dell’umanista modenese Gaspare Tribraco de’ Trimbocchi. L’edizione moderna è a cura di F. Guidicini (Bologna 1869). Frequenti sono nella Cronaca le citazioni virgiliane e di storici latini, e le similitudini con i personaggi più celebri della storia romana: un’erudizione classica che ha modo di esprimersi soprattutto nel proemio, affine alla coeva storiografia umanistica di G. Garzoni, mentre il resto del testo rientra nella tipologia della cronachistica cittadina tardomedievale, che tende a intrecciare il piano della storia cittadina con quello delle vicende familiari e della narrazione autobiografica.
La produzione epistolare e lirica del M., di contenuto amoroso, è affidata soprattutto al manoscritto conservato nella Bibliothèque nationale di Parigi (Fonds Ital., 1022). Il codice, recante nel colophon la data 24 febbr. 1453 e arricchito da miniature, fu copiato in bella scrittura umanistica da Bedoro de’ Preti, che nel 1454 lo donò al Marescotti. La prima parte (cc. 1-213) contiene il Canzoniere e i Trionfi di Petrarca insieme con la Canzone sopra i Trionfi del Petrarca di Alberto Orlando. Segue una raccolta di lettere e rime, di argomento amoroso: sonetti del M. dedicati a Sante Bentivoglio e al cardinale Bessarione, lettere del M. e di Bedoro de’ Preti (datate tra il 1451 e il 1454) a Sigismondo Malatesta, di Camilla Malvezzi al M. e a Malatesta, di B. de’ Preti al M. e quelle scambiate tra il M. e Camilla Malvezzi. Segue la corrispondenza sentimentale tra Nicolosa Castellani e Sante Bentivoglio e il dittico formato da una lettera di Caterina, moglie del M., e da un sonetto del M. a Isotta Malatesta; seguono, del M., due sonetti dedicati a Sigismondo Malatesta e una canzonetta.
Le rime attribuibili con certezza al M. sono 8: 5 sonetti, uno dei quali caudato, una frottola, un capitolo quaternario scritto in occasione della morte di Camilla Malvezzi, definito nel codice cancione dolorosa, e una canzone. Una produzione lirica modesta, circoscritta dal punto di vista tematico e riconducibile agli anni Quaranta e Cinquanta. Insieme con le epistole di contenuto amoroso si inserisce in pieno in un peculiare genere prosimetrico d’ambiente bolognese che vide come protagonisti oltre alla cerchia di diretta pertinenza del M. – B. de’ Preti, Caterina Dal Lino, Antonio da Montalicino, Sante Bentivoglio, Nicolosa Castellani – prodotti di maggiore consistenza quali la Nicolosa bella di G. Calogrosso, la Glycephila di G.M. Filelfo e l’anonima Panfilia.
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