MARESCOTTI DE’ CALVI, Ludovico
– Nacque a Bologna nel 1379 da Giovanni di Nicolò. Non è noto il nome della madre. Scarse sono le notizie delle precedenti vicende della famiglia e incerto è il motivo dell’utilizzo del cognome Calvi in luogo o accanto a Marescotti.
Non è noto nemmeno il nome della moglie, sposata nel 1405 e dalla quale il M. ebbe i figli Galeazzo, Antenore, Tideo (Taddeo) e Gian Luigi. Un documento dell’aprile 1435 segnala il versamento al M. di parte della dote di Veronica di Bartolomeo Garelli, sposata presumibilmente in seconde nozze. Attestato è anche il matrimonio con Costanza di Lippo da Cozzano, vedova di Tommaso da Loiano, che morì nel settembre 1450.
Primo della famiglia, il M. si dedicò allo studio del diritto e il 17 marzo 1407 superò l’esame privato, conclusivo del corso di diritto civile. Non sostenne però l’esame pubblico – prova solenne, non ardua ma costosa – necessario a ottenere il titolo di dottore. Poté comunque accedere al Collegio dei giudici ed è probabile, anche se non documentato, il suo successivo impegno nelle curie cittadine.
Nel dicembre 1413 fu coinvolto in una congiura contro il governo pontificio promossa da alcuni dottori dello Studio, che confidavano nell’intervento di Gian Galeazzo Manfredi, signore di Faenza. Ai congiurati il M. assicurò il suo appoggio e la fornitura di armi, che in effetti sembra fosse in grado di procurare. Il complotto fu scoperto e il suo principale promotore, Gregorio Gori, giustiziato. Gli altri congiurati e il M., fuggiti, furono condannati a morte in contumacia.
Agli inizi del 1416 esponenti dell’oligarchia si ribellarono e costrinsero alla fuga il legato. Il 3 aprile il Collegio dei riformatori dello Stato di libertà, primo organo di governo cittadino, annullò i bandi emessi dal legato e il M. rientrò in città. Riprese i contatti con lo Studio e il 13 sett. 1417, superato l’esame pubblico, fu dottore in diritto civile. Ebbe per il 1417-18 la lettura straordinaria serale del Digesto nuovo, incarico rinnovato negli anni successivi. Il 24 dic. 1419 chiese, senza ottenerla, l’aggregazione al Collegio dei dottori.
Era maturata intanto la sua adesione alla fazione dei Bentivoglio, avviata, sotto la guida di Antonio (Antongaleazzo), a ottenere la supremazia in città. Martino V, però, ne bloccò l’ascesa e nel 1422 furono banditi vari aderenti alla fazione, tra cui il M.; le cronache narrano di un suo incarico presso il vescovado di Trento. Nel 1425 un riavvicinamento del Bentivoglio al papa mitigò le sanzioni e il M. rientrò in città. Riprese a insegnare, ma la sua domanda di aggregazione al Collegio dei dottori del 9 genn. 1428 fu ancora respinta. Nel 1430, bandito con ottanta bentivoleschi, andò a Milano, dove fu consigliere del duca Filippo Maria Visconti.
Ai primi di dicembre 1435 il Bentivoglio, raggiunto un accordo col papa, rientrò in Bologna e così anche il M. e altri esiliati, decisi a sostenerne l’azione; ma il 23 dicembre il Bentivoglio fu ucciso per ordine del governatore pontificio, Daniele Scotti, vescovo di Concordia. La fazione, priva del capo, cercò l’appoggio del Visconti che, per evitare lo scontro col papa o per poca fiducia nella forza dei nuovi alleati, indugiò a lungo, e solo nel maggio 1438 il suo esercito, al comando di Niccolò Piccinino, entrò in città. Il M. fu tra coloro che più operarono per questa soluzione, ma ciò non gli valse un ruolo di primo piano. Nel periodo in cui il Piccinino ebbe il controllo della città egli ricoprì, dal luglio 1441 al giugno 1442, solo l’incarico di sindaco del contado. Per il 1443-44 è attestata la sua ripresa della lettura del Digesto nuovo nei giorni festivi, ma è probabile che ciò fosse avvenuto già prima.
Nell’ottobre 1442 Francesco Piccinino imprigionò Annibale Bentivoglio, Achille e Gaspare Malvezzi, ponendo le premesse per una signoria del padre Niccolò sulla città. Mentre Anziani e Riformatori inviavano ambasciatori al Visconti per chiedere la loro liberazione, il M. e altri bentivoleschi assoldavano milizie a presidio dei palazzi pubblici. Con un colpo di mano ai primi di giugno 1443 i figli del M., Galeazzo e Tideo, con pochi compagni liberarono Annibale imprimendo una svolta decisiva alla lotta per il dominio della città. I bentivoleschi, guidati da Annibale, presero il potere e lo conservarono, grazie anche a varie azioni militari, in molte delle quali i figli del M. furono ancora protagonisti. Tuttavia, né essi né il M., che ne aveva sostenuto le azioni, ebbero riconoscimenti: tra i Dieci di balia, tutti della fazione, chiamati nel luglio 1443 a reggere la città, non c’era nessuno della loro famiglia, apprezzata evidentemente per coraggio e capacità militari ma non per sagacia politica. In vero dalle cronache emerge l’ostilità del M. e dei figli, in particolare di Galeazzo, al tentativo di Annibale di raffreddare il clima di lotta civile in città. A loro si addebita l’aver rinfocolato i motivi di scontro con i Canetoli e i loro fautori, cui Annibale aveva permesso di rientrare.
L’agguato, ordito da Canetoli e Ghisilieri il 24 giugno 1445, in cui Annibale fu ucciso, annullò ogni possibilità di compromesso e tra le fazioni fu vera guerra. Nello stesso giorno tre figli del M. furono uccisi, ma Galeazzo, quantunque ferito, seppe riorganizzare le file dei bentivoleschi e le guidò ad annientare gli avversari. Fu la vittoria della fazione e, al suo interno, delle componenti più radicali. Il 27 giugno furono nominati i nuovi membri del Collegio dei riformatori e il M. fu uno di loro.
Fecero emanare condanne a morte contro gli avversari, ma seppero anche impostare un’azione di governo tesa a consolidare il sistema di potere uscito dalla guerra civile. Tra le loro delibere, di rilievo furono quella del 23 nov. 1445 che autorizzò il figlio o il fratello di un riformatore, impossibilitato a partecipare alle sedute, a essere sostituito con diritto di voto; quella del 28 apr. 1446 che, sotto la minaccia delle milizie viscontee ed essendo il M. gonfaloniere e priore dei Riformatori, ampliò i loro poteri e stabilì che due di loro presidiassero di notte il palazzo pubblico; quella del 29 nov. 1446 che nominò Sante Bentivoglio, chiamato da Firenze alla guida della fazione, come membro dei Riformatori.
Per esercitare l’azione di governo Sante capì che doveva poggiarsi su un gruppo ristretto e ottenne che i sedici Riformatori delegassero i propri poteri a soli sei di loro: Sante stesso, Romeo Pepoli, il M., Dionigi da Castello, Gaspare Malvezzi e Giovanni Fantuzzi. Con essi Sante si garantì la guida della fazione e della città. Il risultato più rilevante fu l’accordo, in forma di capitoli, del 24 ag. 1447 col papa, Niccolò V, che avrebbe regolato i rapporti della città con Roma fino al 1796. In base all’accordo fu normalizzata la struttura amministrativa e politica, e mentre si rinnovavano con intervento del legato pontificio gli incarichi pubblici già attribuiti dai Riformatori, una loro delibera del 23 sett. 1447 riconsegnò a essi i pieni poteri prima delegati ai sei.
Nel 1447 il M. fu giudice al foro dei mercanti e il 9 dicembre un breve di Niccolò V attribuì a lui e al figlio Galeazzo l’investitura della Torre dell’Uccellino, struttura fortificata per il controllo e l’esazione dei diritti sul passaggio per valli e canali verso Ferrara, con giurisdizione sui territori circostanti e un presidio militare pagato dal Comune di Bologna. Il 2 apr. 1448 Niccolò V rinnovò l’investitura; il 10 aprile il M. fu con Nicolò Sanuti e Pandolfo Bianchi commissario per pacificare la Montagna; il 2 giugno fu confermato membro dei Riformatori.
Nel maggio 1449 Romeo Pepoli e Giovanni Fantuzzi si ribellarono al predominio di Sante; il M. fu con Sante, e quale membro del Collegio dei riformatori ne condivise le drastiche misure a difesa del suo regime. Fu priore dei Riformatori nell’ottobre 1449 e nell’ottobre 1450 giurò come membro dello stesso Collegio. Ma già da luglio il figlio Galeazzo ne aveva preso a volte il posto nelle sedute e con l’inizio del 1451 la sostituzione divenne stabile.
Questo avvenne a causa di una malattia che condizionò la vita del M. nel successivo decennio. Il legato pontificio, il cardinale Bessarione, con decreto del 7 luglio 1453 attestò che si era spesso avvalso del M. quale giudice e poiché il suo stato gli impediva l’attività nel palazzo di Giustizia, come prescritto dagli statuti, gli concesse di giudicare in casa propria; il 17 luglio una delibera dei Riformatori reiterò il decreto.
Oltre all’attività di giudice l’impegno del M. fu allora rivolto, in collaborazione con Galeazzo, alla gestione del patrimonio, che comprendeva alcune possessioni a Crespellano, San Dalmazio e Medicina, direttamente o a mezzadria, e beni nelle zone di Savigno e Loiano ereditati nel 1450 dalla moglie Costanza. Nel 1453 inoltre furono acquistate due possessioni di oltre 220 biolche (circa 63 ettari) e nel luglio 1457 il legato pontificio Ludovico Giovanni Mila, in base a una delibera dei Riformatori dell’ottobre 1456, assegnò al M. e al figlio beni ad Anzola e Crespellano per oltre 115 tornature (circa 24 ettari) espropriati ai Ghisilieri. Nel 1452 si avviarono lavori di ampliamento della casa di famiglia, in parrocchia di S. Martino dei Santi.
Il M. conservò l’incarico della lettura di parti del Digesto fino al 1459, ma sempre limitata ai giorni festivi. Ciò potrebbe indicare una scarsa propensione alla didattica, desumibile anche dalla mancanza di notizie su opere di diritto e consilia a lui attribuiti. Non è da escludere che a ciò abbia contribuito la freddezza nei rapporti con i docenti: neppure all’apice della fortuna politica il M. rinnovò la richiesta di aggregazione al Collegio dei dottori.
Il M. morì a Bologna il 30 ag. 1459 e fu sepolto in S. Domenico.
Zaccaria Enrichetti, notaio e umanista, che nell’ultimo decennio aveva rogato quasi tutti i suoi contratti, ne onorò la memoria con alcuni versi, editi da Ghirardacci (1933, p. 172).
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